Perché la Cgil è andata alla battaglia (ideologica) sui voucher

I voucher come nuovo simbolo del precariato e dello sfruttamento dei lavoratori costituiscono la nuova bandiera della Cgil. I buoni utilizzati per pagare prestazioni lavorative occasionali, acquistabili online, dal tabaccaio, in posta o in alcune banche, sono stati definiti da Susanna Camusso uno «strumento malato» che «va abolito», in quanto «il loro abuso determina una sommersione anziché un’emersione del lavoro nero e irregolare». Il principale sindacato italiano ne ha quindi chiesto l’abolizione attraverso un referendum, fissato dal Consiglio dei ministri il 28 maggio (la votazione comprende anche un quesito molto tecnico e complesso sugli appalti). Ora la Commissione Lavoro della Camera ha approvato l’eliminazione totale, votando a favore dell’emendamento che abroga gli articoli 48, 49 e 50 del Jobs Act dedicati al lavoro. Il Governo nel consiglio dei ministri di oggi dovrebbe tradurre in decreto la decisione della commissione, disinnescando così il referendum. Fino al 31 dicembre è previsto un periodo transitorio in cui si potrà continuare ad utilizzare i buoni lavoro già acquistati.

Cosa sono. Introdotti per la prima volta nel 2003 con la legge Biagi durante il secondo governo Berlusconi, il Jobs Act ne aveva modificato il funzionamento e ora la Cgil addita i buoni lavoro come emblema del fallimento della riforma di Renzi. Ma questi voucher sono davvero così deleteri? «Si tratta certamente di uno strumento utile in certe situazioni, per esempio, nel mondo del commercio: se un ristorante con un proprio organico si trova all’ultimo momento senza un cameriere, piuttosto che far lavorare un’altra persona in nero, può comodamente usare i voucher per pagare un sostituto temporaneo», spiega Francesco Seghezzi, responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne di Adapt e direttore di Adapt University Press. «Un altro ambito è quello dei servizi alla persona: le baby sitter, le ripetizioni, le pulizie di casa erano tutti lavori che venivano (e vengono spesso ancora oggi) pagati in nero. Il lavoro irregolare, anche se non se ne parla molto, costituisce uno dei problemi principali dell’economia del nostro paese»…

 

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