M. Maurelli (Uil): «Non possiamo più permetterci di finanziare la disoccupazione»

Ha avuto il coraggio di sparigliare. Rompendo le regole non scritte, ma sempre rispettate senza batter ciglio. Così Magda Maurelli, ormai ex segretaria della UilTemp, si è autocandidata alla successione di Luigi Angeletti alla guida del sindacato di via Lucullo. Possibilità di successo? Secondo le prime previsioni interne sembravano poche. Il sessantasettenne Carmelo Barbagallo ha lavorato da anni per catturare il consenso e il 21 novembre (l’ultimo giorno del congresso) dovrebbe raccogliere i frutti e diventare il nuovo numero uno della Uil. Eppure la mossa della Maurelli sta sortendo degli effetti. «La mia candidatura? Ma lo sa che quando l’ho presentata mi è stato detto che “non si è mai fatto così”. Bene, è ora dimettere in discussione le regole e adeguarle ai tempi. Voglio aprire una breccia. Vorrei che fosse la base ad eleggere il vertice e non viceversa. Il mio scopo è recuperare il dibattito interno, il confronto democratico. E poi c’è un problema di fondo che dobbiamo affrontare…». Prego. «Qui non è in discussione il nuovo segretario della Uil, ma il ruolo futuro del sindacato in un mondo del lavoro che è completamente cambiato. Insomma, non possiamo più restare chiusi in noi stessi».
 
Nel mondo del lavoro che cambia lei ci vede anche il contratto di ricollocazione (il disoccupato può spendere il voucher che gli viene assegnato dalla Regione presso una delle agenzie accreditate che passerà all’incasso solo in caso di effettivo collocamento della persona)?
 
«Sì. Da anni spingiamo per un’interazione tra il pubblico e le agenzie private. Non possiamo più permetterci di finanziare la disoccupazione, ma dobbiamo agire con le politiche attive nella fase iniziale del processo. In questo caso il pubblico diventa il regista delle operazioni e le agenzie per il lavoro hanno la possibilità fare il loro mestiere mettendosi anche in concorrenza tra di loro. In soldoni: il pubblico non ha costi e il privato riesce a sfruttare tutti gli strumenti (banche dati, orientamento al lavoro, riqualificazione, formazione ecc.) di cui è già dotato».
 
Secondo lei in Italia prenderà piede?
 
«Sul lavoro purtroppo abbiamo un problema culturale di fondo che non riusciamo a risolvere e così le vere riforme, quelle che servono a dare occupazione, non le facciamo mai. Un esempio? Da anni parliamo di precariato eppure un sindacato come la Cgil inizialmente si era opposto ai contratti di somministrazione, che sono regolamentati e prevedono tutele e garanzie a favore dei lavoratori, mentre nello stesso tempo passavano le false partite Iva e gli stage non retribuiti».
 
Cosa vuol dire?
«Che da una parte c’è chi mira a mantenere le rendite di posizione e dall’altra manca il coraggio di rischiare per provare a cambiare le cose».
 
Anche sull’articolo 18 sta succedendo la stessa cosa?
 
«Guardi in questo momento non c’è un testo di legge sul quale discutere e quindi non credo sia il caso di buttarsi in dichiarazioni avventate con minacce di sciopero solo per conquistare i titoli dei giornali. Ho talmente tanto rispetto delle mobilitazioni che si fanno per conquistare dei diritti da ritenere che visti i risultati delle ultime iniziative sarebbe preferibile entrare prima nel merito dei provvedimenti».
 
Fosse lei il segretario della Uil come si muoverebbe?
 
«Ne discuterei con i lavoratori, nelle assemblee. Dobbiamo chiedere a loro cosa ne pensano e solo dopo individuare la soluzione migliore».
 
Applicando il contratto a tutele crescenti?
 
«Se va ad assorbire tutte le forme di lavoro precario che ci sono adesso allora ben venga. Poi certo c’è la questione dell’articolo 18, ma io non mi impiccherei al totem perché i veri problemi partono dalla semplificazione delle regole del mercato del lavoro e arrivano all’introduzione di sistemi efficaci di politiche attive che sostituiscano quelle passive. Confrontiamoci su questi temi».
 
 
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