Per un sistema di istruzione e formazione professionale/13 – L’esperienza del Patronato San Vincenzo. Intervista a Marco Perrucchini

Bollettino ADAPT 24 agosto 2020, n. 30 

 

L’Associazione Formazione Professionale del Patronato San Vincenzo è un ente accreditato dalla Regione Lombardia nell’ambito della IeFP in Diritto e dovere di istruzione e formazione e della Formazione continua, che gestisce tre centri di formazione in provincia di Bergamo.

 

Nello spirito del suo fondatore, don Bepo Vavassori, un sacerdote bergamasco che negli anni Venti del Secolo scorso iniziò ad accogliere bambini e giovani giunti in città per lavorare senza una rete di sostegno familiare e sociale (quelli che oggi potremmo definire giovani “a rischio esclusione”) preoccupandosi della loro formazione spirituale e professionale, il Patronato ancora oggi offre percorsi per la formazione professionale di ragazzi che hanno appena concluso le scuole medie e per il recupero della dispersione scolastica e l’inserimento lavorativo dei giovani NEET.

 

Per sapere come l’Associazione intende continuare ad offrire i suoi servizi formativi rivolti a giovani e adulti intervistiamo il suo direttore don Marco Perrucchini.

 

Che impatto ha avuto la pandemia sulle vostre attività formative?

 

Marco Perrucchini: prima ancora che il governo disponesse la sospensione delle attività scolastiche e formative abbiamo deciso di chiudere i nostri centri per tutelare la salute dei nostri allievi e del personale. Tenga conto che la sede di Bergamo è contigua ad una struttura di prima accoglienza, dove transitano quotidianamente diverse persone.

 

Dopo la chiusura, il primo problema che ci siamo posti è stato quello di mantenere una relazione con i nostri allievi, molti dei quali risiedono nelle zone della Val Seriana che sono state maggiormente colpite dall’epidemia. I formatori hanno trovato modalità e approcci differenti per farlo, al di là delle scelte fatte successivamente per garantire la formazione a distanza.

 

I primi giorni di marzo abbiamo fatto un sondaggio tra i formatori per capire quanti dei nostri allievi non disponessero di computer o collegamento ad internet. Parallelamente abbiamo fatto partire una raccolta fondi presso alcune fondazioni per acquistare i device da cedere loro in comodato d’uso. Complessivamente siamo riusciti a raccogliere 30.000 euro e acquistare così 41 computer portatili che abbiamo distribuito alle famiglie nella settimana di Pasqua. Abbiamo privilegiato gli studenti delle classi terze e quarte, in considerazione del fatto che di lì a poco avrebbero dovuto affrontare l’esame.

 

Al di là del contributo concreto, questa nostra premura nei confronti dei ragazzi è stata molto apprezzata dalle famiglie, come segno di vicinanza in un momento delicato.

 

Anche i formatori sono stati dotati di tutta la strumentazione necessaria per insegnare a distanza. A chi aveva necessità abbiamo offerto un abbonamento per la connessione internet veloce e procurato un computer smantellando un nostro laboratorio informatico.

 

Dopo aver preparato in questo modo il terreno, come avete organizzato la didattica a distanza? Quali metodologie hanno adottato i docenti per garantire l’apprendimento degli allievi?

 

Marco PerrucchiniLa scelta è stata quella di puntare sulla formazione a distanza sincrona per tutte le discipline di aree generale, coprendo mediamente un monte ore settimanale di circa 12-15 ore. In FAD sincrona sono state svolte anche le lezioni teoriche delle materie tecnico-professionali. Mentre la parte pratica è stata tramutata in project work.

 

Ai meccanici d’auto è stato chiesto di ipotizzare un progetto di officina ideale finalizzata a interventi specialistici sul veicolo. Agli allievi grafici è stato chiesto di ideare una versione creativa del proprio CV facendo in modo di presentare le proprie competenze grafiche tramite un prodotto specifico contente tutti i dati che compongono un curriculum in formato standard.

 

Ai carrozzieri di approfondire una fase di lavoro tipica del settore al fine di trovare alternative e soluzioni per migliorare il processo lavorativo tenendo conto delle normative vigenti in materia di sicurezza.

 

Agli allievi del settore macchine utensili, sono stati invece proposti progetti personalizzati. Un ragazzo che ha lavorato durante il tirocinio con un manipolatore meccanico, ad esempio, ha sviluppato un progetto in cui si prevedeva di inserire questo strumento nei laboratori della scuola a integrazione della didattica indicando quali aspetti positivi avrebbe apportato sia per la formazione degli allievi sia per le aziende che assumono i giovani qualificati.

 

Un altro ha prodotto un tappo per il serbatoio di benzina della moto a partire da un disegno meccanico, calcolando anche i costi della sua produzione in serie e così via.

