Perchè vogliamo festeggiare il lavoro

Da troppi anni la Festa del lavoro si è trasformata in un momento di sconforto. Un bombardamento di dati che descrivono una situazione che, anche nelle previsioni più rosee, continuerà per milioni di disoccupati ad essere drammatica per molto tempo. Da ultimo la doccia fredda dell’Istat che, alla vigilia di questa giornata, certifica l’aumento della disoccupazione al 13% e di quella giovanile al 43,1%, in crescita rispetto al maggio 2014. Un dato non necessariamente negativo in sé, a testimonianza del fatto che più persone sono oggi alla ricerca di un lavoro rispetto ai mesi passati, se non fosse che il tasso di occupazione italiano, già tra i più bassi d’Europa, diminuisce ancora segnando una perdita nell’ultimo mese di 59mila posti di lavoro.
 
Una enormità se si pensa alle riforme messe in campo col Jobs Act e, soprattutto, al generoso esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato che ci costerà quasi 20 miliardi di minori entrate contributive nei prossimi tre anni. Un macigno per la finanza pubblica che non sarà giustificato da occupazione aggiuntiva, che è ben altra cosa dalla stabilizzazione di contratti precari (il fenomeno in atto da gennaio, come certificano i dati). Tanto più che è davvero fuori luogo parlare oggi, senza articolo 18, di stabilità occupazionale. Quindici anni di riforme del lavoro che, senza dimenticare le stagioni positive (evidenti in questa infografica) non hanno risolto i problemi della occupazione, specie di giovani e donne, che hanno una natura diversa rispetto al quadro regolatorio e richiedano, dunque, ben altre risposte a partire dal sistema educativo e dalla produttività del lavoro.
 
La delusione della fiducia e dell’attesa riposta sui dati di questi primi mesi del 2015, che avrebbero dovuto battezzare la nuova fase dell’occupazione italiana benedetta dal Jobs Act, rende questo momento ancora più amaro. Il tutto nel giorno in cui si dovrebbe festeggiare l’anniversario di Garanzia Giovani che, con i suoi 1,5 miliardi di euro dedicati a migliorare l’occupabilità dei nostri giorni, aveva anch’essa creato inevitabili aspettative. Sappiamo però che la garanzia non c’è stata e che ancora 450mila giovani iscritti al piano sono in attesa di una proposta concreta.
 
Ma non è nostra intenzione infierire su una situazione che è drammatica agli occhi anche dell’osservatore più inesperto. Non vogliamo neanche ricordare tutte le volte in cui durante l’anno abbiamo avuto modo di avanzare dubbi e segnalare criticità che oggi si rivelano profetiche nella loro triste realtà, da ultimo nell’audizione al Senato sul decreto di riordino delle tipologie contrattuali.
 
Crediamo invece che questo 1° maggio sia l’occasione per tutti di riflettere e aprire una fase di dialogo e di nuova primavera per il lavoro, senza la quale il nostro Paese non potrà mai rialzarsi.
 
Il modo migliore per ricominciare è partire da quello che già c’è, migliorandolo. Parliamo di Garanzia Giovani per cui abbiamo proposto un decalogo di proposte che possano aiutare il decollo del piano. Le esperienze di molti paesi europei ci mostrano infatti che il piano, se utilizzato seguendo la Raccomandazione europea, può davvero aiutare a migliorare l’occupazione dei giovani. Per questo serve investire sulla qualità delle offerte presenti sul portale che devono essere vagliate e selezionate. In caso contrario il portale perde credibilità agli occhi delle imprese e dei giovani.
 
Necessario anche risolvere i problemi di privacy che impediscono al momento di aprire alle imprese e a chi cerca lavoratori il ricchissimo database di competenze composto dai giovani iscritti al Garanzia Giovani. Questo consentirebbe di aiutare il matching tra domanda e offerta attraverso un verso strumento di intermediazione.
 
Ma ciò che è più importante è fissare tempi certi di risposta ai giovani che si iscrivono,tempi che l’Unione europea quantifica in 4 mesi. Ogni giorno in più è un aumento di sfiducia nei confronti delle istituzioni che parlando di garanzia hanno giocato un “all-in”, rischiando molto. Nulla contro la propensione al rischio, ma è necessario almeno tutelarsi dalle possibili perdite, che in questo caso possono davvero essere irreversibili.
 
Non perdiamo quindi il treno della Garanzia giovani che viaggia sullo stesso binario dei principi iniziali del Jobs Act e ha come meta una rinata centralità della persona nel lavoro. Stiamo scommettendo troppo poco su quello che una persona può fare, sulle sue potenzialità sempre nuove ed esplosive. Rinchiuderla in gabbie burocratiche, considerarla un numero e quindi una massa, pensare che sia un fattore del ciclo produttivo, non solo è un errore culturale e concettuale, ma anche economico.
 
Festeggiare il lavoro significa festeggiare la persona nel suo rapporto con la realtà, festeggiare la sua capacità di plasmare e dare un senso al mondo, a quella piccola parte di mondo con il quale ciascuno si trova a che fare. Speriamo che tutte le parti si attivino per questo e che si possa chiudere velocemente la stagione “riformistica” – durante la quale ogni riforma è presentata come epocale, ma senza conseguenze sull’occupazione – e aprire quella riformista dove, passo per passo, senza accelerazioni mediatiche, si ricominci a mettere il lavoro al centro.
 
Emmanuele Massagli @EMassagli
Presidente ADAPT
 
Flavia Pasquini @PasquiniFlavia
Vice-presidente Commissione certificazione – Università di Modena e Reggio Emilia
 
Giulia Rosolen @GiuliaRosolen
Responsabile Area Formazione ADAPT
 
Francesco Seghezzi @Francescoseghez
Direttore ADAPT University Press
 
Silvia Spattini @SilviaSpattini
Direttore ADAPT
 
Michele Tiraboschi @Michele_ADAPT
Coordinatore scientifico di ADAPT
 
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