Le Academy aziendali all’epoca di Industria 4.0

In un contesto di industria 4.0 e digitalizzazione del business, sempre più attenzione si sta concentrando sulle cosiddette Academy aziendali, segno tangibile dell’evoluzione che ha investito e investe tutt’ora il ruolo della formazione in azienda. Attualmente tutte le grandi aziende ne hanno una, e le medie imprese stanno cercando di dotarsene. Ma è corretto parlare di Academy solo in relazione alla formazione? Cos’è esattamente un’Academy aziendale? Prima di provare a rispondere è necessario fare qualche passo indietro, ripercorrendo la storia delle Academy o Corporate university.

 

Le prime Academy aziendali vengono fondate prima nel 1927 da General Motors, poi nel 1955 da General Electric a Crotonville, New York. Seppur ancora dentro i confini della formazione intesa in senso tradizionale (General Electric aveva concepito quella che chiamò Corporate university come dipartimento finalizzato a erogare formazione tecnica per tutti i dipendenti), con l’istituzione della propria Academy GE è la prima azienda a rendersi conto del ruolo centrale che la formazione può rivestire in azienda. Tuttavia, in un contesto come quello del dopoguerra, in cui non si immagina nemmeno lontanamente quante e quali innovazioni tecnologiche si susseguiranno dagli anni ‘80/’90 in poi, le Corporate university vengono viste con un certo sospetto dai dipartimenti HR, ancorati sui loro modelli tradizionali di training aziendale. Effettivamente l’Academy di GE è più di nome che di fatto: semplicemente si centralizza il processo formativo in un luogo fisico ben specifico, ma lasciandolo inalterato.

 

Se bisognerà aspettare gli ultimi due decenni del XX secolo per assistere a una crescita esponenziale del numero delle Academy (si passa da 400 nel 1980 a 1600 nel 1990, per poi aumentare fino a 4000 nei giorni nostri) e alla loro più tardiva diffusione in Europa (in Italia la prima Academy viene fondata da Eni nel 2001; attualmente le Academy presenti nel nostro continente sono circa 200), è solo con il XXI secolo che l’Academy comincia a vivere pienamente quel processo di evoluzione culturale e organizzativa che, contemporaneamente, ha investito e investe tutt’ora il mondo del lavoro e, al suo interno, l’organizzazione.

 

Il processo di cui si parla mette al centro dei processi produttivi non più il bene tangibile, ma un altro tipo di risorsa, intangibile e facilmente condivisibile: la conoscenza. Grazie allo sviluppo esponenziale della tecnologia, il mondo diventa nel giro di un decennio un reticolo di connessioni, in cui la conoscenza viaggia a una velocità mai vista prima, e a costi estremamente bassi. “La rivoluzione telematica avvicina la gente e le convivenze […], permette di lavorare assieme su progetti comuni travalicando confini e continenti” (F. Galimberti 2017). L’organizzazione che opera all’interno di questo nuovo mondo del lavoro cambia anch’essa volto: diventa quella che in letteratura è stata chiamata learning organization, legando così la vita a lungo termine dell’organizzazione al processo di continuo apprendimento, alla conoscenza.

 

In questa evoluzione l’Academy finalmente ha la possibilità di mostrare tutto il suo potenziale, affrancandosi dall’essere nient’altro che un’etichetta alternativa di un dipartimento tradizionale della formazione aziendale. Come sostenuto da Allen, “It is no longer enough to provide a catalogue of training courses” (Allen 2010), c’è bisogno di altro. Con le Academy moderne si farà strada una nuova concezione di formazione, non più intesa come catalogo di corsi one shot prevalentemente incentrati sulla formazione obbligatoria (es. sulla salute e sicurezza dei lavoratori prevista dal D.Lgs 81/2008), tecnica o manageriale, bensì come luogo, sia fisico sia virtuale, finalizzato alla produzione e condivisione continua della conoscenza. Ciò che però rende l’Academy una vera innovazione rispetto al passato è data dal fatto che questa produzione di conoscenza non è più semplicemente finalizzata al consolidamento di gap formativi, ma è legata a doppio filo con la strategia dell’organizzazione: l’Academy contribuisce a raggiungere gli obiettivi di business dell’azienda e a creare valore e occupabilità.

