A lezione di diritto del lavoro con il Prof. Manfred Weiss: Italia e Germania a confronto

La lectio magistralis del Prof. Manfred Weiss sull’evoluzione del diritto del lavoro e delle relazioni industriali in Germania apre un confronto tra il nostro sistema e quello tedesco, avvalorato dalla possibilità di “accedere” direttamente all’interno di quest’ultimo da un’angolazione privilegiata: il punto di vista di uno dei professori più influenti sul panorama giuslavoristico internazionale, nonché ex Presidente dell’ILERA (International Labour and Employment Relations Association). La lezione tenuta nella Scuola di Dottorato in Formazione della Persona e Mercato del Lavoro di Bergamo offre dunque degli spunti di riflessione rilevanti anche nella prospettiva del nostro ordinamento, toccando alcuni temi, come il salario minimo legale e la partecipazione dei lavoratori in azienda, che campeggiano nell’attuale dibattito politico e sindacale in Italia.

 

Del resto, come sottolineato in apertura dallo stesso Prof. Weiss, l’analisi comparativa consente di approdare ad una più approfondita conoscenza del sistema in cui si vive, mettendone in luce i tratti caratterizzanti ma anche i profili di criticità che suggeriscono l’opportunità di indagare soluzioni normative diverse, ispirate dall’esempio virtuoso di Paesi più performanti. Senza con questo cedere alla tentazione di replicare meccanicamente le buone prassi che tali possono essere in un dato contesto economico, sociale e istituzionale, e non in un altro.

 

Il sistema delle fonti

 

Ciò premesso, il Prof. Weiss ha rimarcato come il sistema tedesco condivida con altri modelli, almeno nell’Europa continentale, trend ed elementi comuni, a partire dalla complessità delle fonti regolative del diritto del lavoro, in cui concorrono sia quelle di matrice eteronoma, di derivazione comunitaria e interna, sia quelle collettive, in cui si innesta il diritto vivente di matrice giurisprudenziale. In particolare, la stratificazione, sino ad oggi, a livello federale, di molteplici provvedimenti legislativi in materia lavoristica, ne rende difficile un’esaustiva comprensione da parte degli operatori, e necessiterebbe, ad avviso del Professore, di una sistematizzazione, sebbene i tentativi di redigere un codice del lavoro abbiano sortito ad oggi un esito negativo.

 

Se questo tratto accomuna il quadro legislativo tedesco a quello italiano, lo stesso non può dirsi per il versante sindacale della materia. In Germania infatti il fenomeno sindacale è oggetto di espressa regolazione da parte della legge (il c.d. “Act on Collective Agreements”), a differenza invece dell’astensionismo legislativo che caratterizza il modello italiano di relazioni industriali, nel quale le regole sono stabilite dall’autonomia collettiva.

 

Nel contempo, il quadro normativo esistente ha rivelato, sino ad ora, un elevato grado di efficacia, anche in termini di certezza applicativa, come dimostrato, peraltro, dall’agevole risoluzione delle controversie, che appare connessa, invero, anche all’efficienza del sistema giudiziario tedesco. Sotto questo profilo, da un lato, gli istituti appartenenti all’ambito dei cd. alternative dispute resolution, come il tentativo di conciliazione obbligatorio, assolvono alla propria funzione deflattiva, mentre, dall’altro, consta che oltre un terzo del contenzioso si conclude, in primo grado, nell’arco di pochi mesi. Questo appare essere il risultato di un assetto giurisdizionale che non solo contempla un rito speciale per le controversie di lavoro, ma prevede anche tribunali del lavoro ad hoc: in Germania, infatti, sono questi tribunali, altamente specializzati e composti anche da giudici “laici” nominati dal Ministero del Lavoro su proposta dei sindacati e delle imprese, a costituire il principale strumento di risoluzione dei conflitti lavoristici, sia individuali che collettivi.

