Per un sistema di istruzione e formazione professionale/19 – L’esperienza di PTS Class. Intervista a Eugenio Gotti

Bollettino ADAPT 28 settembre 2020, n. 35

 

Di seguito l’intervista a Eugenio Gotti, vice-presidente esecutivo di PTS Class, esperto di politiche per la formazione e per il lavoro. Le sue risposte aiutano molto bene a comprendere quali sono i problemi e le sfide (vecchi e nuovi) che dovrà affrontare l’IeFP, segmento incompleto, sotto-finanziato e frammentato del nostro sistema educativo nazionale, eppure cruciale per la crescita del paese e l’occupazione dei giovani.

 

Che impatto ha avuto la pandemia sui percorsi di IeFP e ITS?

 

E. Gotti: Come per i percorsi di istruzione, il lockdown ha impedito il normale svolgimento delle attività didattiche in presenza e quindi vi è stato uno spostamento delle attività nella forma dell’e-learning.

Ciò ha comportato da un lato conseguenze analoghe ai percorsi di istruzione, quale la rilevanza dei gap socio-economici tra i diversi allievi, che si sono mostrati nell’accesso alla tecnologia, nella rete di supporto familiare, nella disponibilità di spazi adeguati per un apprendimento a distanza.

Dall’altro lato la IeFP e gli ITS hanno vissuto ulteriori complicazioni derivanti da specificità loro proprie. Il primo aspetto è lo stretto legame tra questi percorsi di studio e il sistema impresa. Mentre l’obbligatorietà dell’alternanza scuola lavoro nei percorsi di istruzione è arrivata tardi e oggi ha fatto significativi passi indietro, per la IeFP e l’ITS il tirocinio curricolare è una componente costitutiva di questi percorsi, per un minimo del 30% del percorso formativo, per arrivare anche al 50% nel caso di apprendistato formativo, strumento contrattuale che viene utilizzato essenzialmente in queste due tipologie di percorso. Il lockdown aziendale ha compromesso in molti casi la possibilità di proseguire il tirocinio curricolare o addirittura è stato interrotto il contratto di apprendistato formativo che per altro non prevede lo strumento della cassa integrazione.

La disciplina dei sistemi regionali – questa la seconda specificità, cioè la competenza regionale in materia di programmazione e di gestione di tali percorsi – ha provveduto di norma con rapidità a consentire la modalità formativa a distanza, sebbene limitandola nella maggior parte dei casi all’e-learning sincrono ed a rivedere la ripartizione tra attività di aula e di tirocinio o di apprendistato.

Infine, la terza specificità è il problema di come certificare l’avvenuta formazione a erogata distanza. A differenza infatti della scuola statale dove il finanziamento pubblico provvede direttamente a coprire i costi dell’organizzazione del servizio scolastico, dal pagamento degli stipendi del personale, al costo relativo al funzionamento degli spazi, i percorsi di IeFP e l’ITS sono erogati da soggetti privati senza scopo di lucro accreditati. Lo Stato e le Regioni provvedono quindi a finanziare tali percorsi, in gran parte con risorse comunitarie ed un livello di controllo significativamente superiore a quello relativo alle scuole statali. Per questo le Regioni richiedono la tracciatura ed il controllo della presenza degli allievi e del docente, che riscontra l’effettività della formazione. Se in aula ciò avviene attraverso un registro di presenza e l’attività di controllo in itinere degli ispettori, per la formazione a distanza si sono apportate diverse soluzioni. Ogni Regione ha disciplinato in modo indipendente, chi chiedendo di registrare le lezioni a futura dimostrazione, chi facendo tenere registri individuali, chi tracciando i log delle piattaforme. Sono questi elementi rilevanti, potremmo dire fondanti, la legittimità del riconoscimento dell’attività e la sua finanziabilità con risorse pubbliche, essendo riconoscimento e finanziamento dipendenti non solo dall’avvenuta erogazione della formazione, ma anche dalla presenza dei singoli allievi.

In sintesi: la necessità di dare una pronta risposta ad allievi ed enti di formazione di fronte alla sospensione per tempi lunghi delle lezioni, ha portato diverse regioni a riconoscere in larga parte la FAD sincrona come omologa alla formazione d’aula. Ciò ha consentito una rapida e minima disciplina dei soli sistemi di tracciamento, poiché il paradigma formativo tra le due modalità è il medesimo. Ben diverso sarebbe stato realizzare una disciplina per una modalità di e-learning più radicale, che ne liberasse tutte le potenzialità, con un apprendimento indipendente non solo dallo spazio, ma anche dal tempo, che possa utilizzare i diversi strumenti e ambienti che la tecnologia mette a disposizione.

