Le mille ed una codatorialità: alcune riflessioni a margine di una recente pronuncia

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Bollettino ADAPT 19 luglio 2021, n. 28

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18135 del 24/06/2021, ha rigettato il ricorso avverso la decisione di secondo grado presentato da cinque società, ritenute facenti parte di un unico centro di imputazione datoriale, rispetto al licenziamento di un dipendente di una di esse, ritenuto illegittimo dalla Corte d’Appello territoriale, con conseguente reintegra e risarcimento del danno – oltre alla regolarizzazione contributiva per il superiore livello di inquadramento dovute a fronte delle effettive mansioni svolte – imputato, in via solidale, alla totalità delle compagini societarie coinvolte, in quanto appartenenti ad un unico fulcro datoriale.

 

Nella motivazione merita qualche attenzione il passaggio relativo al rapporto tra l’istituto della codatorialità ed il concetto di unico centro di imputazione datoriale: entrambi, infatti, sono invocabili nell’assetto regolativo dei fenomeni di terziarizzazione produttiva latamente intesi, ovverosia di quelle prassi commerciali in cui il paradigma della relazione lavoristica da bilaterale (lavoratore-datore) diventa trilaterale o multilaterale.

 

A riguardo, la Suprema Corte ha ribadito l’orientamento nomofilattico costante alla cui stregua è possibile invocare, pur in presenza di pluralità di figure imprenditoriali, un unico centro di imputazione giuridica degli interessi, e dei relativi rapporti di lavoro, allorché sussistono i seguenti presupposti1: a) unicità della struttura organizzativo-produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dai membri del gruppo di impresa, portatrici di un interesse comune; c) coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario, volto a raggiungere un obiettivo comune; d) utilizzo contemporaneo e promiscuo della prestazione lavorativa ad opera di diverse imprese.

 

Da ciò deriverebbe l’adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro da parte di tutti i soggetti facenti parte del gruppo, e non solo dal singolo datore di lavoro formale. In buona sostanza, in base alla decisione in commento, è configurabile una sovrapposizione, quantomeno applicativa quando non addirittura semantica, tra il concetto di unicità del centro di imputazione degli interessi e la codatorialità, ovverosia tra strumenti giuridici, di elaborazione dottrinale ovvero di diritto positivo, per disciplinare la contemporanea presenza di più beneficiari della prestazione lavorativa e la conseguente divaricazione soggettiva tra chi coordina il dipendente e chi se ne avvale in concreto, tipica dei fenomeni di cd. disintegrazione dell’impresa2.

 

A riguardo, la criticità principale attiene alla possibilità che, in presenza di molteplici imprenditori, i fruitori delle prestazioni lavorative limitino e/o eludano gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, a detrimento dei crediti dei lavoratori e dell’ordinamento, generando una flessibilità di duplice natura: da un lato, con riferimento alle relazioni inter-aziendali, favorendo assetti organizzativi di mercato e di rete; dall’altro, per quanto attiene al rapporto lavoristico, polarizzando i rapporti di lavoro ed operando una netta distinzione tra dipendenti con alte competenze professionali, che possono esercitare un effettivo potere negoziale, e lavoratori con bassa specializzazione, a rischio di precarietà economica e debole tutela giuridica3.

 

Tuttavia, la sostanziale equazione proposta dalla Cassazione, oltre a reiterare oscillazioni, incertezze e contraddizioni definitorie piuttosto diffuse4, sembra non tenere nella debita considerazione la pur significativa differenza che sussiste tra la codatorialità e l’unico centro di imputazione dell’interesse. In particolare, l’istituto della codatorialità ha ricevuto una limitata disciplina attraverso l’articolo 30, comma 4-ter, decreto legislativo 276/2003 – legittimando l’impiego condiviso di lavoratori dei dipendenti ingaggiati in base al contratto di rete tra imprese, sottoscritto ai sensi del decreto-legge 5/2009 – e l’articolo 31, commi 3-bis ss., decreto legislativo 276/2003, consentendo le assunzioni congiunte in agricoltura a determinate condizioni.