 

In merito alla didattica a distanza, vorrei aggiungere un’altra considerazione. Questa modalità di interazione e insegnamento ha funzionato bene anche con gli allievi con disabilità cognitiva lieve. Spesso questi ragazzi vivono con disagio le dinamiche di classe: pensiamo alla presenza dell’insegnante di sostegno, al trattamento speciale loro riservato durante le prove di verifica oppure ai distacchi temporanei dall’aula, che palesano la loro «diversità». Ebbene, con la didattica a distanza la personalizzazione degli interventi – soprattutto la gestione differenziata delle tempistiche dell’apprendimento – è stata più naturale e non ha generato quel senso di stigmatizzazione.

 

Come avete gestito gli apprendistati?

 

Marco Perrucchini: Per i nostri studenti impegnati in apprendistato abbiamo garantito la formazione esterna a distanza. Per quelli di loro che hanno continuato oppure ripreso dopo un’iniziale sospensione l’attività lavorativa questa modalità è stata molto apprezzata.

 

Secondo me, sarà opportuno utilizzarla anche in futuro, indipendentemente dai problemi legati all’emergenza sanitaria: magari concentrando la formazione alla mattina, senza obbligare gli allievi a venire necessariamente a scuola, consentendogli così di andare al lavoro nel pomeriggio. Oppure, concentrando la formazione in moduli tematici intensivi svincolati dall’orario scolastico.

 

Come state gestendo la ripresa, e come immaginate lo svolgimento del prossimo anno formativo? 

 

Marco Perrucchini: Prima di rispondere a questa domanda, tengo a precisare che a livello di staff abbiamo avviato con il supporto di due psicologhe del lavoro una riflessione sul modo con cui stiamo utilizzando gli strumenti della comunicazione a distanza. Si tratta, in realtà, di un lavoro che abbiamo iniziato circa due anni fa e che ci aiuta a riflettere sulla nostra organizzazione. In questo periodo di grandi cambiamenti ci è servito per immaginare anche un nuovo approccio organizzativo in vista della ripresa.

 

Per quanto riguarda le modalità di erogazione dell’offerta formativa, la prima cosa che mi viene in mente per l’anno prossimo è una differenziazione fra gli allievi dei primi due anni e quelli del terzo e quarto anno. Con i ragazzi più giovani non potremo prescindere dall’incontro in presenza: ciò significa che per le classi prime e seconde daremo massima priorità al rientro a scuola. L’incontro in presenza è meno urgente per le classi superiori. Ecco perché potrebbe essere una scelta strategica per l’anno prossimo mandare i ragazzi di terza subito in tirocinio all’inizio dell’anno, così da liberare spazi all’interno del centro e consentire così il distanziamento sociale.

 

La seconda soluzione attualmente in fase di valutazione è la messa a regime di una sperimentazione che stiamo attuando in questi mesi estivi. L’idea è quella di utilizzare le imprese del territorio come laboratori diffusi dove i nostri allievi potranno svolgere le ore curricolari di esercitazioni pratiche sotto la supervisione di un tutor aziendale. In sostanza vorremmo aumentare le ore di tirocinio facendo in modo da farvi rientrare anche le attività pratiche tradizionalmente svolte all’interno dei laboratori scolastici. In tal modo, garantiremmo il distanziamento sociale richiesto dalle linee guida nazionali e allo stesso tempo consentiremmo ai nostri ragazzi di consolidare la propria consuetudine con l’ambiente di lavoro, che significa ulteriori opportunità per sviluppare competenze tecnico-professionali e, soprattutto, competenze trasversali.

 

Questa modalità – come dicevo – è stata sperimentata nei mesi estivi ed è nata anzitutto per recuperare le attività pratiche non svolte dagli allievi a causa del Covid. Si è trattato in verità di uno mutuo supporto fra il Centro di formazione e le imprese del territorio: queste ultime si sono impegnate ad ospitare gli allievi in tirocini estivi della durata di 60 ore, mentre AFP si è impegnato a reperire i fondi per riconoscere loro un contributo economico anche minimo, ma che le potesse ricompensare per il tempo dedicato ai ragazzi e, allo stesso tempo, le aiutasse in una fase economica critica. Il calo del lavoro è stato in un certo senso riempito dall’impegno formativo.

 

Al di là della soluzione pratica, di cui potremo valutare i risultati alla fine dell’estate, e che risponde alle esigenze del momento in vigenza delle norme sul distanziamento sociale, ciò che mi pare interessante è l’intuizione che sta dietro a questa iniziativa.

 

Una nuova idea del rapporto fra la scuola e il territorio, dove la collaborazione va oltre l’alternanza scuola lavoro e diventa alleanza stabile, in cui, quasi per osmosi, la scuola entra nell’azienda e l’azienda entra nella scuola. Non a caso, da anni noi chiediamo alle aziende di visitare i nostri laboratori e di valutare i nostri programmi di studio per suggerirci come migliorarli. Tenendo conto delle loro indicazioni e con il supporto economico di reti territoriali cerchiamo poi di aggiornarci e di potenziare le nostre strutture.