L’e-learning, o lo smartlearning – come alcuni hanno iniziato a chiamarlo in analogia allo smartworking – che in questo modo così drammatico si è imposto in questi giorni, non nasce oggi e non finirà con l’emergenza sanitaria. Fa parte della crescente influenza della tecnologia nella nostra vita, nel nostro modo di relazionarci con gli altri, di lavorare e di apprendere.

Vale forse la pena utilizzare le lezioni apprese in questo periodo drammatico per guardare all’evoluzione del sistema formativo, ponendo l’attenzione anche al quadro regolatorio, affinché sia pronto ad un cambio di paradigma dei sistemi formativi, oggi tecnologicamente possibile. Le potenzialità in tal senso sono enormi, anche in merito alle possibilità di autovalutazione con sistemi automatizzati, alla personalizzazione del percorso di apprendimento sulla base delle conoscenze e competenze pregresse di ciascuno, all’autoapprendimento attraverso sistemi complessi di gamification ed all’utilizzo di sistemi virtuali per simulare condizioni di lavoro e attrezzature reali.

Certo, tale sfida pone anche e soprattutto rilevanti questioni didattiche e pedagogiche, nonché tecnologiche. È tuttavia interessante soffermarsi sulla disciplina dei sistemi formativi e delle politiche del lavoro in riferimento allo smart working, per riconoscerne la finanziabilità e la validità nei sistemi formali. Avere un quadro regolatorio non ostile all’innovazione, ma anzi che la promuova, consentirà alle politiche formative e del lavoro di agganciare la realtà della formazione e del lavoro già oggi in azione tra le persone e le imprese. Gran parte della formazione nelle grandi aziende oggi avviene attraverso materiali ed esperienze che in tutto o in parte sono fruite in modalità asincrona, su piattaforme che contengono percorsi strutturati, ambienti di apprendimento personalizzati, strumenti di autovalutazione, fino ad arrivare ad alcune soluzioni molto raffinate, con l’utilizzo della gamification e del machine learning. Lo sforzo dovrà essere quello di definire una disciplina che sia in grado di rispondere contemporaneamente sia ai principi generali di finanziabilità dell’intervento sia di valorizzare appieno i progressi tecnologici, evitando sovra regolamentazioni e limitazioni del potenziale dell’e-learning.

 

Che ruolo immagina per l’istruzione e formazione professionale nel rilancio dell’occupazione e dell’economia?

 

E. Gotti: La filiera formativa professionalizzante di livello secondario e terziario è quella a cui guarda con costante interesse l’impresa.

In Italia questo segmento formativo è nato tardi ed è ancora limitato quantitativamente. Ciò determina un rilevante mismatch tra le figure cercate dalle imprese e quelle in uscita dai percorsi di istruzione con gli effetti da un lato di elevata disoccupazione giovanile (abbinata al fenomeno dell’overeducation), dall’altra della difficoltà di reperimento di figure da parte delle imprese, che riguarda in particolare le figure di tecnico tipiche della IeFP e degli ITS.

È prevedibile che la crisi economica generata dal lockdown potrà essere superata in un tempo non lungo dopo la diffusione del vaccino, anche grazie agli inediti programmi di aiuto europei. Ma sarebbe illusorio pensare che tutto tornerà come prima della pandemia. Vi è stata una accelerazione di processi e tendenze che erano già in essere, come la digitalizzazione e l’economia green, ed una introduzione di modalità organizzative come lo smartworking che in larga parte potrebbero mantenersi nel futuro.

Coerentemente a ciò, le analisi della domanda del mercato del lavoro, già ora, a settembre 2020, mostrano l’aumento di domanda di tecnici. In tal senso i percorsi di IeFP e ancor di più quelli degli ITS sono da potenziare in termini quantitativi e sono da far conoscere maggiormente alle famiglie le tipologie di percorsi ed i lavori a cui preparano.

Se come sistema Paese vogliamo contribuire allo sviluppo delle competenze nelle nostre imprese e quindi della competitività del nostro sistema, nonché contestualmente a ridurre la disoccupazione giovanile, dobbiamo formare più tecnici attraverso la filiera professionalizzante di secondo ciclo e di livello terziario.