 

Sistema di relazioni industriali

 

In Germania, al pari di altri ordinamenti, è rintracciabile una tendenza all’individualizzazione, intesa come aziendalizzazione, della disciplina dei rapporti di lavoro, a discapito del principio dell’inderogabilità in pejus delle disposizioni collettive. Infatti, in tempi di crisi, l’esigenza aziendale di contenimento dei costi e quella dei lavoratori di conservazione del posto di lavoro hanno condotto alla contrattazione, nelle aziende, di salari inferiori rispetto alle tabelle tariffarie previste dal contratto collettivo, dietro la garanzia della stabilità per un certo arco di tempo.

 

Il salario minimo legale

 

La querelle sollevata sulla legittimità dei predetti accordi dovrebbe, tuttavia, essere stata stemperata dall’introduzione, a partire dal 1° gennaio 2015, del salario minimo garantito ex lege (MiLoG – Mindestlohngesetz), nella misura di 8,50 euro all’ora, per tutti i settori economici. L’adozione di tale misura è stata, e risulta ancora oggi, controversa, sotto diversi profili. Se, da un lato, se ne è contestata la conformità sul piano costituzionale in quanto contraria alle prerogative dell’autonomia collettiva, dall’altro, la previsione legale, secondo alcuni commentatori, determinerebbe il duplice effetto di indebolire il potere di acquisto dei lavoratori e di alimentare una spirale recessiva.

 

Ciò nonostante, la valutazione espressa dal Professore, sul punto, è in larga parte positiva, non essendo derivato dalla novella, alla luce dei dati statistici, un incremento del tasso di disoccupazione, e registrandosi, per altro verso, un innalzamento dei livelli retributivi nei settori caratterizzati dalla previsione contrattuale di tariffe salariali basse. Rimane ferma, ovviamente, la necessità di adeguare il livello salariale legale, in sede di revisione biennale da parte della Commissione costituita a tale scopo, all’andamento complessivo dell’economia del Paese.

 

Rappresentanza

 

Sul piano delle relazioni industriali, le organizzazioni sindacali, che, in Germania, sono prive di una connotazione politica, sono organizzate su base settoriale e incardinate in una struttura fortemente centralizzata, sebbene esercitino la loro funzione di rappresentanza negoziale prevalentemente a livello regionale. Una caratteristica rilevante del sindacato tedesco risiede nella sua organizzazione a livello settoriale: ciò significa che una determinata organizzazione sindacale è aperta, nella forma e nella sostanza, a tutti i lavoratori appartenenti al settore di riferimento. Se, da un lato, il sindacato ha visto ampliare la propria area di competenza rispetto al passato, dall’altro, come del resto in altri Paesi nell’ultimo decennio, si è assistito, ad un processo di erosione del tasso di sindacalizzazione, che si stima inferiore al 25%, in misura, peraltro, non omogenea tra i settori, sul territorio nazionale, con una minore presenza nelle regioni dell’Est e, per quanto concerne la rappresentanza datoriale, tra le aziende, con un minore grado di penetrazione nelle PMI. Del pari, si riscontra anche una progressiva “emorragia associativa” anche sul versante delle organizzazioni datoriali, che trova una parziale risposta nel sistema dell’OT Status (ohne Tarifbindung), ovvero la possibilità per le aziende di iscriversi all’associazione senza vincolo di assoggettamento al contratto collettivo di riferimento, pur potendo usufruire dei servizi offerti dalla stessa in ambito legale, di lobbyng, etc.

 

I comitati aziendali (Betriebsrat)

 

A tale fenomeno si affianca una sempre più marcata tendenza al decentramento delle relazioni industriali e contrattuale che, seppur comune ad altri ordinamenti, come quello italiano, si sviluppa, in Germania, secondo direttrici autonome e peculiari, connesse all’esistenza di un sistema di rappresentanza duale, articolato nelle organizzazioni sindacali, da un lato, e nei Comitati aziendali (Betriebsrat), dall’altro.