 

In chiave sistematica, la codatorialità rappresenterebbe il risultato dell’integrazione orizzontale tra le imprese, costituendo un collegamento funzionale volontario fondato su un contratto che coniuga l’interazione produttiva con la prestazione di lavoro condivisa per soddisfare, appunto, un interesse comune5. Tuttavia, il profilo definitorio appare tuttora incerto, posto che secondo alcuni autori6 l’istituto va declinato quale impiego cumulativo e promiscuo di uno o più lavoratori, formalmente dipendenti di un singolo retista con prestazione gestita in funzione di un interesse condiviso, in base a modalità e contenuti definiti nel medesimo contratto di rete, con un esito non dissimile dal job sharing datoriale; a giudizio di altri7 la distinzione fra codatorialità e contitolarità sarebbe di scarso rilievo pratico, implicando l’esercizio del potere direttivo la titolarità del relativo rapporto, pur in assenza di un contratto; infine, c’è chi8 lamenta il carattere “eversivo” della codatorialità rispetto alla subordinazione, avendo il divieto interpositorio presente nell’ordinamento giuridico italiano vietato l’acquisizione di lavoro attraverso schemi giuridici diversi dal contratto di lavoro subordinato, derivandone che la titolarità del rapporto va riconosciuta in base all’effettività, come prescritto dall’articolo 2094 c.c., per il quale chi presta lavoro alle condizioni indicate è dipendente di quell’impresa.

 

Viceversa, non di rado l’unico centro di imputazione di rapporti di lavoro nell’ipotesi di utilizzo cumulativo/alternativo del lavoratore è risultato funzionale ad un uso fraudolento della normativa, moltiplicando i soggetti datoriali e, di conseguenza, inibendo l’imputazione diretta degli obblighi lavoristici a chi, in sostanza, pur non risultandone formale datore di lavoro, incide sui lavoratori altrui. In particolare, rispetto a questi datori di lavoro “putativi” (i cd. quasi-employers), sono stati elaborati meccanismi per un loro coinvolgimento nell’osservanza degli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro utilizzando un quadruplice criterio: l’interferenza esercitata sull’imprenditore più debole (teoria dell’interferenza); i poteri delegati con ripercussione sui lavoratori altrui (teoria della delega); l’imputabilità a due entità imprenditoriali separate degli oneri datoriali (joint employer doctrine); la sussumibilità di diverse entità produttive in un unico datore di lavoro, essendo condivisa la prestazione lavorativa (teoria del singolo datore)9.

 

Anche per contrastare tali prassi elusive, il paradigma prevalente in Europa continentale, fondato sull’individuazione nel soggetto economicamente più affidabile dell’entità indivisibile della natura bilaterale del rapporto lavoristico, si è reso di recente più permeabile al differente modello, di derivazione statunitense, valorizzante la relazione di lavoro condivisa – trilaterale o plurilaterale – ed imputante obblighi e responsabilità a chi incide sulle questioni rilevanti del rapporto di lavoro, perché esercita un potere di fatto (control test), perché i lavoratori altrui dipendendo economicamente dal terzo (economic reality test), perché esercita influenza sul fornitore (interference test), o perché i primi due elementi risultano combinati tra loro (hybrid test)10.

 

Oltretutto, la decisione in commento sconterebbe un’ulteriore criticità applicativa in relazione alla compatibilità tra il regime solidale della responsabilità e la codatorialità, che la Suprema Corte ritiene pacifica e che, al contrario, ha non poco diviso la dottrina che se ne è occupata. In particolare, accanto a chi opta per una totale distinzione tra i due istituti11, posto che la solidarietà aggiunge un’ulteriore garanzia del terzo alle obbligazioni originarie datoriali non modificando in alcun modo la struttura binaria del rapporto di lavoro, c’è chi12 attribuisce alla sola codatorialità una funzione esimente al divieto di dissociazione tra titolarità del rapporto ed esercizio del potere direttivo, ovvero chi13 accomuna la solidarietà e la codatorialità alla luce della medesima natura di obbligazione soggettivamente complessa, che vincola più imprenditori all’adempimento di obblighi scaturenti dalla prestazione resa da un lavoratore dipendente di un solo soggetto per il perseguimento di un interesse condiviso da tutti gli altri.

 

Ad onta dell’apparente astrattezza, una differente impostazione sistematica e, di conseguenza, applicativa della questione produce non trascurabili ricadute a livello pratico, nella misura in cui, tanto per restare al caso di specie deciso dalla Cassazione, ritenere la codatorialità accostabile o, viceversa, alternativa all’unico centro di imputazione degli interessi vuol dire, rispettivamente, aumentare o ridurre i soggetti potenzialmente coinvolgibili nell’assolvimento di obblighi rimasti disattesi. Altresì, la tesi dell’incompatibilità tra i due istituti permetterebbe di disvelare, nel caso di fittizia pluralità imprenditoriale, un eventuale disegno elusivo delle disposizioni normative o contrattuali non derogabili, molte delle quali sono ancorate al criterio dimensionale aziendale ai fini della loro invocabilità e disciplinano, per esempio, le procedure per i licenziamenti collettivi, i rimedi al licenziamento individuale, gli adempimenti derivanti dalla sicurezza sul luogo di lavoro e così via.

