L’incerto futuro delle co.co.co nella P.A.

Dal 1 gennaio 2017 il pubblico impiego dovrà far fronte al divieto, previsto dall’articolo 2, comma 4 del D.Lgs 81/2015, di stipulare contratti di collaborazione che presentino i requisiti di cui al comma 1, quali l’esclusiva personalità della prestazione, la continuità e l’etero-organizzazione (di cui è dibattuto il significato, vedi M. Tiraboschi, Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act). L’ampio utilizzo delle collaborazioni coordinate e continuative (in alcuni casi anche con modalità che potrebbero richiamare la descrizione di cui all’articolo 2, comma 1 del D.Lgs 81/2015) finora fatto nella pubblica amministrazione mette a rischio numerosi lavoratori che oggi si interrogano sul loro futuro professionale.

 

Di recente, molteplici perplessità sono scaturite tra gli impiegati dei settori che più usufruiscono dei contratti di collaborazione quali università, scuola, ricerca e sanità. Stando all’ultimo dato fornito dalla Ragioneria Generale dello Stato, sono circa 40.000 quelli in essere al 2014, molti dei quali in scadenza a fine anno. I collaboratori si trovano ora in una situazione ove, da un lato, vedono scongiurata la possibilità di proseguire la propria attività come parti di una fattispecie contrattuale priva di importanti tutele, e, dall’altro, si trovano incerti sull’avvenire e in attesa di una riforma del Testo Unico sul pubblico impiego in grado di rispondere agli interrogativi sul loro futuro.

In questa situazione si collocano, tra gli altri, migliaia di ricercatori (circa 3.500) che lavorano negli ospedali Irccs, gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, nei quali si svolge un lavoro che affianca all’attività di ricerca l’applicazione della stessa ai casi concreti (S. Ravizza, Noi, 3.500 ricercatori in bilico, Corriere della Sera ha raccolto alcune interviste di ricercatori in questa posizione). Gran parte dei ricercatori, infatti, sono inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi. Nei loro confronti, e al fine di abbattere la precarietà che li caratterizza, è stato presentato un progetto su iniziativa del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin nel corso degli Stati generali della ricerca sanitaria tenutosi nel mese di aprile a Roma. La proposta prevede l’inquadramento dei ricercatori con contratto subordinato a tempo determinato fin dall’assunzione (avvenuta con concorso pubblico) e la possibilità di una progressione di carriera articolata su tre livelli. Al termine del percorso è data la possibilità di ingresso di ruolo nell’organico del Sistema Sanitario Nazionale.

In attesa che la previsione sia attuata, tali ricercatori condividono ora i dubbi dell’intera categoria dei collaboratori.

 

Nell’intento di fare chiarezza su di un intervento normativo ambiguo è necessario partire dal dato normativo per cui, dal 1 gennaio 2017, “è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare i contratti di collaborazione di cui al comma 1”, ossia i contratti di collaborazione “che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

 

Dapprima è opportuno precisare che le collaborazioni oggetto del divieto, ossia quelle rubricate dall’art. 2, comma 1, come organizzate dal committente o etero-organizzate, si distinguono dalle co.co.co. ex art. 409, numero 3 c.p.c., le quali, stando a quanto previsto dall’art. 52, comma 2, possono continuare ad essere stipulate. Pertanto, le nuove disposizioni non costituiscono un impedimento alla stipula di tutti i contratti di collaborazione, bensì solamente di quelli che si riconoscono nella descrizione di cui all’art. 2, comma 1. Il cambiamento rispetto al passato si riscontra nella disciplina di riferimento delle tradizionali co.co.co. Conseguentemente all’integrale abrogazione della normativa sul lavoro a progetto contenuta nel D.Lgs 276/2003, infatti, i rapporti di collaborazione non giovano più delle tutele contenute nello stesso, bensì possono contare solamente sulle (poche) regole esistenti prima della Riforma Biagi. Va precisato che il settore pubblico godeva già prima del 2015 di un regime speciale che lo esentava dall’applicazione della disciplina del lavoro a progetto contenuta negli articoli 61 e ss. del D.Lgs. n. 276/2003. In sostanza ed in estrema sintesi, l’assenza del progetto non influiva sulla legittimità dei contratti di co.co.co. stipulati dalla P.A.

La normativa del 2015 ha previsto che quanto disposto dall’articolo 2, comma 1, per cui ai rapporti di collaborazione organizzati dal committente si applichi la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, fosse attuato nei confronti del settore privato dal 1 gennaio 2016, mentre il settore pubblico è stato esentato “fino al completo riordino della disciplina dell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibile da parte delle pubbliche amministrazioni”(art. 2, comma 4).

Il testo legislativo che riordinerà la disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è però atteso solo per febbraio 2017. In ogni caso, mentre nel settore privato si attende ancora di poter vedere gli effetti della disposizione, finalizzata a combattere l’uso spesso distorto della fattispecie, la stessa rischia di non raggiungere la piena attuazione nel pubblico impiego. Anche se l’articolo 2, comma 1 diventasse efficace nei confronti dei collaboratori pubblici, infatti, posto che è possibile accedere alle cariche pubbliche solamente tramite concorso, la conseguenza di un utilizzo improprio delle forme contrattuali flessibili non potrà comunque comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato ma una mera tutela indennitaria a favore del lavoratore (cfr. D.Lgs. n. 165/2001, art. 36, comma 5). Ciò fa presupporre una certa incompatibilità fra quanto ad oggi previsto nel Testo Unico del pubblico impiego e quanto previsto dall’articolo 2, comma 4 del D.Lgs. n. 81/2015 quando, al termine del periodo transitorio, entrerà in vigore nei confronti della P.A.

 

Le osservazioni sopra esposte conducono allora ad affermare la scarsa incidenza che la riforma avrà nel settore pubblico relativamente alla conclusione dei tradizionali contratti di co.co.co. Essi, infatti, continueranno ad essere stipulati e manterranno la stessa disciplina di sempre. Per comprendere gli effetti del divieto e delle conseguenze di una eventuale violazione del divieto di stipula di contratti di collaborazione etero-organizzata, si dovrà allora attendere il decreto legislativo di riordino dei contratti nella P.A. previsto per febbraio (in attuazione della legge n. 124/2015, art.17)

 

Manuela Bocciolone

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@Manu_Bocciolone

 

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L’incerto futuro delle co.co.co nella P.A.