Il lavoro cambia, anche nei programmi elettorali

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Non passa giorno senza che gli osservatori della campagna elettorale ne denuncino la povertà di contenuti e il complementare eccesso di facili “promesse”. Si tratta sicuramente di considerazioni che, seguendo i dibattiti televisivi o le dichiarazioni dei protagonisti, sembrano confermate. Se andiamo però a leggere i programmi che i partiti stessi che hanno presentato, lo scenario che emerge diverge da quello della campagna elettorale. E soprattutto emerge come spesso la ricchezza di temi nei programmi, che pure scontano la povertà di dettaglio e sorvolano quasi sempre sulle coperture, sia stata nascosta nel corso della campagna elettorale, a dimostrazione di un sostanziale impoverimento del dibattito.

 

 

Quanto lavoro nei programmi?

 

Alla luce di questa considerazione abbiamo cercato di svolgere una analisi (contenuta in questo ebook) dei programmi sul lavoro partendo però da una osservazione, ossia dal fatto che, come mostrano le curve di ricerca di Google Trends, già da gennaio il lavoro ha avuto un ruolo centrale nella campagna elettorale a partire dai vari annunci di abolizione del Jobs Act e della riforma Fornero, le proposte di un salario minimo, di un reddito di cittadinanza o di un reddito “di dignità”.

 

 

 

 

Come detto, chi si cimentasse nella lettura dei diversi programmi, scoprirebbe alcuni aspetti interessanti. Infatti ad un crescente uso del lavoro come tema da campagna elettorale è corrisposto in questi anni un aumento dello spazio complessivo dedicato al lavoro nei programmi elettorali. Le forze politiche che avevano elaborato un programma e si presentavano con buone probabilità di oltrepassare la soglia di sbarramento erano otto nel 2013 e sono otto anche in questa tornata elettorale. Il numero di battute utilizzato per parlare di lavoro è però quasi raddoppiato, passando da un totale di 70610 caratteri, spazi inclusi, nel 2013 a 126715 nel 2018.

 

 

Numero di battute nelle frasi che espongono proposte relative ai temi del lavoro nei programmi elettorali, 2013 e 2018.

 

 

In termini assoluti si tratta di un aumento dovuto in buona parte all’estensione del capitolo “lavoro” nel programma del Partito Democratico, caratterizzato da ampi commenti dedicati ai risultati raggiunti e a considerazioni sul valore strategico degli interventi proposti. Ma anche Lega e Movimento Cinque Stelle hanno però esteso lo spazio dedicato al lavoro dal 2013. Estensione che sicuramente tiene conto della forte presenza di voto operaio e giovanile dei due partiti, come emerso da diversi sondaggi. Nel 2013 il Movimento fondato da Beppe Grillo non aveva nemmeno un capitolo dedicato al lavoro, oggi invece presenta il terzo programma più esteso, dopo quelli di PD e di + Europa. La Lega (allora “Nord”) presentava solo il programma di coalizione insieme al Popolo delle libertà. Oggi, pur presentandosi sempre in coalizione, ne presenta uno separato. Come fa anche Fratelli d’Italia, che già nel 2013 aveva presentato, per fornire una sua prima presentazione all’elettorato, un programma più esteso ed articolato.

 

 

 

 

Le parole del lavoro nella campagna elettorale 2018

 

Non si rileva però solo una variazione quantitativa, ma anche una qualitativa. Le parole più utilizzate nel 2013 e nel 2018 sono infatti cambiate. Mettendo assieme tutte le parole contenute nelle frasi dei programmi elettorali dedicate ai temi del lavoro, risulta evidente come il discorso tecnico-politico si sia non solo esteso, ma anche specializzato, andando a descrivere un argomento dalle diverse sfaccettature e dai diversi ambiti di intervento. Se nel 2013 le parole più utilizzate erano “imprese”, “mercato”, “lavoratori”, “sociale”, nel 2018 si osserva invece l’avanzata della parola “tutti”, della parola “anni” e, soprattutto, delle parole “formazione” e “sistema”. Scompare tra le più ricorrenti la la parola “mercato”, mentre “lavoratori” scivola dalla prima alla quinta posizione. Sorprendentemente poco usata anche la parola “welfare” che compariva nella top ten cinque anni fa.

 

 

Wordcloud delle parole utilizzate per esporre le proposte in tema di lavoro nei programmi elettorali del 2013 (sx) e nel 2018 (dx)

 

 

 

Confronto tra le parole più frequenti nelle frasi utilizzate per esporre le proposte in tema di lavoro nei programmi elettorali 2013 e 2018

 

 

 

La parola “anni”, è utilizzata 40 volte su 63 dal Partito democratico, soprattutto per riferirsi alla discontinuità introdotta dai suoi tre Governi rispetto al periodo precedente.