 

Le criticità teorico-pratiche fin qui illustrate trovano senz’altro una ragion d’essere nel non agevole recepimento, nel nostro ordinamento, di modelli regolativi sorti in sistemi economico-sociali differenti, rendendo necessario l’adattamento di tecniche di disciplina importate dall’estero non soltanto alla diversa cultura e sensibilità giuridica esistenti, quand’anche ad un assetto normativo ormai consolidato. Insomma, per dirla con una battuta, Tu vuo’ fa’ l’americano, ma, senza le dovute attenzioni, Po’ te siente ‘e disturba’

 

Giovanna Carosielli 

Funzionario ispettivo ITL Bologna*

@GiovCarosielli

 

*Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.

 

1 Anche se non sempre le pronunce convergono sulla natura indefettibile ovvero alternativa delle indicate condizioni applicative: cfr. A. Casalino, Centro unico di imputazione dei rapporti di lavoro: elementi sintomatici e questioni processuali, in La Nuova Procedura Civile, 2020, 8; in argomento, anche G. Colucci, La codatorialità e le reti di impresa nella recente giurisprudenza e dottrina, in Gruppo Area Lavoro.

2 Con ciò intendendo lo smembramento verso l’esterno di settori e/o attività fino a quel momento eseguiti nella realtà produttiva: N. D. Zatz, Working Beyond the Reach or Grasp of Employment Law, in A. Bernhardt, H. Boushey, L. Dresser, C. Tilly, The Gloves-off Economy: Problems and Possibilities at the Bottom of America’s Labor Market, 2008, Labor and Employment Relations Association, spec. 37 ss., differenzia la vertical disintegration, concretantesi nel subcontratto, la horizontal disintegration, implicante, anche tramite il ricorso ad agenzie di lavoro interinale, la traslazione del potere direttivo dal titolare formale del rapporto lavorativo al terzo beneficiario della prestazione, nonché la temporal disintegration, invocabile nei casi di subentro di una diversa figura datoriale per cessione di attività e/o di una sua parte, o nel fallimento.

3 Sono le acute osservazioni di J. Fudge, Fragmenting Work and Fragmenting Organizations: the Contract of Employment and the Scope of Labour Regulation, in Osgoode Hall Law Journal, 2006, 4, 610 ss..

4 Di cui dà conto M. G. Greco, La ricerca del datore di lavoro nell’impresa di gruppo: la codatorialità al vaglio della giurisprudenza, in RGL, 2013, 1, 117 ss., che pone l’accento sulla differenza, non sempre cristallina nelle sentenze esaminate, tra la responsabilità solidale e l’autentica codatorialità, posto che la prima non implica una duplicazione della figura datoriale, che al contrario avviene con la seconda.

5 In questo senso, O. Razzolini, Lavoro e decentramento produttivo nei gruppi di impresa, in M. Aimo e D. Izzi, (a cura di), Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori, Utet, 678 ss., spec. 700 ss., nonché A. Perulli, Gruppi di imprese, reti di imprese e codatorialità: una prospettiva comparata, in RGL, 2013, 1, 83 ss., e V. Speziale, Gruppi di impresa e codatorialità: introduzione a un dibattito, ivi, 1, 3 ss., che evidenzia come il modello “orizzontale” di impresa possa risultare non meno lesivo dei diritti dei lavoratori di quanto non accada con quello “verticale”.

6 M. Blasi, Dal divieto di interposizione alla codatorialità, W.P. C.S.D.L.E. “Massimo d’Antona” – IT., n. 218/2014.

7 M. G. Greco, Distacco e codatorialità nelle reti di impresa, in ADL, 2012, 4, 380 ss..

8 O. Mazzotta, Gruppi di imprese, codatorialità e subordinazione, in RGL, 2013, 1, 19 ss..

9 M. H. Rubinstein, Employees, Employer and Quasi-Employers: an Analysis of Employees an Employers Who Operate in the Borderland Between an Employer-and-Employee Relationship, in University of Pennsylvania Journal of Business Law, 2012, 14, 605 ss., spec. 638 ss..

10 L. Corazza, O Razzolini, Who is the Employer, W.P. C.S.D.L.E. “Massimo d’Antona” – INT., n. 110/2014.

11 O. Mazzotta, op. cit..

12 L. Ratti, La codatorialità come rimedio: profili comparati e prospettiva nazionale, in M. T. Carinci (a cura di), Dall’impresa a rete alla rete di impresa. Scelte organizzative e diritto del lavoro, Giuffré, 2015, 153 ss..

13 O. Razzolini, Impresa di gruppo, interesse di gruppo e codatorialità nell’era della flexicurity, in RGL, 2013, 1, 29 ss., spec. 44 ss., nonché M.G. Greco, op. cit..

 

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