 

Nello specifico, l’esistenza di tali organi negli stabilimenti con più di cinque dipendenti rappresenta uno degli elementi chiave della tenuta del sistema, cui si riconduce, in buona misura, la maggiore capacità reattiva della Germania, nel panorama europeo, rispetto agli effetti della recessione sul piano macroeconomico. Infatti, non essendo affiliati alle organizzazioni sindacali in quanto eletti direttamente dai lavoratori, i Comitati consentono la condivisione, seppur mediata, con la forza-lavoro, delle politiche aziendali, pertanto sottratte al monopolio del management, attraverso l’esercizio, da parte di tali organi, di un potere di influenza graduato, dal mero diritto informativo e di consultazione alla codeterminazione.

 

Rapporti tra sindacato e comitati aziendali

 

Va comunque precisato che, di fatto, esiste un rapporto di connessione tra le due forme di rappresentanza, al punto che la maggior parte dei membri dei comitati aziendali è costituita da componenti del sindacato. Quest’ultimo, infatti, oltre ad esercitare una funzione di vigilanza sulla corretta procedura di elezione dei Comitati, ha il diritto di partecipare alle relative assemblee; spesso, è incaricato della formazione dei componenti, e in alcuni settori – chiave e/o stabilimenti si avvale della presenza di un cd. “rappresentante di fiducia”, con il potere di influenzare e, in una certa misura, controllare l’operato dei comitati.

 

La via tedesca alla partecipazione

 

Tale sistema di democrazia industriale viene, inoltre, rafforzato dall’inserimento dei rappresentanti dei lavoratori nei Consigli di sorveglianza delle aziende, che si identificano, in buona parte, nei membri degli stessi comitati aziendali. L’ambito in cui questi ultimi esprimono in misura massima le proprie prerogative risiede nelle materie soggette al regime della codeterminazione. In questi casi, come, segnatamente, in materia di orario di lavoro, a tali organi è riconosciuto un potere di veto sulle decisioni aziendali, la cui attuazione è, infatti, subordinata al placet del Comitato. Peraltro, anche laddove quest’ultimo sia privo di un potere giuridicamente vincolante, limitato ad un mero diritto di consultazione, come in materia di licenziamento, nondimeno è capace, di fatto, di orientare le decisioni finali dell’azienda. Infatti, il management è interessato ad evitare attriti con i membri dei Comitati, specie qualora questi siedano nei consigli di sorveglianza.

 

Il potere negoziale dei comitati aziendali

 

Il comitato può, inoltre, stipulare con l’azienda degli accordi su qualunque aspetto non disciplinato dal contratto collettivo, secondo il principio di specialità, salvo che non rientri nell’area della co-determinazione. Tale modalità di ripartizione di competenza, giustificato, in passato, dalla necessità di evitare la frammentazione del sistema delle relazioni industriali, oggi risulta attenuato dall’inserimento, nei contratti collettivi, delle cd. clausole di uscita, che consentono ai Works Agreement di integrarne i contenuti.

 

Tale potere delegato è stato esercitato dai Comitati, negli ultimi anni, in particolare nella fase della recessione, al punto da relegare il contratto collettivo ad una mera funzione di cornice normativa, con l’introduzione di ampie deroghe negli accordi aziendali al fine di salvaguardare i livelli occupazionali, attraverso rimodulazioni dell’orario di lavoro. Del resto, essendo la contrattazione collettiva radicata a livello settoriale/di comparto ovvero decentrata sul piano territoriale, con un ambito oggettivo di copertura delimitato da unità corrispondenti, nella maggior parte dei casi, alle Regioni (Länder), il contratto collettivo non può che contenere previsioni generiche e difficilmente rispondenti alle esigenze dei singoli siti produttivi.

 

Social plan

 

Nella categoria dei Works Agreement rientrano, altresì, i cd. Social Plan, volti a mitigare gli effetti negativi discendenti, per la forza lavoro, da crisi ovvero ristrutturazioni aziendali. Tali piani, che, nelle fasi recessive, hanno costituito il fondamento per la creazione di percorsi di reinserimento nel mercato del lavoro, prefigurano, infatti, in alternativa a politiche di mero contenimento dei costi, o il trasferimento dei lavoratori in esubero in altri stabilimenti o programmi di riqualificazione professionale, così da poter contare, all’indomani della crisi, su lavoratori meglio qualificati e più competenti.