 

Recentemente è stato aggiornato il Repertorio delle figure nazionali per le qualifiche e i diplomi IeFP. Ritiene che il mutato scenario economico/occupazionale creato dalla pandemia, renda oggi necessario ripensare le competenze dei profili professionali in uscita o addirittura introdurre nuovi profili?

 

E. Gotti: Vi sono due aspetti che devono collegare maggiormente i percorsi di studio alle dinamiche di medio e lungo periodo relative alla domanda di competenze che viene dal sistema impresa.

Da una parte gli ordinamenti, cioè appunto i repertori dei percorsi, le discipline apprese, le competenze obiettivo dei percorsi professionalizzanti, dovrebbero evolvere più rapidamente per stare maggiormente al passo dell’accelerazione dei cambiamenti del mondo del lavoro.

Vi è però un altro aspetto degli ordinamenti che deve essere messo a tema: le analisi internazionali ci mostrano come i sistemi educativi di maggior successo definiscono a livello centrale solo il nucleo veramente essenziale di competenze obiettivo dei percorsi, lasciando poi a livello territoriale o di singolo istituto la declinazione ulteriore del percorso di studi che quindi più facilmente può tenere conto dei fabbisogni locali e delle loro evoluzioni nel tempo. Si tratta quindi a livello centrale di togliere, non di aggiungere.

Certamente per raggiungere questo risultato bisogna calibrare anche gli esami finali, limitandone la standardizzazione agli elementi minimi comuni nazionali e lasciando una parte dell’esame all’autonomia degli istituti.

Dall’altro lato è importante agire sulla programmazione, cioè sul numero di percorsi da attivare sul territorio nazionale per tipologia di corso di studio. Ad oggi non vi è alcun collegamento tra le tendenze del fabbisogno delle imprese e la programmazione dei percorsi universitari. Questa mancanza insieme all’assenza di un sistema di orientamento professionale rivolto a studenti e famiglie contribuisce al crescere del mismatch. Ciò ha determinato ad esempio la carenza del personale sanitario che si sarebbe ben potuta evitare se il dimensionamento dei percorsi universitari e delle scuole di specializzazione fosse stato definito sulla base delle proiezioni del fabbisogno di tali figure professionali.

 

Ritiene possa essere utile aprire i percorsi di Ife, IFTS e ITS anche agli adulti, lavoratori o disoccupati, magari prevedendo procedure per il riconoscimento delle competenze già maturate e l’accorciamento degli studi?

 

E. Gotti: È l’OCSE che ce lo raccomanda, nel suo rapporto Skill Strategy. Il 39% degli adulti italiani ha un basso livello di competenza ed avrà difficoltà di adattamento ai cambiamenti sociali e del mercato del lavoro. Abbiamo anche la percentuale di partecipazione alla formazione per adulti tra le più basse.

Non solo è utile aprire i percorsi IeFP, IFTS e ITS agli adulti, ma è necessario rendere più flessibile la partecipazione a questi percorsi attraverso tre linee di intervento: programmare l’acquisizione di questi titoli di studio anche attraverso una modularità dei percorsi, semplificare i meccanismi di riconoscimento delle competenze in ingresso anche acquisite al di fuori dei contesti formali, infine sviluppare percorsi in e-learning.

 

Perché scegliere, oggi e domani, i percorsi di istruzione e formazione professionale? Che relazioni cambiare, o sviluppare, con il mondo della scuola, dell’istruzione terziaria e del sistema produttivo?

 

E. Gotti: I percorsi professionalizzanti hanno la caratteristica di dare maggiore valore a conoscenze ed intelligenze diverse dalla conoscenza teorica e dall’intelligenza logico-matematica. In tal senso in molti paesi, a partire dalla Germania, la VET rappresenta già da decenni un’alternativa ai percorsi liceali e accoglie circa la metà degli studenti.

Potremmo dire che se il liceo punta all’episteme, la VET è guidata dalla techne, in tutta la sua varietà e ricchezza.

La tradizione scolastica italiana ha puntato decisamente sul modello dell’istruzione liceale. Addirittura, anche l’istruzione tecnica e professionale si sono sviluppati secondo un modello semplificato di liceo. Sono al contrario la IeFP, l’IFTS e l’ITS che oggi meglio rappresentano l’esperienza della VET in Italia.