 

Anche l’apparizione della parola “tutti” è responsabilità prevalentemente di PD e +Eu che insieme la utilizzano 37 volte su un totale di 50. Il riferimento è soprattutto a persone (“i cittadini”, “i contribuenti”, “i giovani”, “i lavoratori”, “i neet”, “i nuovi assunti”), prima che a cose (“gli altri paesi”, “gli oneri”, “gli scali”, “i comuni”…).

La “parola” formazione, che 5 anni fa non compariva nemmeno tra le prime dieci, è utilizzata 36 volte in questa tornata elettorale: 16 volte dal PD, 8 da +EU, 8 dal M5S, 2 da Lega e 1 volta nei punti sintetici presentati della coalizione di centrodestra.

 

Il dato più interessante riguarda però la parola “sistema”. Il lavoro che emerge dai programmi elettorali per le elezioni politiche del 2018 è un lavoro connesso ad una molteplicità di “sistemi”, che vengono individuati spesso in maniera trasversale dai partiti. Si incontrano: “sistema pubblico” (PD, LeU), “produttivo” (PD), “assicurativo contro il rischio di disoccupazione” (NCI), di “relazioni industriali” e “sindacale” (M5S), “di gestione del personale” (PD), “previdenziale” (+EU) e “pensionistico” (FdI, M5S), “di welfare” (LeU, +EU, PD) “dei congedi” (M5S), “d’istruzione” (PD), “formativo” (+EU), “duale” (PD), “degli ordini professionali” (+Eu), “giudiziario” (PD), “di ammortizzatori sociali” (FdI), “di accoglienza” (+EU), “di asilo europeo” (LeU), “di mobilità” (PD), “penitenziario” (PD), “di sostegno dell’imprenditorialità giovanile e delle start- up” (Lega), “di orientamento universitario” (PD, FdI).

 

Concetti trasversali e grandi assenti

 

Ma alcune trasversalità risultano ancora più vistose. Ci limitiamo a citarne alcune riguardanti gli argomenti più dibattuti sulla scena pubblica. È il caso del salario minimo, proposto sia dal Partito Democratico, sia dal Movimento 5 Stelle, nonché dalla Lega. Con la differenza che nei primi due casi, tale previsione si applicherebbe solo ai settori non coperti dalla contrattazione collettiva (PD) o dove comunque la contrattazione non avesse definito un salario minimo (M5S), mentre nel terzo caso la misura si applicherebbe “indipendentemente dai contratti nazionali”.

 

Anche i diversi interventi sul reddito, pur con le note differenze, percorrono i vari programmi, dal reddito di cittadinanza dei M5S, al Reddito di inclusione citato da LeU, fino al “sostegno al reddito universale” proposto da + Europa. Risposte diverse, spesso molto diverse, che mettono al centro però una esigenza comune che i vari partiti riscontrano e che di certo consente di rivolgersi ad ampie fette di elettorato. Un’ampia fetta, non per forza la stessa, che si cerca di intercettare anche proponendo una più o meno radicale (e quindi più o meno sostenibile) revisione della riforma Fornero, menzionata non solo da FdI, e Lega, ma anche da LeU e M5S.

 

Quanto alla vituperata alternanza scuola-lavoro, si osserva come il solo partito a proporre un esplicito “superamento” in toto sia Fratelli d’Italia. Il M5S propone invece l’eliminazione dell’obbligatorietà e lo sviluppo di non molto chiari piani territoriali di formazione. Per LeU la proposta è quella di “rivedere completamente” l’alternanza, mentre si tratta di “rafforzarla e renderla stabile” per + Eu. Anche su questo terreno si incorre in una comunanza tra PD e Lega: per il primo “L’obiettivo è puntare di più su didattica laboratoriale in linea con le esigenze di Impresa 4.0”, specificando che si investirà “sugli Its, gli Istituti tecnici superiori”. Sostanzialmente quanto scrive, pur in una singola frase, anche la Lega. Che esprime una posizione differente da quella dell’alleato FdI parlando proprio di “alternanza scuola-lavoro” sul modello tedesco, soprattutto per gli istituti tecnici e professionali”.

