Maturi per la creatività?

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È singolare il fatto che sia stata proposta una traccia sulla “creatività” all’esame di maturità 2018 e che sia stato fatto come saggio breve nell’ambito socio-economico e non in quello artistico-letterario è indicativo del bisogno di mettere a tema un argomento che si percepisce sempre più centrale nelle esigenze della società.

Il contributo di Enrico Moretti, il primo dei quattro proposti nella traccia, evidenzia questo bisogno, espone la linea di confine tra l’idea di capitale fisico marxista e l’idea di capitale umano che è emersa di recente nel dibattito pubblico. Tale idea è tanto più importante quanto più avanza parallelamente all’automatizzazione dei macchinari e dei processi di lavoro: chi inventerà le nuove “macchine”? chi creerà i sistemi per il loro funzionamento? Chi riconfigurerà continuamente i processi di lavoro? Nuove figure di lavoratori, definite non più dalla mansione ma dal ruolo, affiancheranno le macchine nella conduzione del lavoro e perciò si avrà bisogno di quella capacità che viene ormai comunemente chiamata problem solving, che deve essere anche preceduta dalla capacità di “vedere” i problemi (problem finding): sono cose che solo una mente non procedurale, olistica, aperta all’imprevisto e in grado di riconfigurarsi a partire da dati sempre cangianti può fare.

 

Le condizioni e i limiti posti dalla realtà (che possiamo considerare “dati” alla stregua dei “dati” che ci forniscono i nostri software) non sono un ostacolo ma bensì una molla per la creatività: come sa chiunque abbia avuto l’esigenza di preparare un buon piatto “con quel che c’era”: spesso sono proprio i limiti di ciò che si ha a disposizione che permettono di immaginare le combinazioni più originali e finanche di inventare o procurarsi ciò che manca. È innanzitutto una attenta osservazione della realtà ciò che permette la creatività, osservazione che non accade se non in presenza di un’esigenza (domanda) che svela possibilità precedentemente inerti. Per questo è da problematizzare il contributo di Carlo Bordoni, inserito nella traccia d’esame, a proposito della “noia creatrice”: in assenza di problemi, stimoli, esigenze e valutazione di dati la mente non crea, ma è pur vero che occorre quel distacco dal problema che ne permetta una visione nuova, che lasci alla mente quella libertà di pensiero che non è esito di uno sforzo ma lo segue in modo improvviso, gratuito e imprevedibile. Sembra che occorra, durante lo sforzo di soluzione di un problema, lasciare alla nostra mente lo spazio per “pensarci lei”, distaccandosi per un attimo: le tante testimoniante di artisti, scienziati, insegnanti, inventori collimano nell’affermare che spesso la soluzione di un problema ci “viene presentata” non durante l’analisi, ma quando si appoggia la testa sul cuscino per andare a dormire, o appena svegliati, o quando si cambia attività. La mente continua a rimuginare in modo subcosciente al problema, e lascia che la realtà e la memoria (per i Greci le muse ispiratrici sono figlie di Zeus e Mnemosyne…) la aiutino dandole degli indizi: la mela di Newton, la vasca di Archimede, i semi dell’acero per Leonardo che si arrovellava sul volo e così via, fino ai catini bucati delle lavandaie che fecero scattare in Alfonso Bialetti l’idea della Moka. Anche il contributo di Michel Serres sull’opposizione tra metodo (in greco “strada attraverso cui”) ed esodo (“strada per uscire”) è da interrogare: come ha ampiamente mostrato Edward De Bono il pensiero laterale (sintetico, creativo, intuitivo, discontinuo) non è opposto a quello verticale (procedurale, logico, deduttivo, consequenziale): si potrebbe paragonare alla retromarcia dell’automobile, non è essa che domina ma è indispensabile per uscire da certe situazioni. Proprio in questa direzione in cui si valorizzano entrambe le componenti si colloca il brano di Georges Didi-Hubermann, salvando la dimensione della «strada maestra» insieme a quella degli «imprevisti di percorso».

 

In ADAPT stiamo da tempo mettendo a tema la creatività come qualcosa che sarà sempre più rilevante nel panorama delle cosiddette competenze. In una situazione come quella contemporanea – caratterizzata dai repentini mutamenti tecnologici e da complessità crescenti sul piano delle relazioni sociali e lavorative-  si ripropone il tema dell’interezza della persona, cioè dell’espressione delle sue capacità. Capax in latino non ha l’accezione prestazionale che siamo abituati a percepire, ma indica bensì la natura dell’oggetto, “ciò che esso può contenere”: l’uomo è per sua natura “capace” di creazione. Dalla pietra scheggiata per divenire punta di freccia (uno strumento che crea un altro strumento per un fine che rimanda ad un altro scopo ancora) l’uomo è sospinto dalla sua natura ad oltrepassare l’esistente, senza ultimamente dover sottostare ai condizionamenti fisici, psichici, economici e sociali. Ma questa sua natura creativa può rimanere latente, può essere tarpata e non trovare espressione: occorre che l’educazione, a partire dalla famiglia fino alla scuola e alla formazione in azienda, ritrovi il suo senso più pregnante, cioè quello di alimentare e condurre allo scoperto questa natura creativa propria della persona, innanzitutto attraverso una stima fondata sulla irripetibilità di ciascuno. Finché penseremo noi stessi alla stregua di macchine sostituibili da altre migliori, questo non accadrà.

 

Francesco Fornasieri

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@f_fornasieri

 

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