Legge di stabilità 2016: si torna a parlare di produttività, ma gli impatti fiscali dimostrano una mancanza di visione prospettica

Dopo un anno di silenzio, con il disegno di legge di stabilità 2016 si torna a parlare di contrattazione decentrata e produttività. All’art. 12 del testo al vaglio del Senato infatti ricompare il regime fiscale dei premi di produttività dopo che la legge di stabilità 2015 aveva, senza neanche troppo scalpore, evitato di prevederne il rinnovo. Nonostante non sia sufficiente lo sgravio fiscale per garantire la produttività possiamo affermare che tale scelta da parte del governo è parsa in controtendenza rispetto ai dati Eurostat che mostravano un calo di 7,5 punti percentuali del PIL per addetto nel periodo tra il 2005 ed il 2013, nonché rispetto al monito della Commissione europea che invita a guardare all’incremento della produttività del lavoro quale canale privilegiato per invertire il trend economico negativo legato al progressivo invecchiamento della popolazione del vecchio continente (European Commission, The 2012 Ageing Report Economic and budgetary projections for the 27 EU Member States (2010–2060), European Economy 2, 2012).

 

Le origini della detassazione

 

È necessario risalire al lontano 2007 per ritrovare l’ultimo modello 730 all’interno del quale le parti di retribuzione variabile dei lavoratori dipendenti rientranti negli scaglioni di reddito più bassi fossero sottoposte a tassazione ordinaria. Con l’art. 2 del dl n. 93 del 27 maggio 2008 viene infatti introdotta per la prima volta una politica fiscale di vantaggio che prevede un’imposta sostitutiva del 10% su alcuni degli elementi accessori della retribuzione come straordinari, lavoro accessorio e poco altro. Nel 2009, poi il salto di qualità: il vantaggio fiscale viene riservato alle parti variabili della retribuzione legate ad incrementi di produttività, redditività e qualità. La vera svolta arriva però l’anno successivo quando, sulla scorta di una revisione degli assetti contrattuali orientata al decentramento contrattuale, si stabilisce di riservare l’imposta sostitutiva del 10% solo alle parti variabili di retribuzione fissate mediante contrattazione collettiva decentrata (art. 53 comma 1 DL 78 del 31 maggio 2010). Infine l’ultima modifica rilevante, in ordine di tempo, arrivò con la legge di stabilità 2014, la quale andò a specificare che per godere dello sgravio era necessario dimostrare che le somme erogate derivavano da un effettivo aumento di produttività, competitività ed efficienza dell’impresa (vincoli introdotti dal DPCM gennaio 2013).

 

 

Le novità introdotte dalla legge di stabilità 2016

 

Le prime novità che si colgono nel testo dell’art. 12 del disegno di legge di stabilità 2016 riguardano i tetti massimi che permettono di beneficiare dell’imposta sostitutiva: da un lato il governo ha previsto un notevole innalzamento del limite massimo di reddito da lavoro dipendente entro i quali è possibile beneficiare dello sgravio fiscale, valore che viene portato a 50.000 euro, quando in passato, il valore più alto raggiunto fu 40.000 euro (anno 2011). Tale scelta, apparentemente poco significativa, denota in realtà la chiara volontà di estendere tale vantaggio anche alla categoria di lavoratori con redditi superiori, con l’obbligo, dall’altro lato, di contenere la spesa riducendo il valore massimo di premio assoggettabile ad imposta sostitutiva. Il tetto di 2.000 euro, valore più basso registrato dal 2008 ad oggi, pare infatti molto stringente e obbligherà la maggior parte dei lavoratori a sottoporre a tassazione ordinaria gran parte della retribuzione variabile rientrante nel campo di applicazione dell’art 12 aggravando così il carico fiscale sulle categorie di reddito più basse.

 

L’impatto sui redditi dei lavoratori

 

Si è quindi provato a valutare gli impatti della nuova regolamentazione confrontandola sia con quanto previsto fino al 2014 sia con la mancata detassazione del salario di produttività per l’anno in corso. Se da un lato l’innalzamento a 50.000 euro della soglia reddituale che permette di beneficiare dell’imposta sostitutiva, ai fini dei calcoli, ha poco valore in quanto semplicemente permette anche a fasce più alte di reddito di beneficiare del vantaggio fiscale, la modifica che incide in modo sostanziale nei conteggi svolti è l’abbassamento a 2.000 euro del valore massimo assoggettabile ad imposta sostitutiva. Questa novità, come vedremo nelle tabelle di dettaglio che seguono, aumenta notevolmente il peso fiscale sui lavoratori destinatari di ingenti somme di premio legate alla produttività. Utilizzando le stesse modalità di sintesi dei dati che hanno caratterizzato un precedente studio in materia (si veda A. Cefis, Le politiche fiscali e contributive di vantaggio per i premi di produttività, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano–Bicocca, Facoltà di Economia, Corso di Laurea in Economia e amministrazione delle imprese, A.A. 2014/2015), risulta anche in questo caso utile suddividere le realtà aziendali in due categorie: quelle che erogano premi di valore inferiore al limite massimo che permette di assoggettare l’intero valore del premio ad imposta sostitutiva, oggi fissato per l’appunto a 2.000 euro, ed aziende che erogano premi di valore superiore a tale soglia.