 

Che cosa sono quindi le Academy aziendali? Uno dei singolari problemi in merito agli studi sulle Academy consiste nella loro grande eterogeneità: non esiste attualmente un modello univoco sulla definizione, struttura e finalità di un’Academy. Si può dire che siano nate a partire da specifiche esigenze aziendali, diverse da caso a caso. In questa sede si può però tentare di ricostruire i tre aspetti sopra citati al fine, soprattutto, di costruire un modello di Academy a partire dai punti che accomunano quelle attualmente esistenti.

 

Primo step: la definizione. La letteratura esistente offre un ventaglio molto ampio di definizioni possibili. Tra quelle più significative rientrano le definizioni fornite da:

 

– Jeanne Meister, una delle prime studiose delle Academy, secondo cui un’Academy è “un ombrel-lo strategico per sviluppare personale, clienti e fornitori in modo da supportare le strategie di bu-siness di un’organizzazione” (Bellavista 2016);

 

– Mark Allen, per cui “A corporate university is an educational entity that is a strategic tool desi-gned to assist its parent organization in achieving its mission by conducting activities that cultiva-te both individual and organizational learning, knowledge and wisdom” (Allen 2002).

 

– European Foundation for Management Development, che stabilisce che “La Corporate University è l’espressione concreta e visibile di una learning organization che sviluppa e sostiene i processi di cambiamento, garantisce l’allineamento di valori, strategie e persone nell’organizzazione, adegua e fa crescere di continuo le competenze chiave dell’azienda e dei singoli individui che per essa e con essa lavorano; la sua mission è di aiutare a migliorare e rinforzare la posizione competitiva delle imprese sul mercato, ma è anche quella di introdurre discontinuità innovative nella situazione esistente laddove si renda necessario” (Bellavista 2016)

 

Ognuna di queste definizioni, così come tutte le altre presenti in letteratura, colgono diversi aspetti fondamentali dell’Academy (che meglio vedremo parlando della sua struttura e delle sue finalità): ad esempio il legame con la strategia di business, l’orientamento al cliente esterno e non più solo ai dipendenti, l’attenzione ai processi di cambiamento in azienda. Tuttavia solo l’ultima sottolinea l’aspetto di innovazione dell’Academy, ovvero l’esplicitazione del forte legame con il contesto di trasformazione entro cui essa si colloca. Si è detto infatti che l’Academy è espressione visibile della Learning Organization, suo cuore pulsante. Inoltre manca il riferimento alle nuove tecnologie: la learning organization opera attivamente in un contesto di Industria 4.0, quindi anche il modo di produrre conoscenza passa attraverso l’innovazione tecnologica, grazie allo sviluppo di piattaforme e strumenti con cui condividere idee e progetti in tempo reale e da diverse parti del mondo, accedere a corsi di formazione on line con strumenti che non si limitino ai classici e-learning, spesso mal progettati e poco efficaci.

 

Si potrebbe quindi proporre una definizione di questo tipo: “L’Academy aziendale è il cuore strategico della Learning Organization, luogo fisico e virtuale in cui le persone sono non solo destinatarie di interventi formativi, ma anche e soprattutto soggetti attivi dello sviluppo e condivisione, attraverso soprattutto le nuove tecnologie digitali, di competenze e capacità, della diffusione della cultura aziendale e della continua innovazione dei processi al fine di contribuire al perseguimento della mission aziendale e garantendo la sostenibilità e responsabilità sociale nel territorio”.

 

Secondo step: la struttura. L’Academy si distingue da un tradizionale dipartimento di formazione in quanto, almeno a livello ideale, si presenta come una vera e propria Business Unit, proprio in quanto non è più concepito come puro centro di costo, bensì come produttrice di valore.

 

In quanto Business Unit, a livello formale il modello ideale di Academy dovrebbe avere:

 

– un proprio organigramma, il più possibile snello e con un solo livello gerarchico;
– un sistema governance mista, ovvero composta in parte da membri esterni all’azienda;
– una propria mission e vision allineate a quelle dell’azienda;
– obiettivi definiti e basati su un percorso di valorizzazione continua delle professionalità, in sintonia con la cultura aziendale

 

In Italia vi sono casi virtuosi in cui l’Academy presenta queste caratteristiche: in HerAcademy e in Landi Renzo, ad esempio, sono presenti tutte e quattro le caratteristiche elencate. Nella governance entrambe presentano anche docenti universitari o direttori di centri di ricerca.

