Lavoro a domicilio penitenziario: una prima sentenza dal Tribunale di Padova

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Bollettino ADAPT 7 settembre 2020, n. 32

 

L’anno 2020 si è dimostrato, inaspettatamente, essere molto importante per gli avanzamenti registrati in merito alla risoluzione dell’enigma del lavoro a domicilio penitenziario (in questi termini A. Alcaro, L’enigma del lavoro a domicilio penitenziario: alcune problematiche, in Boll. Adapt, 7 novembre 2016), utilizzato nella prassi del lavoro penitenziario eppure scarsamente oggetto di approfondimenti in dottrina (tra le principali cfr. M. BARBERA, Lavoro carcerario (voce), in NDDP, sez. comm., VIII, 1992., pp. 224 – 225; L. NOGLER, Lavoro a domicilio. Art. 2128, in P. SCHLESINGER (diretto da), Il codice civile. Commentario, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 298 – 308; M. TIRABOSCHI, Lavoro carcerario e lavoro a domicilio, in DRI, n. 4, 2017, pp. 1231 ss.; A. ALCARO, Il diritto alle ferie nel lavoro a domicilio penitenziario, in DRI, n. 1, 2019, pp. 351 ss.) e finora ignorato da prassi amministrativa e giurisprudenza. Risale al 23 gennaio scorso la nota n. 526 del 23 gennaio 2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la quale si sono condivisi alcuni principi concernenti la tematica del “lavoro a domicilio negli istituti di pena”, confermati dall’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Ma soprattutto, data al 18 giugno scorso la sentenza del Tribunale di Padova, n. 242, che, a quanto risulta, costituisce la prima pronuncia giurisprudenziale sul tema in analisi.

 

La sentenza chiude il procedimento di 1° grado avviato con ricorso di un ex lavoratore detenuto di una cooperativa, operatore telefonico addetto al Cup ospedaliero, inizialmente inserito con tirocinio formativo ed in seguito assunto con contratto di lavoro a domicilio ex l. n. 877/1973, e dunque, con retribuzione a cottimo pieno, inizialmente ulteriormente decurtata in applicazione di un salario d’ingresso previsto dal CCNL Cooperative sociali applicato. Il ricorrente, contestando la legittimità dei suddetti rapporti, ha chiesto al giudice di merito di accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro ex art. 2094 c.c. e di riconoscere la retribuzione a tempo prevista dal CCNL applicato per il suo livello di inquadramento.

 

Per quel che interessa ai nostri fini, il giudice patavino, nel dispositivo della sentenza, ha approfondito la tematica delle condizioni di legittimità del lavoro a domicilio negli istituti di pena e della retribuzione a cottimo pieno. Quanto al primo tema, non è esclusa in astratto l’ammissibilità del lavoro a domicilio all’interno del carcere, ma il Tribunale ritiene che la disponibilità dei locali, richiesta dall’art. 1 l. n. 877/1973, debba essere intesa in senso “relativo”, cioè con riguardo alle modalità di organizzazione del lavoro del detenuto. Nel caso in esame, le modalità organizzative verificate integrano, piuttosto, indici di piena subordinazione ex art. 2094 c.c.: i capannoni, dove il ricorrente prestava la sua attività lavorativa, erano dati in comodato dall’amministrazione penitenziaria alla cooperativa datrice di lavoro, che organizzava il lavoro tramite propri supervisori, comunque controllato anche da remoto in tempo reale tramite un collegamento informatico con l’azienda sanitaria; anche i turni di lavoro erano predeterminati dal datore di lavoro con cadenza prima giornaliera ed in seguito settimanale.

 

Sulla questione della retribuzione a cottimo, il giudice di merito ha accertato, preliminarmente, l’illegittimità di tale modalità retributiva come conseguenza dell’incompatibilità delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa accertate con un rapporto di lavoro a domicilio. Ha rilevato, altresì, una contraddizione nella lettera di assunzione tra la previsione delle tariffe di cottimo ed il rinvio al CCNL Cooperative sociali, che non le dispone, per la quale l’aver assegnato una retribuzione inferiore e aleatoria produce un effetto ablatorio di un diritto retributivo riconosciuto dalla contrattazione collettiva nazionale.

 

La sentenza, che appare conforme ad una soluzione già proposta in dottrina (M.G. MATTAROLO, Il lavoro subordinato alle dipendenze di terzi, in M.G. MATTAROLO – A. SITZIA (a cura di), Il lavoro dei detenuti, Padova, Padova University Press, 2017, pp. 49 – 50), si configura come un’efficace reazione a utilizzi distorti della modalità del lavoro a domicilio penitenziario (per un approfondimento sui quali M. CUGNASCHI, Se il salario è un optional, in Carte Bollate, n. 2/2014, p. 10). Pur con argomentazioni meritevoli di ulteriori approfondimenti, la pronuncia in esame espone a forte rischio di illegittimità, in assenza di garanzia della “sfera di autodeterminazione” del lavoratore detenuto (in questi termini M. DE CRISTOFARO, Il lavoro a domicilio, Padova, 1978, p. 272), l’utilizzo del lavoro a domicilio nei locali interni all’istituto di pena concessi in comodato d’uso al datore di lavoro. Questa giurisprudenza potrebbe inaugurare una stagione di cause seriali, che dovrebbe aprire una riflessione delle imprese sull’opportunità di avvalersi ulteriormente di una tale fattispecie.

 

Alessandro Alcaro

Dottore di ricerca in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@AlexAlcaro

 

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