L’alternanza nella riforma della scuola: una possibile svolta culturale?

L’introduzione in Italia dell’alternanza scuola-lavoro obbligatoria, proposta con disegno di legge dal Governo il 12 marzo, cercherà di colmare il deficit di formazione on the job del nostro sistema scolastico. L’ultimo monitoraggio Indire sull’alternanza scuola-lavoro attesta infatti che solo il 10,7% degli studenti di scuola secondaria superiore in Italia è inserito in simili percorsi . Un numero molto basso se paragonato ai Paesi avanzati europei (Svizzera 60%, Danimarca 46%, Germania 42%). Nell’anno scolastico 2013/2014 quasi la metà degli istituti superiori italiani ha offerto percorsi di alternanza (il 43,4% dei professionali, il 37,3% dei tecnici, il 13,4% licei più altri percorsi). Gli studenti degli istituti professionali sono quelli che ne hanno beneficiato di più (il 20%), mentre i licei offrono questa possibilità solo al 2,2% dei loro iscritti.
 
Più ne dettaglio, nel 2014 sono stati 10.279 i percorsi di alternanza nelle scuole superiori italiane: la maggior parte in Lombardia (2.836). Seguono Toscana  (1.032), Veneto (919) e Lazio (711). 126.003 strutture hanno collaborato alla realizzazione dei percorsi di cui quasi la metà imprese. I settori prevalentemente interessati sono stati industria e turismo: in particolare l’attività manifatturiera (41,9%) e l’attività di servizi di alloggio e ristorazione (20,9%). Non a caso l’alternanza scuola-lavoro si diffonde principalmente nei territori a maggior densità produttiva e permette ai giovani di inserirsi più facilmente nel mercato del lavoro. Lo confermano i dati: nelle province italiane dove si fa più alternanza i tassi di occupazione giovanile sono più alti. Tra le prime dieci province italiane con più occupati tra i 15-24 anni emergono, infatti, oltre a Bolzano, quattro province lombarde e  trivenete.
 
L’esigenza di maggior collegamento scuola-impresa e gli orientamenti europei hanno spinto il Governo a fare dell’alternanza uno dei cardini della riforma che si avvia verso l’iter parlamentare. Ad essa è dedicato un intero articolo, il quarto, rubricato “Scuola, lavoro, territorio”. Già presente nel capitolo V del documento “La Buona Scuola” presentato lo scorso 3 settembre, l’alternanza passa dalle iniziali 600 ore obbligatorie nell’ultimo triennio di istituti tecnici e istituti professionali alle attuali “almeno 400 ore”. Soluzione, questa, che garantirà un numero minimo di ore di alternanza (600 erano considerate troppe) senza limitare le scuole che potranno offrire più di 400 ore ai propri studenti in base a specifici accordi con imprese ed enti pubblici. Resta comunque un incremento molto significativo rispetto alle 70-80 ore previste fino ad oggi. In aumento anche il finanziamento dei percorsi: dagli 11 milioni previsti fino allo scorso anno scolastico la spesa a regime per l’alternanza si aggirerà sui 100 milioni di Euro per anno a decorrere dal 2016 (20 milioni per il 2015). Allargato anche il target degli  enti “ospitanti”  che si estende agli ordini professionali e agli enti che si occupano di attività culturali e ambientali. Inoltre l’alternanza potrà essere svolta anche in modalità IFS (Impresa Formativa Simulata), sfruttando le reti digitali.
Ma la vera novità rispetto al documento di settembre è l’introduzione dell’obbligo di alternanza anche nei licei: in questo caso il totale delle ore ammonta a 200 nell’ultimo triennio. Tale previsione rimuove il rischio di apartheid tra istituti che offrono percorsi di alternanza e istituti che non lo fanno, pur commisurando l’impegno e il monte ore alle specificità degli indirizzi di scuola superiore. Quello di “imparare lavorando” sarà dunque un diritto di tutti gli studenti di scuola superiore. L’innovazione potrebbe aiutare in particolare il rilancio del liceo classico (dove si iscrive solo il 6% del totale degli studenti, -50% rispetto a 10 anni fa): un’occasione per introdurre nell’offerta formativa modelli pratici che valorizzino la cultura umanistica e consentano agli studenti di fare esperienze in musei, istituti di cultura, aziende di promozione e valorizzazione del patrimonio artistico del Paese.
 