 

 

Aziende che erogano premi inferiori ai 2.000 euro

Tab. 1 – Gli impatti fiscali della legge di stabilità nelle imprese che erogano premi inferiori ai 2.000 euro

  Legge di stabilità 2016 vs No Detassazione Legge di stabilità 2016 vs vecchia regolamentazione
1° Scaglione 13,00%
2° Scaglione 17,00%
3° Scaglione 28,00%

Analizzando i casi di aziende che erogano premi di importo inferiore a 2.000 euro, si può notare che quanto stabilito dal disegno di legge di stabilità 2016 ha solo impatti positivi. Dalla Tab. 1 è infatti possibile constatare che, la nuova regolamentazione, rispetto a quanto (non) previsto per l’anno in corso, porta ad una riduzione del carico fiscale, fissa in termini percentuali e non assoluti, che va dal 13,00% al 28,00% in base allo scaglione di reddito di appartenenza, i quali si traducono direttamente in maggiore reddito disponibile. Differenze ovviamente nulle si riscontrano confrontando la nuova regolamentazione con quanto previsto fino all’anno fiscale 2014 in quanto, in entrambi i casi, i premi di valore inferiore a 2.000 euro sono interamente sottoposti ad imposta sostitutiva del 10%.

 

Aziende che erogano premi superiori ai 2.000 euro

Tab. 2 – Gli impatti fiscali della legge di stabilità nelle imprese che erogano premi superiori ai 2.000 euro

  Legge di stabilità 2016 vs No Detassazione Legge di stabilità 2016 vs vecchia regolamentazione
1° Scaglione 260,00 € –                      130,00 €
2° Scaglione 340,00 € –                      170,00 €
3° Scaglione 560,00 €

–                      280,00 €

Se per le aziende che erogano premi d’importo basso le valutazioni non possono che essere positive, il discorso cambia se si esamina il caso di aziende che erogano premi di risultato con valore superiore ai 2.000 euro. Per i dipendenti di queste realtà l’impatto fiscale sui premi di risultato è notevole. Analizzando la Tab.2 è fondamentale innanzitutto cogliere che tali valori sono validi per tutte le aziende che rientrano nella categoria oggetto d’analisi. Si nota quindi che ad incidere non è in alcun modo il valore del premio erogato, bensì lo scaglione reddituale di appartenenza. Nella prima colonna si confronta il valore dell’imposta che un dipendente verserebbe con la nuova regolamentazione e quella versata nel corso del 2015 senza imposta sostitutiva. La nuova regolamentazione produce (ovviamente) una notevole riduzione del carico d’imposta che va dai 260 a 560 euro all’anno. Analizzando però la seconda colonna della Tab. 2 si nota che, rispetto a quanto previsto fino alla legge di stabilità 2014, con la nuova regolamentazione, a parità di premio, i dipendenti disporranno di minor reddito, quantificato da 130 a 280 euro, che invece di essere spendibile dovrà essere destinato al pagamento delle imposte dirette.

 

La particolarità per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro

 

In tema di massimali da segnalare, come elemento innovativo, è quanto previsto dal comma 7 dell’art. 12 della legge di stabilità 2016, il quale prevede un innalzamento del valore massimo di premio assoggettabile ad imposta sostitutiva a 2.500 euro «[…]per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro, con le modalità specificate nel decreto di cui al comma 6». Il comma 6 della presente bozza, a cui il comma 7 fa riferimento parlando di “coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro”, rimanda a decreto da emanare entro sessanta giorni dall’approvazione della legge di stabilità il quale dovrà specificare i criteri di misurazione degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione e le modalità di partecipazione all’organizzazione del lavoro da parte dei dipendenti. Il giudizio di merito su questa parte non può quindi che essere rimandato all’uscita del decreto ed in questo senso sarà interessante capire soprattutto come il ministero delineerà le modalità di partecipazione dei dipendenti all’organizzazione del lavoro stanti i limiti dell’attuale normativa in tema di lavoro subordinato.

