Le parole del lavoro: un glossario internazionale/13 – Minijobs: una forma di precariato in Germania

Ormai il refrain di molte discussioni richiede di ispirarsi al modello tedesco per cercare di offrire nuovo vigore al mercato del lavoro. E infatti, stando alle cifre rese note a inizio gennaio 2014 dallo Statistisches Bundesamt (Ufficio statistico federale) nell’ambito della presentazione della ricerca annuale Bruttoinlandsprodukt 2013 für deutschland, in Germania sono attivi ben 41,8 milioni di lavoratori (di cui 233 mila occupati in nuovi posti di lavoro) che, a titolo diverso, hanno contribuito al raggiungimento di un tasso di crescita economica pari allo 0,5% nel 2013 (nel 2014 dovrebbe raggiungere il 2%).
 
I numeri dell’occupazione tedesca sono cresciuti a ritmi serrati negli ultimi vent’anni anni. Secondo una recente tesi di Christian Dustmann, Bernd Fitzenberger, Uta Schönberg, e Alexandra Spitz-Oener, questo è stato possibile grazie alla disponibilità dei sindacati che hanno accettato una maggiore flessibilizzazione dei lavoratori, nonché al processo di decentralizzazione della contrattazione che ha ridotto drasticamente il costo del lavoro.
 
Negli ultimi sette anni, poi, parte del merito va riconosciuto anche ai Minijobs (detti anche 450-euro-Job) che, stando ai dati forniti dall’ufficio statistico federale, hanno aiutato ad abbattere la percentuale di disoccupati del Paese. In particolare, da giugno 2003 a giugno 2013 i Minijobbers sono passati dal 21% al 35,3% circa degli occupati. Ma andiamo con ordine. Il Minijob è presente in tutti i settori: dal commercio, ai ristoranti, alle case private e lo caratterizzano quattro principali elementi:
–          Il salario massimo garantito ammonta a 450 euro (lordi) al mese (fino al 31 dicembre 2012 era di 400 euro);
–          L’orario di lavoro massimo per i Minijobber è (formalmente) pari a 20 ore settimanali;
–          Il Minijob può essere impiegato per svolgere lavori saltuari e a tempo determinato, la cui durata massima non superi i due mesi o 50 giorni lavorativi nell’anno;
–          Il datore di lavoro può beneficiare di un regime tributario vantaggioso, a fronte dell’abbattimento dei contributi sociali e assicurativi, a condizione che il Minijobber abbia solo quell’unico contratto di lavoro.
 
Regolamentati per la prima volta dall’art. 8 co. 1 della legge SGB IV, i Minijobs sono stati introdotti come strumento per tutelare legalmente gli studenti occupati in lavori occasionali, le donne inoccupate o disoccupate, gli occupati impegnati anche in un secondo lavoro. Sono diventati poi un fenomeno di massa, soprattutto per le donne scarsamente qualificate e a rischio di fuoriuscita dal mercato del lavoro. In un certo qual modo quindi i Minijobs nel corso del tempo hanno subito uno snaturamento che tuttavia non è risultato migliorativo, dato che non ha permesso a questo strumento contrattuale di perdere l’accezione negativa insita nel suo nome.
 
È opportuno notare in questa sede che il suddetto art. 8 è rubricato Geringfügige Beschäftigung und geringfügige selbständige Tätigkeit, ovvero “attività di lavoro dipendente di minima entità e (esercenti una) attività di lavoro autonomo di minima entità”. Ai sensi della norma in oggetto (soprattutto se letta in combinato con l’art. 27 co. 2 SGB III) appare che i Minijobbers, in qualità di lavoratori dipendenti di minima entità – laddove con entità si fa riferimento alla scarsa retribuzione e scarsa tutela – non debbano essere assicurati obbligatoriamente dal rischio di disoccupazione.
Tuttavia, in base all’art. 8 co. 2 SGB IV, il lavoratore occupato con due o più rapporti di Minijobs sarà tenuto all’assicurazione, a fronte del superamento dei limiti temporali e reddituali prescritti.
 
Guardando all’origine etimologica del termine, si rileva che Minijob ha la medesima radice di “Job”, ma diversamente da quanto si potrebbe ritenere, “Job” non coincide con l’omonimo inglese, bensì con il termine “lavoretto” (in tedesco lavoro si traduce con “Arbeit” o “Beruf”). “Jobben” in tedesco, infatti, significa “avere un lavoretto” ed è molto lontano dal significato del verbo “arbeiten” (lavorare). In aggiunta poi il lavoretto è “mini”, ovvero ridotto nel tempo e nella professionalità e preparazione richieste al lavoratore.
 
Non è un caso quindi che dalla loro introduzione in Germania, i Minijobs siano stati additati dai giornali e dagli esponenti del partito della Linke, come strumenti di incremento della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e di dumping salariale organizzato. A conferma di ciò il rapporto OECD 2012, secondo il quale «Germany is the only country that has seen an increase in labour earnings inequality from the mid 1990s to the end 2000s driven by increasing inequality in the bottom half of the distribution». Il rapporto prosegue indicando che le riforme varate nel 2003 (Leggi Hartz) hanno aumentato la flessibilità del mercato del lavoro tedesco, causando un effetto di livellamento dei redditi («wage moderation»).
 
Il Minijob, pur garantendo un’occupazione temporanea a soggetti che diversamente rimarrebbero esclusi dal mercato del lavoro, è spesso accusato di danneggiare i lavoratori. Il Minijobber percepisce una retribuzione fissata dalla legge in 450 euro mensili; retribuzione che rimane costante indipendentemente dal settore economico o dalla Regione (in tedesco, Land) in cui il lavoratore presta la propria attività. Tuttavia, i 450 euro mensili che sono riconosciuti al Minijobber lo pongono ben al di sotto della soglia di povertà prevista. Sono quindi numerosi i casi di Minijobbers beneficiari di reddito minimo. Il Minijob consente al datore di lavoro un forte abbattimento del costo del lavoro, a scapito del futuro pensionistico dei lavoratori e contemporaneamente obbliga lo Stato a finanziare con denaro pubblico le spese sociali. Volendo essere critici, ciò equivale a riconoscere alle imprese un aiuto di Stato, non sanzionato dall’Europa. Critiche mosse anche dall’Hans Böckler Stiftung che, pur ammettendo una parziale utilità del reddito minimo legale, usa forti toni contro i Minijobs.
 
I Minijobs rappresentano un elemento per certi aspetti critico in un mercato di lavoro che ha raggiunto nel complesso la quasi piena occupazione. Se da un lato, infatti, il Minijob costituisce un’opportunità occupazionale per persone altrimenti escluse dal mercato del lavoro, dall’altro comporta un’importante riduzione delle tutele. Tanto più che l’indicazione di una retribuzione oraria lorda per i Minijobbers potrebbe livellare verso il basso lo stipendio di tutti i lavoratori, soprattutto quelli del settore metalmeccanico, con ripercussioni importanti in tutto il Paese.
 
Gaia Gioli
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@GaiaGioli

 
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