Per consolidare il ruolo della formazione on the job nell’offerta formativa si prevede che l’alternanza sia inclusa nella terza prova scritta degli esami di Stato. Per gli studenti che hanno svolto questo percorso durante il triennio, l’alternanza diventa quindi una “materia” d’esame. Si precisa che negli istituti tecnici e negli istituti professionali, per predisporre la prova, la commissione d’esame tenga conto delle esperienze specifiche fatte in alternanza e coinvolga il tutor aziendale che ha seguito lo studente. Anche nel colloquio orale la commissione potrà fare domande e interloquire con lo studente su questo tema. A tutela degli studenti sarà elaborata una specifica “Carta dei diritti e doveri di studentesse e degli studenti in alternanza” da adottare sentite le rappresentanze studentesche nazionali. A loro volta le scuole svolgeranno attività di formazione in materia di salute e tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro organizzando corsi ad hoc.
 
In linea con i maggiori poteri di autonomia conferiti ai dirigenti scolastici dalla riforma, saranno i presidi a individuare e scegliere imprese ed enti pubblici disponibili alla attivazione dei percorsi di alternanza. Manca invece qualsiasi riferimento ad incentivi economici (ad esempio sgravi fiscali) che potrebbero incrementare il coinvolgimento delle aziende nei percorsi formativi. Per incrementare il collegamento scuola-impresa-territorio sarà comunque possibile attivare i “laboratori territoriali per l’occupabilità” che consentiranno a imprese, ma anche università ed enti pubblici, di collaborare con le scuole per orientare le attività formative verso settori strategici del Made in Italy e per fornire servizi propedeutici all’inserimento del giovane nel mercato del lavoro. I laboratori, finanziati con 90 milioni di euro per il 2015, sono pensati come spazi di incontro tra scuola e territorio dove sperimentare nuovi percorsi di “didattica laboratoriale” che sarà possibile attivare anche in reti di scuole e nei poli tecnico-professionali. Aperti anche al di fuori dell’orario scolastico i laboratori potranno contribuire a contenere l’alto tasso di abbandono scolastico (17,6% media nazionale con punte del 30% al Sud) e fare della scuola un punto di riferimento nella realtà sociale e produttiva di un territorio.
 
Resta salva la possibilità degli studenti di scuola superiore di svolgere periodi di formazione in azienda attraverso la stipulazione di contratti di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale. La novità tiene conto di quanto previsto dal JobsAct in tema di apprendistato di primo livello. La previsione abroga l’articolo 8-bis del decreto “Carrozza” nella parte in cui introduceva la sperimentazione di programmi per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda in apprendistato (di terzo livello) per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado per il triennio 2014-2016. Sono fatti salvi, fino alla loro conclusione, i programmi sperimentali per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda già attivati, tra cui il programma Enel in 7 istituti tecnici elettrici del Paese.
 
Se questo è l’impianto teorico della norma bisognerà tuttavia misurarne l’impatto materiale. In un Paese dove solo il 4% dei giovani tra i 15 e i 29 anni concilia studio e lavoro la svolta culturale auspicata dal Governo sull’alternanza non potrà avvenire in tempi brevi. Sarà invece da valutare come, a livello settoriale e territoriale, i percorsi di alternanza potranno effettivamente generare valore aggiunto per gli studenti che li praticano. Modelli da seguire esistono già: ad esempio il Progetto Traineeship di Federmeccanica che coinvolge 50 istituti tecnici di tutto il Paese, oppure la rete del Club dei 15 nelle principali città manifatturiere italiane. Ma la svolta culturale sarà possibile se si farà in modo che i migliori modelli diventino sistema e si diffondano anche in Regioni dove i numeri dell’alternanza sono irrisori e dove l’abbandono scolastico e la sfiducia nell’istruzione dilaga. È questa la vera sfida di una riforma che, ricostruendo il ponte tra scuola e lavoro, potrebbe rimuovere una delle principali cause strutturali della disoccupazione giovanile.
 
Alfonso Balsamo
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@Alfonso_Balsamo
 
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