 

Per quanto riguarda la base imponibile nessuna novità sostanziale se non fosse che oltre ai premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione vengono ora ricomprese anche le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa. Una precisazione importante visto che oggi, in molte realtà, la partecipazione ai risultati d’impresa rappresenta una parte importante del premio di risultato, anche se in realtà gli accordi che prevedono una partecipazione diretta agli utili d’impresa sono oggi poco diffusi. Infine, come ultimo punto chiave, viene ribadito, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo della contrattazione decentrata, che l’imposta sostitutiva è riservata a premi di risultato erogati in attuazione di contratti collettivi aziendali o territoriali.

 

Diviene quindi molto difficile esprimere un giudizio complessivo sulla parte di art. 12 che ripropone il vantaggio fiscale sui premi di risultato. La difficoltà principale che la valutazione porta con sé riguarda la visione strategica con cui questa è stata reintrodotta. Dovendo dare un parere generale sulla reintroduzione della defiscalizzazione questo non potrebbe ovviamente che essere positivo: la previsione di un vantaggio fiscale volto a favorire lo sviluppo della contrattazione collettiva decentrata quale strumento utile a promuovere l’introduzione di premi di risultato che agevolino l’aumento della produttività non può che essere una buona rampa di lancio per supportare la ripresa economica ed occupazionale. Se però ci si sofferma sullo studio quantitativo appena esposto analizzando il senso intrinseco che questi numeri nascondono, si scopre che la revisione dei limiti posta con sé due grandi criticità: da un lato la scelta fatta dal Governo genera dei grandi squilibri in ottica redistributiva. Secondo la ricerca Jp Salary Outlook 2015 dell’Osservatorio di JobPricing, infatti, il salario medio di un operaio si aggira intorno ai 23.913 euro, quello di un impiegato intorno ai 31.122 euro mentre quello di un quadro intorno ai 53.914 euro. Alzando il tetto massimo di reddito entro cui è possibile assoggettare i premi di risultato ad imposta sostitutiva si permette anche ai possessori di redditi tra i 40.000 ed i 50.000 euro prima esclusi, indicativamente i quadri, di beneficiare del vantaggio fiscale. Dovendo poi il Governo rispettare i limiti di bilancio dati delle risorse disponibili è stato opportuno andare a compensare l’aumento della popolazione coinvolta con una riduzione del valore massimo di premio assoggettabile ad imposta sostitutiva. In questo modo si è andati a penalizzare tutti quei redditi più bassi, stando alle stime del Ministero, nel 2014, i possessori di reddito inferiore ai 35.000 euro rappresentavano il 90% della popolazione, che già godevano dello sgravio contributivo e che ora si vedono ridotta la possibilità di beneficiare di una riduzione d’imposta. Dall’altro lato con l’abbassamento della soglia massima di premio assoggettabile ad imposta sostitutiva a 2.000 euro è evidente che l’obiettivo di stimolo allo sviluppo della contrattazione viene meno o comunque ha un’efficacia ridotta. Ad oggi sono infatti molte le aziende che utilizzano la leva della contrattazione aziendale per legare parti sempre maggiori di retribuzione a parametri di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione. A dimostrazione della direzione che stanno prendendo e che prenderanno le relazioni industriali ci sono anche le parole di qualche giorno fa del presidente di Confindustria Squinzi che ha sottolineato la volontà di “legare strettamente retribuzioni e produttività”. Quest’idea, che probabilmente da qui a qualche anno diventerà la via privilegiata per fare in modo che le imprese italiane restino competitive sul mercato ed al contempo si riesca a riportare la disoccupazione a livelli fisiologici, diventa realizzabile se anche i lavoratori iniziano a coglierne non solo il grande valore strategico, ma anche e soprattutto inizino ad intravederci delle vie di possibile utilità, come per esempio i vantaggi fiscali. La riduzione a 2.000 euro, se confrontata con la regolamentazione prevista fino alla legge di stabilità 2014, genera impatti molto negativi soprattutto sui premi di risultato più alti, il che è in assoluta controtendenza con quelle che sono le prospettive e le sfide che le relazioni industriali dovranno cogliere nel breve periodo. Nel 2015, anno in cui non fu previsto il rinnovo dell’imposta sostitutiva con l’evidente obiettivo di preservare risorse da destinare poi, con la legge finanziaria, allo sgravio contributivo sulle assunzioni a tempo indeterminato, si fece la scelta di penalizzare in parte chi un lavoro già l’aveva per incentivare le aziende ad assumere ed attenuare il preoccupante tasso di disoccupazione. Quest’anno la scelta è stata quella di reintrodurre il vantaggio fiscale allargando il numero di beneficiari con l’obbligo, dall’altro lato di compensare riducendo i benefici per i lavoratori a basso reddito e per le imprese attraverso l’azzeramento del fondo per la decontribuzione dei premi di risultato.

 

Andrea Cefis
ADAPT Junior Research Fellow
@AndreaCefis

 

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