 

Sciopero e serrata

 

Essendo, inoltre, i membri dei comitati aziendali vincolati all’obbligo di svolgere il proprio incarico secondo buona fede, lo sciopero è escluso dai mezzi di prima composizione del conflitto industriale in azienda. Inoltre, il diritto di sciopero e di serrata non è regolato dalla legge ma dalla giurisprudenza, in particolare quella della Federal Labour Cort.  Gli imprenditori possono rifiutare che i lavoratori che intendano lavorare accedano a lavoro (c.d. serrata di ritorsione), ma secondo la giurisprudenza  ciò è illegittimo se non quando costituisca uno strumento di difesa rispetto a scioperi di tipo selettivo; il fenomeno risulta comunque poco praticato e diffuso. Quanto allo sciopero, esso può essere proclamato solo dal sindacato, che in Germania è titolare del diritto, ma solo quale ultima ratio, vale a dire laddove siano state esperite tutte le altre strade utili a raggiungere un accordo, come ad esempio una particolare procedura arbitrale prevista in numerosi accordi collettivi e presieduta da un membro indipendente.

 

I profili di criticità

 

Oltre le luci di un sistema efficiente, che ha rivelato una notevole capacità di tenuta anche nel corso della crisi economica, sono ravvisabili, tuttavia, dei profili di criticità. Un primo elemento di debolezza è rappresentato dalla diffusione, circoscritta alle sole imprese di maggiori dimensioni, dei Comitati aziendali: essi risultano poco presenti nelle imprese di piccole e medie dimensioni e solo le aziende più grandi risultano pienamente conformi alla legge. Al fine di incentivare la creazione dei comitati aziendali anche nelle piccole-medie imprese, una riforma del 2001 ha semplificato la procedura di elezione del comitato aziendale, facendo riscontrare un incremento significativo della presenza di questi organismi nella realtà della medio-piccola impresa tedesca. Controversa è, inoltre, inoltre è l’effettività rappresentativa dei membri dei Comitati, cui si imputa – talvolta – un eccessivo allineamento agli orientamenti del management board e una scarsa trasparenza nell’esercizio dei poteri lato sensu di rappresentanza.

 

Tuttavia, è vero anche che i componenti dei Comitati, oltre ad essere vincolati al sopra richiamato dovere di agire secondo buona fede, sono tenuti, in particolare, ad un obbligo di riservatezza rispetto a dati sensibili, per l’azienda, acquisiti durante o in conseguenza dello svolgimento dell’incarico. Il che, certamente, impatta sul grado di esaustività delle informazioni veicolate dal Comitato, contribuendo ad ampliare il divario tra la rappresentanza e la base.

 

Un altro elemento di criticità è costituito dalla sempre minore “copertura” della contrattazione collettiva: in Germania i contratti collettivi sono formalmente vincolanti esclusivamente per le imprese e i lavoratori iscritti alle associazioni firmatarie degli accordi stessi, anche se è previsto un sistema di estensione erga omnes tramite atto amministrativo, qualora siano soddisfatte una serie di condizioni (un accordo fra le parti; le imprese coperte dall’accordo impiegano il 50% della forza-lavoro del settore; sussistenza di un interesse pubblico; un organismo paritetico composto da 3 rappresentanti per parte approva l’estensione a maggioranza assoluta).

 

L’analisi del sistema di relazioni industriali tedesco evidenzia sicuramente il costante e permanente dialogo fra le parti, in grado di favorire la creazione di una fiducia reciproca spesso latitante nei rapporti fra le associazioni di rappresentanza sindacale e datoriale del nostro Paese. Inoltre, il sistema partecipativo alla tedesca determina, al contrario di quanto si possa pensare, un efficiente processo decisionale, come del resto evidenziato dallo stesso Professor Weiss, il quale mette in luce gli aspetti positivi in termini di “sostenibilità” dell’impresa. In questo modo, i beneficiari di tale approccio collaborativo e non conflittuale risultano essere sia i lavoratori che le aziende, nonché il sistema economico nel suo complesso.

 

Roberto Arcidiacono

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@robe_arci

 

Arianna D’Ascenzo

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

@a_dascenzo

 

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