Poletti "Questi scioperi sono politici, il Jobs Act per me non cambia"

Ministro Poletti, a Brescia c’è stato un altro caso di contestazione al governo. Il premier dice che c’è una strategia per dividere il Paese. O invece è il segnale di un malessere sociale sempre più diffuso? «La manifestazione era organizzata da un gruppo di esponenti dei centri sociali, credo avesse finalità più che altro politiche tipiche di questi raggruppamenti. In ogni caso: è bene che tutti coloro i quali intervengono intorno ai temi del lavoro evitino di alzare i toni oltre un certo livello».
 
Pensa ai proclami di Landini? Alle accuse della Picierno ai sindacati? «Non sarò io a scaricare le responsabilità addosso a qualcuno. La settimana scorsa sono accaduti dei fatti che parlano da soli. Usiamo i toni giusti, e confrontiamoci nel merito, è l’unica cosa che conta».
 
Lei si riferisce alla protesta contro i licenziamenti previsti all’acciaieria di Terni. Che idea si è fatto di quanto accaduto? «In questi mesi ci sono state centinaia di manifestazioni pacifiche. I lavoratori hanno diritto di scendere in piazza, e meritano tutto il nostro rispetto. Se un lavoratore sciopera, e per questo perde un giorno di paga, significa che ha qualcosa da dire: quelle ragioni devono essere ascoltate, comunque la si pensi. Quel che è accaduto a Roma è stato un fatto isolato e deve rimanere isolato».
 
Ci saranno modifiche alla delega sul lavoro alla Camera? «C’è una discussione parlamentare in corso: vediamo come si sviluppa. Peraltro il Partito democratico ha definito formalmente la sua posizione in una riunione della direzione. E ciò che pensa il Governo è scritto nella legge e nel mio intervento al Senato. Quindi, per quanto mi riguarda, la legge potrebbe essere approvata nel testo attuale».
 
La questione più delicata come sempre è la formulazione della delega a proposito dell’articolo 18, il demansionamento e il controllo a distanza. Se fossero necessarie ulteriori modifiche non c’è il rischio di svuotare la riforma? «Purtroppo si parla solo di articolo 18, poi uno guarda i dati e scopre che su cento nuovi contratti di lavoro 85 sono a tempo determinato. La legge di Stabilità prevede la detassazione dei nuovi contratti a tempo indeterminato e l’abolizione della componente lavoro dall’Irap sempre per i contratti a tempo indeterminato. Per la prima volta nella storia di questo Paese c’è un governo che anziché promettere interventi generici, decide una riforma radicale contro la precarietà. Questi sono i fatti».
 
La detassazione l’aveva introdotta Letta, e non ha prodotto risultati entusiasmanti. Gli ultimi dati dell’Istat confermano poi che non ci sono segnali di miglioramento sostanziale sul fronte della disoccupazione. «Il nostro intervento è radicalmente diverso, perché è rivolto a tutti i contratti a tempo indeterminato, mentre quello previsto da Letta era sottoposto ad una lunga e complicata serie di condizioni. Per quanto riguarda i dati Istat, dicono una cosa diversa: a settembre ci sono 82 mila occupati in più, il dato migliore dal 2013. Potrebbe essere il primo segnale di una inversione di tendenza».
 
Se il governo è così concentrato sulla questione dell’occupazione perché Fiom e Cgil hanno deciso di convocare due scioperi generali? «Siamo in democrazia, ciascuno ha la libertà e la responsabilità di fare le proprie scelte. Ma mi permetto di dire che nel merito ritengo questi scioperi ingiustificati».
 
Dunque sono mossi solo da ragioni politiche? «Se uno ritiene di fare uno sciopero per contestare i contenuti di una legge, evidentemente è mosso da ragioni di questo tipo».
 
Metterete la fiducia sul testo anche alla Camera? «Al momento non c’è alcuna decisione. L’obiettivo, comunque, è arrivare rapidamente all’approvazione. Dobbiamo chiedere in fretta. A gennaio, con l’entrata in vigore della legge di Stabilità parte la detassazione per i contratti a tempo indeterminato. Vorremmo applicarla subito al nuovo contratto a tutele crescenti previsto dalla delega. E vorremmo attuare rapidamente anche tutte le altre parti della legge che ampliano le tutele e rafforzano le politiche attive».
 
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