 

Alquanto singolare risulta il fatto che nessun partito affronti in maniera anche solo minimamente dettagliata il tema dei tirocini. Gli unici due riferimenti si incontrano nel programma della Lega e nel programma di coalizione del centrodestra, i quali utilizzano la parola “stage”. Quanto al primo, si afferma che il salario minimo dovrebbe avere l’effetto di impedire lo sfruttamento di giovani attraverso “i cosiddetti ‘stage’ di comodo”. Quanto al secondo, si specifica invece un “Obiettivo di piena occupazione per i giovani attraverso stage, lavoro e formazione”. La scarità di riferimenti ai tirocini è Indice del fatto che l’elettorato giovanile non è certo la platea di riferimento dei partiti in questa tornata elettorale. In caso contrario infatti si sarebbe avuto gioco facile nel toccare il nervo scoperto di decine di migliaia di neo- diplomati e neo-laureati che spesso si trovano a reiterare tirocini senza ricevere una proposta di un vero e proprio contratto di lavoro. Allo stesso si può spiegare quindi l’assenza in tutti i programmi del riferimento a Garanzia giovani, che pure ha fatto discutere molto negli ultimi anni a causa dei risultati alquanto discutibili a fronte delle ingenti risorse impegnate.

 

Venendo al capitolo del lavoro occasionale si dimostrano favorevoli a una sua nuova regolazione 5 Stelle, Lega, e Noi con l’Italia (anche se il documento di coalizione non contempla questa possibilità). I primi propongono “l’introduzione di due strumenti, uno per famiglie, con i cosiddetti “chéque”, per l’acquisto di prestazioni di lavoro accessorio per servizi alla persona, alla famiglia e all’abitazione domestica”. La Lega parla invece di una “temporary card”, e di un sistema “temporary work” che dovrebbero sostanzialmente sostituire l’attuale sistema “PrestO” e il “Libretto famiglia”, introdotti con il DL 50/2017. NcI parla invece esplicitamente di un “ripristino dei voucher”, probabilmente nella forma in cui esistevano prima dell’eliminazione.

 

In chiusura rimane da evidenziare come i documenti presi in considerazione contemplino un solo riferimento favorevole ad una reintroduzione dell’articolo 18, nonostante la risonanza di alcune proposte avanzate in campagna elettorale. È quella di LeU, che vuole promuovere “il contratto a tempo indeterminato a piene tutele, con il ripristino dell’art.18 come la forma prevalente di assunzione”. Per contro, il riferimento alle politiche attive del lavoro è diffuso in maniera abbastanza trasversale (pur con approcci differenti) nei programmi, anche se è stato totalmente assente nella campagna elettorale.

 

 

Conclusioni

 

Quelle che emerge dalle analisi dei ricercatori e dai dottorandi di ADAPT è in sintesi un quadro complesso, dove alcune linee programmatiche attraversano gli schieramenti contrapposti, delineando in alcuni casi dei profili di contraddizione interni alle coalizioni, nonché, talvolta, agli stessi partiti. È il caso, quest’ultimo, della convivenza nel programma della Lega di una forma di tassazione della tecnologia e della promozione dello sviluppo tecnologico e produttivo. Nonché del contrasto nel programma M5S tra la volontà di depotenziare la bilateralità da un lato, e la promozione della partecipazione attraverso una cogestione alla tedesca dall’altro.

 

Due considerazioni possono essere quindi fatte in conclusione. La prima è sulla discrepanza tra svolgimento della campagna elettorale e contenuti dei programmi. Ciò sia rispetto al poco spazio che certi temi che hanno occupato le televisioni e i giornali negli ultimi mesi trovano nei programmi, sia per il poco livello di dettaglio e di approfondimento che altri (pensiamo all’abolizione della riforma Fornero) presentano nei programmi, pur essendo stati utilizzati ampiamente come cavalli di battaglia. Ciò porta da un lato a pensare, non senza sollievo, che nella testa di chi ha scritto i programmi vi sia la capacità di ampliare almeno in misura sufficiente i contenuti. Ma, dall’altro, conferma in modo palese la povertà del dibattito politico al quale abbiamo assistito e la deliberata scelta di mantenere basso il profilo del confronto.

 

La seconda considerazione è in merito ai contenuti dei programmi stessi e soprattutto in merito alle proposte. Da queste infatti si evince chiaramente che quasi per tutti i partiti l’elettorato di riferimento è quello di una popolazione over 35 che, come tale, potrebbe avere meno interesse a chiedersi quale possa essere la prospettiva dei prossimi 25-30 anni. Ed è proprio questa prospettiva che sembra complessivamente mancare, non tanto nelle parole quanto nelle proposte. Una visione per il paese che tenga conto delle enormi trasformazioni tecnologiche, demografiche ed ambientali che saremo chiamati a governare nei prossimi decenni. Visione che, nell’ambito politico, deve però concretizzarsi in passi e riforme.

 

Francesco Nespoli

ADAPT Research Fellow

@FranzNespoli

 

Francesco Seghezzi

Direttore Fondazione ADAPT

@francescoseghezz

 

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Il lavoro cambia, anche nei programmi elettorali
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