L’innovazione non si parla, si fa. E credetemi è meglio così

«Sa quando è stata la prima volta che si si è parlato di innovazione e Silicon Valley come modello? Lei è troppo giovane per saperlo, ma io lo ricordo ancora. Erano gli anni Sessanta. E’ da allora che la politica cerca di recuperare il gap tecnologico. Senza alla fine ottenere molto». Giuseppe De Rita ha 84 anni. Ha in memoria almeno 60 anni di vita pubblica italiana, vissuta da protagonista. Sociologo, fondatore del Censis nel 1964, ha visto i cambiamenti della società, dell’economia, della politica dandosi un piccolo merito: quello di ricordare tutto. Al suo centro di ricerca è stato dato l’incarico dalla Fondazione Make in Italy di Carlo De Benedetti di mappare prima, e studiare poi, il ruolo dei fablab nel cambiamento della manifattura in chiave digitale e delle città. Ne è uscito un rapporto che ha presentato a Roma a Tempio di Adriano. «Questi rapporti non sono fatti per uscire sui giornali, se io volessi uscire sui giornali basterebbe che ne facessi uno sull’Italia che invecchia. L’innovazione non è un tema di grande interesse per i media generalisti».

 

Professor De Rita, ci può spiegare perché secondo lei ai grandi organi di informazione non interessa troppo parlare dell’innovazione?

«È complesso da spiegare ma in qualche modo quello che vediamo sui media è quello che si è già affermato. Quello che vediamo sui giornali è sempre un rimasticamento delle cose che già si sanno. Io dico sempre che se il Censis volesse uscire sui giornali basterebbe fare un comunicato sull’Italia che invecchia. Va sicuro. Perché è un risaputo. Può sembrare paradossale, ma ai giornali in Italia non piace troppo ciò che è nuovo, ma quello che già si sa».

 

E se capisco bene l’innovazione è ciò che sta fuori dal “risaputo”.

«Esatto. L’innovazione si fa fuori dall’onda quotidiana del risaputo. È quello che definisco il resto del risaputo. Ciò che rimane oltre a quello che già si sa. E non può immaginare quanto sia difficile spiegare alla gente quanto importante sia il resto. Nessuno capisce l’importanza del resto per la vita di un paese, di una comunità. È quello che la fa andare avanti. Io faccio sempre questo esempio: se domandi ad uno qualsiasi qui fuori, a Roma, “come va?” lui quasi sicuramente ti risponderà che è tutto una tragedia perché la moglie lo ha trattato male, o la macchina si è rotta o i figli vanno male a scuola. E se gli chiedi: “ok ma il resto come va?” Lui ti dirà sicuro, “il resto va bene”»…

 

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L’innovazione non si parla, si fa. E credetemi è meglio così
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