Maurizio Sacconi: "Ora l'indennizzo sarà la regola nel 99% dei casi"

Come Ncd avevate minacciato di non votare il Jobs Act se la Camera avesse stravolto l’impianto approvato dal Senato. Senatore Sacconi, l’emendamento riformulato dal Governo sulla disciplina dei licenziamenti rispetta l’accordo raggiunto?
Gli impegni sono stati mantenuti, l’indennizzo diventa la sanzione ordinaria per tutti i licenziamenti, quelli economici e disciplinari, con l’unica eccezione per quei pochi licenziamenti disciplinari che il decreto legislativo del Governo descriverà in modo certo. Si tratta di fattispecie estreme, infamanti per il lavoratore, prossime ai licenziamenti discriminatori. Per il 99% dei licenziamenti individuali la regola sarà l’indennizzo. Non si lascia spazio alla discrezionalità dei magistrati.
 
Come replica al capogruppo di Fi alla Camera, Renato Brunetta, convinto che alla fine l’articolo 18 rimarrà come è adesso?
«È tutta invidia», ho postato un twitter amichevole in rete. Ci conosciamo da 35 anni con Brunetta e nella corsa a chi è più riformista il suo fiato sul collo mi ha aiutato nella volata finale. Sul Jobs Act dobbiamo constatare che la forza delle cose ha consentito di fare oggi quello che ieri a noi è stato difficile fare.
 
Che tempi prevede per il via libera del Senato?
Anzitutto vanno rispettati i tempi di approvazione alla Camera. Al Senato siamo in grado di approvarlo già ai primi di dicembre. Dobbiamo fare in fretta e anticipare la Legge di stabilità. Poi, un minuto dopo l’entrata in vigore, devono essere presentati i decreti legislativi per ottenere il parere delle Camere. Si partirà dal contratto a tutele crescenti, affinché sia operativo da gennaio.
 
Crede che alla luce delle novità sulla disciplina dei licenziamenti, il nuovo contratto a tutele crescenti sarà appetibile per le imprese interessate ad assumere?
Sì, perché l’imprenditore riprenderà il controllo sulle risorse umane. Diventerà possibile licenziare un lavoratore per scarso rendimento e ciò contribuirà alla coesione dell’impresa. Ritengo sia questo il vero vantaggio. E se il licenziamento risulterà insufficientemente giustificato, con un indennizzo si potrà risolvere il rapporto di lavoro. Nessun imprenditore si libera di un dipendente competente e responsabile, ma con la nuova disciplina si potrà sciogliere un rapporto di lavoro se viene meno il rapporto di fiducia. Con la sola eccezione delle discriminazioni. Secondo il principio che il rapporto di lavoro non è mai per sempre.
 
Le nuove regole, però, intervenendo solo sui nuovi contratti, non ritiene che finiscano per accentuare il divario con i rapporti di lavoro esistenti?
Noi avevamo proposto di applicare subito le regole a tutti i lavoratori e su questo punto abbiamo fatto una mediazione. Vorrei ricordare, comunque, che la delega sul testo unico che sostituisce lo Statuto dei lavoratori è ampia e consente di intervenire sui contratti in essere, per rendere più duttili le mansioni, più agevole l’uso delle tecnologie e molto altro. Poi, la moneta nuova sostituisce progressivamente quella vecchia.
 
Chi ha vinto in questa partita?
Hanno vinto i riformisti di destra e di sinistra. Non a caso l’opposizione al Jobs Act arriva dalla destra e dalla sinistra estreme. Si chiude un ciclo iniziato nel 1996 con i consigli di Marco Biagi a Tiziano Treu, proseguito con la riforma Biagi e con ulteriori provvedimenti figli di quella cultura, come l’articolo 8 della legge 148 del 2011. Poi la legge Fornero lo ha interrotto. L’obiettivo è sempre stato quello di coniugare maggiore flessibilità all’impresa e maggiore sicurezza ai lavoratori. Resta aperto un nodo che riguarda il potere delle regioni sulle politiche del lavoro, i cui effetti negativi si stanno vedendo anche nell’attuazione del piano Garanzia giovani. Mi auguro che la Camera, che sta affrontando la riforma costituzionale, possa riuscire a scogliere questo nodo. Io non ce l’ho fatta per il veto dei “regionalisti” del Pd.
 
Un altro terreno di scontro nel Jobs Act è l’estensione dell’utilizzo dei voucher che, secondo i critici, rappresentano una precarizzazione dei rapporti di lavoro
Questi critici dovrebbero piuttosto preoccuparsi per i voucher che non ci sono. Ove non si usano c’è lavoro nero. I voucher sono i nostri mini jobs, l’alternativa è tra la regolarizzazione o il sommerso. In generale le regole servono, se sono buone possono aiutare a produrre lavoro. Lo abbiamo visto con il decreto Poletti sui contratti a termine che siamo lieti di aver difeso al Senato dagli stravolgimenti della Camera.
 
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