Mobilità dei ricercatori: il nodo della sicurezza sociale

La tensione delle istituzioni comunitarie verso una area europea della ricerca pone al centro del sistema la mobilità dei ricercatori e con essa il nodo ineludibile di un equo sistema di sicurezza sociale. Pochi ancora ne parlano, ma è proprio questo uno degli aspetti di maggiore criticità che hanno sin qui impedito il decollo delle proposte della Commissione di incoraggiare e sostenere a tutti i livelli la mobilità di chi lavora nel settore di ricerca con transizioni non solo settoriali (pubblico e privato) e professionali (da disciplina a disciplina) ma anche geografiche (da Paese a Paese).

 

Che in generale l’intero mercato del lavoro sia oggi scandito da continue transizioni è un dato oramai acquisito, ma per i ricercatori questo dato è ancora più stringente solo se si considera che parliamo di una carriera frammentata che si sviluppa in multi-step: dottorati, post-docs, assegni di ricerca, contratti a termine. Tutte tipologie contrattuali flessibili e temporanee che si susseguono intervallate da periodi di disoccupazione. La mobilità geografica è all’ordine del giorno, non essendo più un valore aggiunto destinato a pochi, ma condizione necessaria per svolgere a certi livelli la professione di ricercatore. La mobilità geografica può comportare uno spostamento da una regione all’altra sia all’interno dell’Unione Europea (intra-UE), sia all’esterno coinvolgendo Paesi Terzi (extra-UE). La mobilità geografica intra-UE (art. 39 TUE) è sorretta da una delle quattro principali libertà europee: la libera circolazione dei lavoratori (artt. 79,80 TFUE).

 

Avendo il mercato del lavoro dei ricercatori i tratti caratteristici della transizionalità e della mobilità geografica, si comprende allora quanto sia necessario un sistema previdenziale unico tra gli Stati membri o quantomeno forme di coordinamento e armonizzazione affinché il ricercatore non perda i suoi diritti pensionistici nel passaggio da un Paese o settore all’altro. Per un coordinamento efficace tra i diversi sistemi di sicurezza sociale è inoltre necessario che venga definito in modo conforme per tutti gli Stati Membri lo status legale dei ricercatori, su modello della direttiva 2005/71/CE che definisce lo status di ricercatore con riferimento ai cittadini dei Paesi terzi.

In questa prospettiva di analisi i diritti pensionistici sono la dimensione più consistente e problematica della previdenza sociale (37,8%), seguiti dalla assistenza sanitaria (28%), dalla indennità di disoccupazione (27,1%) e dai congedi familiari (22%) (European Commission, Realising a single labour market for researchers, Report of the ERA Expert Group, 2008, p. 37).

Allo stato, il tema della portabilità delle pensioni è disciplinato a livello europeo dal Regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno dell’Unione. Dal 1° maggio 2010 quest’ultimo è stato sostituito dal regolamento n. 883/2004.

 

Il regolamento 1408/71 (883/2004), ai fini del coordinamento tra i vari sistemi di previdenza sociale degli Stati membri, prevede all’art. 13 la lex loci laboris quale criterio principale di collegamento della legge applicabile al ricercatore che rivendica i suoi diritti pensionistici. L’applicazione della lex loci laboris potrebbe tuttavia non essere appropriata quale criterio di collegamento dal momento che un ricercatore, che lavora spesso con contratti di breve durata in diversi Stati membri, si confronterebbe con una serie numerosa di diversi regimi di sicurezza sociale e ciò renderebbe il coordinamento tra essi molto complesso.

Tale coordinamento tuttavia può essere facilitato da due procedure previste dallo stesso regolamento 883/2004. In primo luogo, viene regolamentata la procedura del c.d. posting, e cioè una forma di “distacco” che permette temporaneamente (per un massimo di due anni) a un lavoratore, che si trova all’estero, di rimanere affiliato al regime di previdenza sociale dello Stato membro di lavoro abituale. Il posting, quale tecnica di distacco può essere una procedura particolarmente utile per i ricercatori che possono rimanere sotto un’unica legislazione nazionale, nonostante la mobilità internazionale e intra europea. In secondo luogo, il posting può essere promosso tramite l’applicazione dell’art. 17 Reg. 1408/71 (art. 16 Reg. 883/2004), che stabilisce che due o più Stati membri possono, di comune accordo, prevedere deroghe alle disposizioni dell’art. 13 e ss., nell’interesse di determinate categorie di persone. Tale disposizione, che deroga all’applicazione della lex loci laboris, è uno strumento utile che può facilitare, per esempio, la permanenza dell’applicazione di una normativa nazionale di previdenza sociale per i ricercatori mobili, ad esempio a causa di durata eccessiva rispetto al tempo massimo consentito (2 anni) dalla procedura del posting. L’articolo 17 si applica a tutte le forme di mobilità geografica. Pertanto, gli Stati membri dovrebbero considerare l’opportunità, con il sostegno della Commissione europea, di promuovere accordi bilaterali o multilaterali che determinino la legge da applicare, o che consentano ai ricercatori stessi di scegliere, in condizioni chiare, la legislazione applicabile: del Paese d’origine, di quello ospitante o del Paese fissato dal criterio concordato tra le parti coinvolte nell’accordo ex. art. 17 Reg. 1408/71.

 

Vero è tuttavia che il coordinamento dei sistemi pensionistici nazionali risulta ancora oggi alquanto complicato, con il rischio di essere largamente inefficace. Una soluzione realista, auspicata dall’ERA Expert Group (European Commission, Realising a single labour market for researchers, Report of the ERA Expert Group, 2008, p. 47-51), potrebbe essere la creazione a livello europeo di un sistema unico di previdenza complementare, che possa integrare i sistemi nazionali delle pensioni. Nel breve periodo, si dovrebbe raccogliere l’ammontare dei crediti pensionistici maturati dai ricercatori attraverso l’edificazione di un istituto finanziario di previdenza complementare; inoltre sarebbe anche necessario introdurre sussidi per gli assegnisti di ricerca che non sono coperti da alcun sistema pensionistico nazionale. Nel medio-lungo periodo invece, si potrebbe: costituire un Centro di Assistenza Pensione a livello europeo che fornisca consulenza e assistenza sulle pensioni e i propri diritti; creare uno strumento come il Registro Pensionistico Nazionale per il rilievo e l’indagine dei propri diritti pensionistici a livello nazionale. E quale migliore categoria di lavoratori mobili potrebbe essere usata come gruppo professionale pilota per questo progetto di un fondo pensioni paneuropeo se non quella dei ricercatori?

 

Maddalena Saccaggi

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Bergamo

@msaccaggi

 

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