 

In generale, proprio nella governance mista si cela uno degli aspetti chiave dell’Academy: il ponte con il mondo accademico e di ricerca. In quanto espressione concreta della learning organization, l’Academy infatti non può non dialogare con quelli che sono i tradizionali “laboratori” di produzione della conoscenza: università, scuole, centri di ricerca. In che modo però? Attraverso progetti che, soprattutto in Italia, sono ancora poco comuni e necessitano di maggiore analisi e studio. Alcuni esempi possono essere dati da business games per laureandi collegati a progetti realmente in essere nell’azienda di riferimento, progetti formativi per l’Alternanza scuola/lavoro, fino ad arrivare a veri e propri master riconosciuti e, soprattutto, apprendistati di III livello (i cosiddetti dottorati industriali), ancora così poco conosciuti e diffusi nel nostro paese.

 

A livello di struttura sostanziale, nella definizione prima proposta si è parlato di luogo fisico e virtuale. Cosa si intende? Ogni azienda al cui interno è presente un’Academy, trova per essa una collocazione fisica ben precisa: ad esempio UNICA, l’Academy del gruppo Unipol SAI, ha come sede un palazzo storico situato in provincia di Bologna, Landi Renzo invece una scuola costruita ad hoc accanto alla sede dell’azienda a Cavriago (RE). Questo perché, in quanto Business Unit, all’interno dell’Academy è possibile non solo erogare corsi inclusi nei percorsi di crescita dei dipendenti, ma anche offrire percorsi di formazione per fornitori o clienti esterni, organizzare convegni su tematiche d’interesse per il territorio. Illy, ad esempio, con la sua Università del caffè, è partita da “un corso base prettamente tecnico […] ad una visione più ampia, il rapporto con i produttori, il rapporto con la sostenibilità e quindi dettagli tecnici più scientifici, biologici, anche sulla trasformazione” (Bellavista 2016), offrendo così 16 corsi rivolti al cliente esterno.

 

Come luogo virtuale l’Academy mostra il suo lato 4.0, espressione di quella che Minghetti chiama social organization: la conoscenza passa anche e soprattutto attraverso piattaforme di condivisione, app da cui poter gestire da qualunque device il proprio percorso formativo e/o interagire sulle community presenti sulla intranet aziendale, senza dimenticare un uso ragionato dei social network. Questo aspetto dell’Academy ha ancora molta strada e qualche ostacolo da superare, in primo luogo culturale, a partire da una visione dei social network non di distrazione dal lavoro, come erroneamente si pensa, bensì come condivisione verso l’esterno delle best practices e valori aziendali, in ottica di employer branding.

 

Terzo step: le finalità. A cosa servono le Academy? Su questo punto si concentra uno degli aspetti chiave non solo delle Academy in sé e per sé, ma soprattutto del nuovo modo di concepire il lavoro. Si è detto che l’Academy si differenzia da un tradizionale dipartimento di formazione perché non si limita all’erogazione di corsi per colmare eventuali gap formativi, che è un luogo finalizzato alla produzione della conoscenza e che è espressione tangibile della learning organization. Ma chi è che apprende nella learning organization, e a chi si rivolge il suo prodotto, ovvero la conoscenza? Alla persona, che torna a essere il centro vitale dell’organizzazione. Senza le persone la conoscenza non può essere né prodotta né condivisa. L’Academy, di conseguenza, diventa il luogo entro cui questo processo si concretizza.

 

Perché quindi abbiamo bisogno delle Academy? Per diversi motivi: perché l’Academy crea quella che viene chiamata occupabilità, attraverso la formazione continua con cui la persona ha la possibilità sviluppare competenze spendibili nell’intero mercato e il cui valore è di gran lunga superiore rispetto a competenze tecniche valide solo al raggiungimento di obiettivi di business a breve termine; perché, attraverso i programmi di collaborazione con i tradizionali incubatori della conoscenza, attrae giovani talenti e diffonde la cultura e valori aziendali all’esterno; perché, attraverso l’attenzione dedicata alla persona, alla crescita della sua professionalità a 360 gradi, aumenta l’engagement e permette all’azienda di superare in maniera efficace eventuali processi di change management. Perché, infine, può favorire la crescita e la sostenibilità promuovendo progetti alla cui implementazione possono partecipare in partnership anche gli attori esterni, del mercato (imprese e territorio).

 

Adele Corbo

ADAPT Junior Fellow

@adele_corbo

 

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