Pagati per cercare lavoro. Così la Finlandia riscrive le regole dello Stato sociale

Nel bar circondato dalla neve sottile al numero uno di Bulevardi, non lontano dal porto e dalle vie dei negozi di alta moda che circondano il Decumano Massimo, la trentunenne disoccupata Sini Marttinen è decisa a difendere con tutta se stessa la dignità del suo privilegio. «Perché privilegio? Non è vero che mi pagano per non lavorare. Mi pagano per cercare un lavoro». Attorno a lei un brusio di voci, fette di torta al cioccolato e musica pop inglese.

 

E se non lo trovi un lavoro, Sini? «Mi pagano lo stesso». Sorseggia un latte caldo, godendosi l’effetto che fa l’ultimo trucco del meraviglioso Grande Nord. «So che non è facile da capire. Ma così posso concentrarmi su ciò che voglio davvero, evitando di restare impantanata nella burocrazia. Non peso sui miei connazionali. Li aiuto a crescere». E qui è necessario un passo indietro.

 

Sini, laureata in Economia a Edimburgo, era un’imprenditrice impegnata nel campo delle consulenze. Con la crisi il suo lavoro è sparito e lei si è sentita come un vascello rimasto bloccato a lungo su un fiume di pietre, finché l’onda alta di un nuovo mondo l’ha sollevata dal fondale. Bello. Ma quale nuovo mondo? …

 

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