Licenziamento discriminatorio: il carattere dissuasivo del risarcimento

La Corte di Giustizia torna a pronunciarsi in tema di risarcimento del danno derivante da discriminazione, con la sentenza del 17 dicembre 2015, causa C-407/14, Maria Axiliadora Arjona Camacho c/ Securitas Securidad España.

 

Il caso riguarda un’agente di sicurezza di un istituto penitenziario minorile spagnolo, che impugnava il proprio licenziamento, lamentando che fosse fondato su una discriminazione di genere.

 

Il giudice nazionale, ritenendo sussistere il profilo discriminatorio, riconosceva a titolo di risarcimento metà della somma richiesta dalla ricorrente; nel dubbio però che la normativa europea gli imponesse una liquidazione maggiore, procedeva al rinvio pregiudiziale.

 

Nello specifico chiedeva se l’art. 18 della direttiva 2006/54 sulle pari opportunità e la parità di trattamento tra uomini e donne, dovesse interpretarsi nel senso che il danno a causa di una discriminazione fondata sul sesso, per essere effettivamente riparato o indennizzato, in modo dissuasivo, dovessere comprendere anche i danni punitivi.

 

Innanzitutto, come confermato da orientamento consolidato della Corte di Giustizia (si veda tra le varie la sentenza dell’11 ottobre 2007 C-460/06, Nadine Paquay c/ Sociètè d’architetes hoes+Minne srl), la normativa europea non impone che gli Stati membri adottino una sanzione determinata in caso di violazione del divieto di discriminazione, ma le scelte di politica legislativa nazionali devono assicurare necessariamente «il ristabilimento dell’effettiva parità di possibilità e una tutela giurisdizionale effettiva ed efficace, con un effetto dissuasivo reale».

 

Nel caso specifico del licenziamento discriminatorio, il «ristabilimento della situazione di parità» non può realizzarsi senza una riassunzione del soggetto discriminato o, alternativamente, un risarcimento in denaro per il danno subito.

 

Secondo la normativa europea precedente (l’art. 6 della direttiva 76/207 nella versione originaria e così come modificato dalla direttiva 2002/73, poi abrogato dalla direttiva 2006/54), così come interpretata dalla Corte di giustizia: l’effetto dissuasivo non comporta l’attribuzione alla persona discriminata della liquidazione di danni punitivi ulteriori rispetto alla riparazione integrale del danno effettivamente subìto.

 

Il risarcimento del danno da discriminazione costituisce però un provvedimento sanzionatorio, e pertanto gli ordinamenti nazionali non possono limitarsi a prevedere la riparazione o l’indennizzo del danno subìto, in modo effettivo e proporzionale, ma devono anche fare in modo che abbia un effetto dissuasivo rispetto a eventuali future condotte discriminatorie.

 

L’art. 18 della direttiva 54/2006, come precisato anche nelle conclusioni dell’Avvocato generale della sentenza in commento, non ha comportato un cambiamento sostanziale nella citata normativa tale da condurre a un’interpretazione diversa rispetto a quella sino ad allora consolidatasi. Infatti deve essere interpretato nel senso che resta fermo che agli Stati membri sia imposta la corresponsione di un indennizzo o la riparazione del danno subìto, mentre la liquidazione dei danni punitivi è una mera facoltà per gli Stati membri (ex art. 25 della direttiva 54/2007).

 

Alla luce di tale ragionamento ricostruttivo, il giudice europeo conclude che in assenza di una previsione dell’ordinamento nazionale disponente la liquidazione dei danni punitivi alla persona discriminata, l’art. 18 della direttiva 54/2006 non attribuisce al giudice nazionale una siffatta discrezionalità, fermo restando che il danno subìto da una lavoratrice licenziata per discriminazione sessuale va risarcito in maniera integrale, nel senso che lo stesso non deve essere soltanto riparatorio, ma anche dissuasivo.

 

Il giudice europeo sottolinea, quindi, nuovamente che il risarcimento di una discriminazione ha una portata generale, che va al di là del solo e semplice carattere satisfattivo per il soggetto, che lamenta una diretta lesione della propria identità in virtù di un fattore protetto.

 

 

Rosita Zucaro

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

 

@RositaZucaro

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