 

Di converso, l’idea del laboratorio diffuso fa riscoprire alle aziende la loro vocazione formativa responsabilizzandole anche su questo fronte. Certo, il rischio di demandare la formazione alle imprese è quello di renderla troppo specialistica, cioè limitata soltanto ai processi produttivi praticati in azienda. La nostra idea è di affidare ai responsabili di progetto il monitoraggio costante delle varie realtà sparse sul territorio dove vengono inviati i nostri allievi, in modo da poter capire dove è necessario integrare la loro formazione pratica in azienda con dei moduli formativi da svolgere nei laboratori scolastici che compensino i contenuti non affrontati in azienda.

 

L’auspicio, in sintesi, è quello di creare un vero e proprio ecosistema della formazione e della produzione dove la collaborazione fra enti di formazione e aziende sia stabile, se non altro perché il destino degli uni è strettamente collegato a quello delle altre e viceversa. Le aziende infatti non possono sopravvivere senza un sistema efficiente di formazione professionale che prepari i giovani alle sfide lavorative del futuro. La scuola professionale, d’altra parte, non ha più senso se le aziende spariscono.

 

Che ruolo immagina per l’istruzione e formazione professionale nel rilancio dell’occupazione e dell’economia che ci attende?

 

Marco Perrucchini: Posso solo dire che già durante l’emergenza Covid alcune aziende con cui collaboriamo ci hanno chiesto di attivare corsi di riqualificazione per i propri dipendenti. Il nostro centro infatti, oltre ai corsi IeFP in diritto e dovere di istruzione e formazione, offre numerosi corsi di formazione per adulti.

 

Inoltre, nell’ottica dell’ecosistema a cui facevo riferimento prima quei lavoratori che oggi, o nel prossimo futuro, avranno meno lavoro e non riusciranno a lavorare a tempo pieno, potrebbero essere impiegati, almeno temporaneamente, come formatori dei nostri allievi; distaccati dall’azienda presso in nostri centri oppure tutor dei nostri allievi presso l’azienda con le modalità del laboratorio diffusoLa prospettiva (oggi obiettivamente ancora lontana, ma a cui mi pare promettente per il futuro) è quella di tradurre la collaborazione stabile con le aziende in una condivisione non solo degli spazi e delle strumentazioni, ma anche delle risorse umane.

 

Quali sono, a suo parere, le principali criticità che limitano le potenzialità della vostra offerta formativa, e come risolverle?

 

Marco Perrucchini: In primis direi il sistema di finanziamento dotale ancorato alle ore di servizio effettivamente svolte. Principio sicuramente ragionevole e virtuoso, perché ci stimola a migliorare l’offerta e a renderla sempre più personalizzata, ma che in molti casi rischia di svilire il lavoro fatto. Mi spiego. Benché il nostro centro possa vantare un tasso di successo formativo e occupazionale molto elevato (circa il 90% dei nostri qualificati e diplomati è occupato), ci sono sempre allievi che non arrivano alla fine dell’anno. Ciò non significa che con loro non sia stato fatto un grande lavoro educativo, ma se le ore impiegate non raggiungono una certa quota, la Regione non riconosce il finanziamento della dote per quel percorso formativo. Questo meccanismo mina la sicurezza e la stabilità dei finanziamenti, che sono – come si può facilmente intuire – condizioni essenziali per consentire una programmazione serena dell’offerta formativa e dei servizi connessi.

 

Non bisogna poi dimenticare che circa il 30% dei nostri allievi sono affetti da disabilità, oppure da disturbi specifici di apprendimento o ancora presentano bisogni educativi speciali. Un tasso molto più elevato rispetto a quello che si registra nei percorsi di istruzione. Questa circostanza testimonia, da un lato, la capacità di inclusione dei nostri percorsi e, dall’altro, l’impegno educativo profuso senza che sia previsto alcun finanziamento statale per gli insegnanti di sostegno.

 

C’è poi il problema dell’orientamento in uscita dalla scuola secondaria di primo grado. Purtroppo, gli insegnanti delle medie non vedono di buon occhio la filiera dell’IeFP. Non considerano che la vocazione pratica dei nostri percorsi formativi può aiutare molti ragazzi a crescere, può valorizzarne i talenti, aprire carriere professionali di successo. Forse non sono neppure consapevoli della qualità che si può trovare anche in questi percorsi, i quali – non va dimenticato – non si interrompono necessariamente con il diploma quadriennale, ma proseguono a livello post-secondario con percorsi di specializzazione IFTS e ITS.

 

Paolo Bertuletti

Assegnista di ricerca

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@PaoloBertuletti

 

[1] L’Italia è al terzo posto nell’Unione europea per tasso di disoccupazione giovanile: 29,6% dei giovani di età compresa fra 15 e 24 anni (Fonte Eurostat).

[2] Cfr. F. E. Caroleo, F. Pastore, L’overeducation in Italia: le determinanti e gli effetti salariali nei dati AlmaLaurea, in «Scuola democratica, Learning for Democracy», 2, 2013, pp. 353-378.

 

Per un sistema di istruzione e formazione professionale/13 – L’esperienza del Patronato San Vincenzo. Intervista a Marco Perrucchini