La strada del lavoro è ancora lunga

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Ogni mese l’ISTAT rende noti i dati sull’occupazione. Ed ogni mese è subito guerra sui numeri per far dire loro qualcosa di positivo o di negativo, a seconda delle convenienze. Manca in generale un tentativo di andare oltre gli slogan e leggere in profondità questi dati, anche nel confronto con la realtà di altri Paesi, per capire cosa davvero sta accadendo sul mercato del lavoro, che è poi la prima preoccupazione delle famiglie e delle persone.

 

Anche in vista delle scelte che la politica e le parti sociali dovranno compiere nella prossima legge di bilancio sarebbe dunque un buon esercizio quello di prendersi del tempo per poterli comprendere in profondità in modo da intuire le tendenze in atto. Può infatti apparire alquanto strano che aumentino sia gli occupati di 59mila unità che i disoccupati di 61mila. Questi numeri apparentemente contraddittori si chiariscono alla luce del fatto che il numero di persone inattive (coloro che non hanno un lavoro e neppure lo cercano) è diminuito di 115mila unità. Ciò significa, con le dovute approssimazioni, che una parte degli inattivi ha trovato un lavoro, e che una altra parte ha ricominciato a cercarlo, finendo quindi nella fila dei disoccupati. I dati mostrano quindi che la piccola ripresa economica che il nostro Paese sta vivendo contribuisce a riattivare il mercato del lavoro. Ma non è tutto così semplice, perché potrebbero esserci spiegazioni alternative, che non per forza sono negative, ma che aiutano a comprendere meglio quello che le persone poi sentono nella loro esperienza quotidiana fatta ancora di difficoltà e incertezze sul versante del lavoro.

 

Sappiamo infatti che dal 2012 la Riforma Fornero ha aumentato i requisiti per accedere alla pensione. Così facendo negli anni successivi centinaia di migliaia di lavoratori sono rimasti al lavoro. E se i pensionati risultano “inattivi” nelle statistiche si capisce facilmente come lo spostamento dell’età della pensione abbia comportato un calo di inattivi ed un aumento di occupati. Questa spiegazione aiuta a comprendere un ulteriore elemento di cui spesso non si tiene conto ma che coincide con un disagio sociale molto forte: il forte aumento dei disoccupati tra gli over 50. Parliamo di quei lavoratori maturi che, una volta perso il lavoro, faticano a trovarne un altro, per ragioni diverse. Numero cresciuto soprattutto perché, con le nuove regole del Jobs Act, la cassa integrazione si sta esaurendo definitivamente in molte imprese in crisi.

 

Non si comprende quindi la presunta guerra intergenerazionale, giovani contro anziani, dipinta da molti osservatori in questi giorni. La priorità è proprio quella di accrescere l’occupazione nel suo complesso, cioè il numero di persone che lavora, se è vero come è vero che il tasso di occupazione in Italia è tra i più bassi d’Europa.

 

Emerge poi un ulteriore elemento di analisi, mostrato da ulteriori dati dell’Inps diffusi ieri: l’aumento dei contratti a termine. Infatti dalla fine degli incentivi previsti dal governo per il 2015 e, in parte, per il 2016 ha coinciso con una rapida ripresa del lavoro a termine che ogni mese tocca un nuovo record. Si tratta di elemento che è sintomo di dinamicità del mercato del lavoro, ma che diventa un problema laddove non è sviluppato un serio sistema di politiche attive del lavoro e interventi formativi in grado di accompagnare il lavoratore nella transizione tra diverse fasi della sua carriera.

 

Una situazione da leggere in chiaroscuro quindi, con elementi positivi ma con ancora problemi profondi. Pesa l’incertezza della innovazione tecnologica. Pesano soprattutto i grandi cambiamenti demografici che incidono sul futuro dei giovani e dei gruppi più deboli in una società che invecchia.

 

In questo quadro si discuterà ancora a lungo sugli effetti del Jobs Act e dei bonus occupazionali sul mercato del lavoro. Nel frattempo non pochi Paesi sono impegnati in nuove ed epocali riforme del lavoro, da ultimo proprio ieri la Francia, che indicano con chiarezza come mai una legge potrà creare nuovo lavoro mentre si deve lavorare sui fattori di sviluppo e inclusione sociale per governare i profondi cambiamenti in atto su scala globale che ancora oggi alimentano precariato e ingiustizie sociali.

 

Francesco Seghezzi

Responsabile comunicazione e relazioni esterne di Adapt

Direttore ADAPT University Press

@francescoseghezz

 

Michele Tiraboschi

Coordinatore scientifico ADAPT

@Michele_ADAPT

 

*Pubblicato anche su Avvenire, 1 settembre 2017

 

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La strada del lavoro è ancora lunga
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