Lavoro ed economia sociale: una lettura lavoristica del parere CESE del 27 aprile 2021

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Bollettino ADAPT 17 maggio 2021, n. 19

 

In un periodo in cui molto si discute della ripresa e della ricostruzione di un modello economico e sociale sostenibile dopo lo shock pandemico, l’Unione Europea prosegue la sua azione di progressivi riconoscimento e promozione dell’economia sociale e delle imprese che la compongono, concentrandosi sul ruolo che tali attori possono svolgere “nella creazione di lavoro stabile e dignitoso e di un’economia più inclusiva, sostenibile e resiliente”. Con un parere rilasciato lo scorso 27 aprile (relatore Giuseppe Guerini), il Comitato economico e sociale europeo ha risposto alla richiesta della presidenza portoghese del Consiglio Europeo che si pone nell’alveo delle politiche di implementazione del Pilastro europeo dei diritti sociali e che ben si inserisce nell’ambito della promozione del piano di azione per l’economia sociale da parte della Commissione Europea.

 

Il documento, dal titolo “Il ruolo dell’economia sociale nella creazione di posti di lavoro e nell’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, sia nella parte propositiva che nella parte descrittiva e di analisi dell’economia sociale, offre una importante panoramica sulla posizione del lavoro nel sistema dell’economia sociale e, di conseguenza, anche sulla sua regolazione. All’interno del parere, infatti, oltre agli aspetti relativi al crescente valore economico e occupazionale dell’attività delle imprese dell’economia sociale, alla maggioritaria presenza di occupazione femminile e alla equità retributiva, si può cogliere appieno la natura multidimensionale del lavoro e della sua normativa nel contesto di questo modello economico orientato da obiettivi sociali.

 

Una prima dimensione che si riscontra, all’interno delle osservazioni generali, è quella relativa alla nozione stessa di economia sociale, alla quale sono ricondotte organizzazioni e imprese che «antepongano obiettivi sociali al ruolo del capitale anche grazie a una governance democratica partecipata da diversi portatori di interesse» e che senza perseguire finalità di lucro privato, laddove conseguano utili, li destinano «al perseguimento degli scopi statutari e alla creazione dei posti di lavoro» (§ 2.3). Si tratta, come ha avuto modo di sottolineare il CESE anche in altri pareri, di soggetti eterogenei: cooperative, associazioni, fondazioni e imprese sociali (§2.4). Nel richiamare (e risollecitare) la necessità di consolidare questi criteri operativi ai fini della introduzione di una definizione giuridica omogenea a livello europeo –  ancora assente e funzionale alla operatività delle azioni promozionali e alla stessa riconoscibilità dell’economia sociale (§1.2) – il parere sottolinea come «condizioni di lavoro dignitose e […] governance democratica sono elementi qualificanti per le imprese dell’economia sociale e che, quando non sono previste statutariamente […] si debbano prevedere forme concrete di consultazione e partecipazione dei lavoratori» (§1.9). In questo modo si va a configurare un ruolo sostanzialmente costitutivo e definitorio della disciplina delle modalità di intervento dei lavoratori nella gestione dell’attività economica, ruolo che si riconnette anche al perseguimento di condizioni di lavoro dignitose.

 

In una diversa dimensione, poi, si sottolinea il ruolo svolto dagli attori dell’economia sociale ai fini della creazione e del mantenimento dell’occupazione di «lavoratori svantaggiati e in territori svantaggiati». In questo senso il parere, nel richiedere politiche di sostegno (economico e normativo), evidenzia la «funzione sostanzialmente pubblica» svolta in questo ambito (§1.4), tale da motivare azioni in materia di oneri fiscali e contributivi che dovrebbero essere eccettuate dalla disciplina sugli aiuti di Stato, a condizione, comunque, che tali organizzazioni rispettino «i contratti collettivi di lavoro e i diritti fondamentali dei lavoratori» (§3.4). Emerge, allora, un secondo profilo, che riguarda la declinazione di quegli obiettivi sociali richiamati dalla nozione stessa di impresa sociale: non soltanto la «piena inclusione lavorativa per persone gravemente svantaggiate» è uno dei fondamentali obiettivi sociali (il lavoro come obiettivo sociale), ma deve essere considerato quale missione da valorizzare anche attraverso legittime distorsioni della concorrenza.

 

A monte e a valle – ovvero in termini sistematici oppure più interni rispetto alla operatività di tali soggetti – il parere fa emergere altri profili di particolare interesse del lavoro rispetto all’economia sociale. Sotto il primo punto di vista denota l’importanza del workers buyout quale strumento di «riconversione di attività produttive e di servizio, o il trasferimento di queste attività» (§§3.13-3.14 e §1.6), definendo «forme di autoimprenditorialità come il WBO […] parte integrante delle politiche attive del lavoro». Accanto a tale aspetto si segnala, inoltre, il ruolo che le imprese dell’economia sociale possono svolgere nell’ambito di nuovi modelli produttivi, come la green-economy, ma soprattutto la gig economy, attraverso l’azione delle cooperative di lavoro (§§4.1-4.2 e §1.8).

 

Più a valle, invece, ci sono le dinamiche interne del lavoro nelle organizzazioni dell’economia sociale. In questo senso, si sottolinea, al netto dell’equità retributiva sopra richiamata, la circostanza per cui, anche per la «scarsa valorizzazione del lavoro di cura», i livelli retributivi tendono ad essere più bassi, problematica rispetto alla quale si promuove un rafforzamento dei «diritti sindacali dei lavoratori del settore sociale e assistenziale» (§2.12). Ancora, si richiama l’attenzione rispetto all’esigenza di evitare fenomeni di «social washing» o di accesso alle misure di sostegno da parte di soggetti che non rispettino i requisiti previsti, e tra questi si sottolineano quali elementi qualificanti «l’aumento occupazionale stabile» e «l’applicazione di elevati standard di sicurezza sul lavoro» (§§3.9-3.11). L’idea è che non possa definirsi economia sociale un modello economico che non assicuri il rispetto di condizioni dignitose di lavoro per gli operatori coinvolti: a questo fine, oltre alla garanzia della governance democratica, sono necessari parametri effettivi da verificare. Infine, in aggiunta ad un importante rilievo sui percorsi di formazione permanente che devono essere promossi nei confronti delle persone attive nel settore (§2.14), emerge il ruolo dell’altra anima dell’attività delle organizzazioni dell’economia sociale: oltre ai lavoratori, i volontari. In questo senso, si enfatizza il ruolo del volontariato non soltanto quale fattore fondamentale per la sostenibilità del sistema, ma anche per la sua funzione nella formazione dei giovani, che da queste esperienze acquisiscono competenze e aumentano la propria occupabilità, e il cui inserimento lavorativo dovrebbe essere sostenuto tramite azioni promozionali volte a riconoscere tali competenze e a favorire le transizioni (§1.11 e §4.6).

 

Al termine di tale (ri)lettura del documento in chiave lavoristica, non si può che condividere l’opzione per un impulso legislativo che promuova il ruolo dell’economia sociale e che lo faccia partendo da una definizione comune a tutta l’Unione Europea. In questo senso, l’analisi del documento ci sembra fornire una direttrice importante: nel definire e regolare l’economia sociale occorre tener presenti le diverse dimensioni del lavoro al punto da riconoscere che la sua regolazione acquisisce una funzione costitutiva del modello economico rispetto all’economia capitalistica.

 

Emanuele Dagnino

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@EmanueleDagnino

 

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