Modalità di accesso e durata dei contratti a tempo indeterminato

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Uno dei principali obiettivi del Jobs Act era quello di creare nuova occupazione stabile, attraverso la definizione del contratto a tempo indeterminato quale forma di assunzione privilegiata e con una politica di incentivi che lo rendesse più conveniente rispetto ad altre tipologie contrattuali.

 

I dati dimostrano che negli anni immediatamente successivi alla riforma, la decontribuzione ha dato nuovo impulso alle assunzioni a tempo indeterminato. Secondo l’Inps, tra il 2015 e il 2016 si sono guadagnati complessivamente oltre un milione di posti di lavoro a tempo indeterminato, che hanno consentito di riportare i livelli occupazionali al periodo pre-crisi. In Veneto, i posti recuperati nel biennio sono stati oltre 64.300 (dati Veneto Lavoro), un risultato che ha permesso di portare il saldo delle posizioni di lavoro a tempo indeterminato a +8.000 unità tra giugno 2008 e giugno 2017.

 

La stabilità dei rapporti di lavoro è universalmente riconosciuta come un importante elemento di qualità sociale e del mercato del lavoro, perché in grado di favorire gli investimenti di capitale umano, ma i dati sui saldi non sono sufficienti a descrivere il reale impatto di tale tipologia contrattuale sulle caratteristiche del mercato del lavoro italiano. Altre domande si pongono: come si arriva a un posto di lavoro stabile? a chi lo riservano le imprese? quanto dura, in effetti, un rapporto a tempo indeterminato?

 

Le risposte, con particolare riferimento al mercato del lavoro veneto, hanno provato a fornirle alcuni studi dell’Osservatorio di Veneto Lavoro. E sono, per certi versi, sorprendenti.

 

Riguardo alle modalità di accesso al tempo indeterminato, analizzando i dati delle attivazioni registrate in Veneto negli ultimi anni si scopre innanzitutto che l’aver già maturato esperienza lavorativa nella stessa azienda si rivela spesso un fattore determinante, indipendentemente dall’età. Circa il 50% delle assunzioni a tempo intederminato riguarda, infatti, lavoratori che avevano già lavorato in precedenza nella stessa azienda con un altro tipo di contratto. Nella maggior parte dei casi si tratta della trasformazione di un rapporto a tempo determinato o di apprendistato, ma anche di chi era assunto con contratti di somministrazione, collaborazione, tirocinio o lavoro intermittente, magari fino a meno di un mese prima. L’esperienza è fondamentale anche se effettuata presso un’altra azienda, anche con contratto a tempo indeterminato, mentre solo in circa il 10% dei casi le assunzioni si riferiscono a soggetti che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro. Una quota che è andata via via diminuendo nel corso degli anni, passando dal 15% del 2010 all’11% dell’ultimo biennio.

 

Ma una volta raggiunto il sospirato “posto fisso”, quando dura il rapporto di lavoro? Considerando il periodo 2008-2015 si scopre, innanzitutto, che contrariamente all’opinione comune un contratto a tempo indeterminato non è per sempre. Anzi, in un caso su tre dura meno di un anno e molto spesso è il lavoratore a decidere di abbandonare il proprio posto di lavoro. Fa eccezione l’anno 2015, quando tale quota è scesa al 24%, ma è un fenomeno dovuto in larga parte alla decontribuzione di durata triennale, che non solo ha determinato un aumento del numero di attivazioni, ma anche un incremento del tasso di sopravvivenza dei rapporti di lavoro.

 

Come già visto in occasione delle modalità di accesso a tale contratto, una precedente esperienza lavorativa nella stessa azienda incide anche sulla durata del contratto. Il 90% delle trasformazioni da tempo determinato o apprendistato supera l’anno di vita, il 65-70% i tre anni e il 50-55% dura oltre i cinque anni. Un dato questo che non sorprende se si considera che la trasformazione a tempo indeterminato denota da ambo le parti la volontà di proseguire un rapporto già collaudato. Anche la settorialità incide sulle durate: Pubblica Amministrazione, telecomunicazioni, credito e alcuni comparti dell’industria (utilities, ceramica, oreficeria) sono quelli che registrano tassi di sopravvivenza più elevati, mentre turismo, servizi di pulizia e di vigilanza quelli in cui il rapporto di lavoro dura statisticamente di meno.

 

Un dato certamente più inaspettato è quello riguardante le cause di cessazione di un rapporto a tempo indeterminato, che molto spesso si chiude per volontà del lavoratore piuttosto che del datore di lavoro. Le dimissioni rappresentano, infatti, oltre il 50% delle cessazioni, mentre i licenziamenti (disciplinari, individuali e collettivi) interessano il 30% dei casi.

 

Per capire come e quanto le recenti riforme (tutele crescenti, esonero contributivo ecc.) abbiano inciso sulla consistenza e sulle caratteristiche dei rapporti a tempo indeterminato, bisognerà invece attendere almeno il 2018, ovvero la data di fine validità delle agevolazioni previste per i contratti stipulati nel 2015.

 

Luca Candido

Veneto Lavoro

@candidoluca

 

Riferimenti:

– Misura/72 – La durata effettiva dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato,

(Osservatorio mercato del lavoro – Veneto Lavoro)

– Misura/73 – Come si arriva ad un posto di lavoro a tempo indeterminato?

(Osservatorio mercato del lavoro – Veneto Lavoro)

 

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Modalità di accesso e durata dei contratti a tempo indeterminato
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