La forza di questi percorsi è il loro stretto rapporto con ciò che è fuori da loro stessi, in primis con il mondo del lavoro, con il sistema impresa, con i professionisti aziendali. Questi percorsi vedono nell’impresa un partner con cui co-progettare e co-realizzare i percorsi di studio, guardano al lavoro come un luogo di apprendimento, riconoscono nel circolo teoria-prassi il fondamento della modalità di apprendimento, comprendono che il coinvolgimento emotivo e la significatività di ciò che si apprende sono il vero motore dell’apprendimento.

 

Quali sono, a suo parere, le principali criticità che limitano le potenzialità dell’IeFP, e come risolverle?

 

E. Gotti: Il sistema IeFP, benché sia formalmente inserito nel sistema educativo da 15 anni, è ancora incompleto, sotto-finanziato, frammentato.

Nonostante la competenza costituzionale regionale in materia, lo Stato ha il compito di definire e far rispettare i LEP alle Regioni (livelli essenziali di prestazione a tutela dei diritti sociali e civili) su tutto il territorio nazionale, come avviene ad esempio per la sanità.

La mancata definizione del regolamento di accertamento dei LEP ha causato una regionalizzazione del sistema ancor più marcata di quanto previsto dalla Costituzione con la conseguenza che vi sono dei territori dove è negato il diritto di iscriversi ai percorsi IeFP nei centri di formazione professionale.

Vi è inoltre da sottolineare che una funzione essenziale della Repubblica italiana dovrebbe essere finanziata dalla fiscalità generale, come avviene per l’istruzione, mentre a tutt’oggi le fonti di finanziamento del sistema svolto negli enti di formazione accreditati le risorse sono lo storico fondo di 189 milioni di euro del bilancio Ministero del Lavoro che viene ripartito tra le Regioni, i fondi comunitari dei POR FSE regionali ed in qualche raro caso anche i bilanci regionali.

Tali modalità di finanziamento limitano l’offerta formativa a quanto definito dalla programmazione regionale, al di là della domanda effettiva. Inoltre, l’utilizzo delle risorse comunitarie è improprio per sostenere un sistema ordinamentale, perché rende la IeFP un insieme di progetti, approvato annualmente in modo non sistematico. Serve quindi individuare modalità di finanziamento del sistema stabili e correlate alla domanda, analogamente a quanto avviene per la sanità, l’istruzione.

Per quanto riguarda invece i percorsi ITS, dobbiamo tenere presente che l’Italia è all’ultimo posto nei Paesi OCSE per giovani 25-34 anni con titolo di studio di livello terziario. Le diverse analisi concordano nell’affermare che una delle principali cause di tale gap sia la struttura dell’offerta formativa, che sconta la storicamente scarsa presenza di percorsi brevi e professionalizzanti atti a soddisfare le esigenze degli studenti con un profilo meno accademico o di chi già abbia accumulato esperienze di lavoro. Si evidenzia come l’Italia abbia un tasso di passaggio al livello terziario di circa il 50%, a fronte del di 70% della Francia, la quale ha un sistema scolastico simile a quello italiano, con la differenza di poter contare su un solido sistema professionalizzante terziario professionalizzante che accoglie oltre 300mila studenti l’anno.

Sono soprattutto i giovani diplomati negli istituti tecnici e professionali a non iscriversi al livello terziario, non potendo contare su un’offerta professionalizzante a ciclo breve. Il sistema ITS, che ha dato in 10 anni di vita buoni frutti dal punto di vista della preparazione degli allievi, del tasso di inserimento lavorativo e di soddisfazione di imprese ed allievi, è tuttavia ancora troppo limitato. Vi sono infatti solo poco più di 15 mila iscritti, a fronte degli oltre 1 milione seicentomila iscritti al sistema universitario (meno dell’1%). In Francia, Regno Unito, Germania, i percorsi professionalizzanti a ciclo breve raccolgono invece oltre il 20% degli studenti iscritti al livello terziario.

Lo sviluppo del segmento terziario professionalizzante richiede un piano di sviluppo pluriennale progressivo, realizzato attraverso un rafforzamento del numero di iscritti, degli ordinamenti, delle strutture erogatrici dei percorsi ed accompagnato da un adeguato investimento pubblico.

 

Paolo Bertuletti

Assegnista di ricerca

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@PaoloBertuletti

 

Per un sistema di istruzione e formazione professionale/19 – L’esperienza di PTS Class. Intervista a Eugenio Gotti