«Per l’Italia non è più tempo di compromessi, bisogna scegliere fra i sistemi economici americano e tedesco»

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Al termine dei lavori del Consiglio per le relazioni tra Italia e Stati Uniti tenutosi nel dicembre 2013, Sergio Marchionne disse una cosa che appariva molto sensata agli occhi di un giovane studioso di relazioni industriali: «per l’Italia non è più tempo di compromessi, bisogna scegliere fra i sistemi economici americano e tedesco».

 

Marchionne aveva in mente, come qualsiasi imprenditore o amministratore delegato d’azienda, il mantra della certezza delle regole. Ogni azienda sa che le regole di governo della concorrenza, incluse quelle per l’organizzazione del lavoro, possono contribuire a supportare la produttività e la competitività. Ma solo a condizione che siano certe, esigibili e rispettate da tutti, dentro e fuori la fabbrica (sistema tedesco). Altrimenti è meglio affidarsi alla mano invisibile del mercato (sistema americano).

 

Il sistema italiano di relazioni industriali, di cui il modello FCA ha rappresentato la sola credibile alternativa a partire dal 2012, è stato da sempre contraddistinto, seppur con marcate differenze settoriali, da moltissime regole (alcune buone, altre meno), ma anche da un bassissimo tasso di certezza ed esigibilità. A questo dato di complessità che ha interessato in un primo momento il rapporto tra centro e periferia nei processi di regolazione del mercato del lavoro, si è affiancato nell’ultimo decennio un inedito sviluppo di sistemi di regole alternativi nella forma della contrattazione pirata. Il peggiore dei mondi possibili per una azienda che vuole competere seriamente nel mercato globale e investire in Italia.

 

L’accordo tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil del 28 febbraio 2018 ha avuto il pregio di indicare una strada, condivisibile o meno, per uscire dal guado. La strada di una concorrenza basata su regole certe, da declinare a seconda dei settori in chiave di maggiore o minore propensione al decentramento contrattuale, ovvero in termini di maggiore o minore attenzione ai mega-trend di cambiamento del lavoro, alle sfide e alle opportunità che implicano per i lavoratori e per le imprese.

 

Alla rappresentanza politica e sindacale di oggi resta la scelta di procedere senza indugi a fornire il necessario sostegno (amministrativo o legislativo che sia) per rendere efficaci le indicazioni programmatiche contenute nel c.d. Patto della Fabbrica. Oppure, all’opposto, di imboccare la strada per la transizione generalizzata al modello FCA che per le PMI significa contrattazione provinciale o di filiera di primo livello. Un intervento deciso nell’una o nell’altra direzione non è più rinviabile.

 

Paolo Tomassetti

ADAPT Research Fellow

@PaoloTomassetti

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