La riforma della formazione professionale in Sicilia: tutto cambia per restare uguale?

Scrivendo di riforme siciliane è fin troppo facile cadere nello stereotipo dell’isolano disincantato che non crede al cambiamento, rievocare il determinismo gattopardiano per cui tutto cambia solo in apparenza, ma la sostanza è immutabile, sicché il tentativo di cambiamento è puntualmente arte retorica o, peggio, inganno.
 
Occorre, dunque, uno sforzo in più a chi tenti di superare tale stereotipo nell’analizzare i contenuti della riforma della formazione professionale siciliana, settore definito qualche anno fa dall’ex Governatore Lombardo “un’anomalia”, “un campo minato”. Un crocevia ingovernabile di interessi e bisogni insoddisfatti, che è al tempo stesso il settore più strategico (accanto ai servizi per l’impiego) per la lotta ai drammatici tassi di disoccupazione dell’isola.
 
Pur riconoscendo, infatti, il valore del progetto in sé, non si può non ammettere che la riforma della formazione professionale siciliana firmata dall’Assessore Scilabra guarda molto lontano, ispirandosi alle migliori esperienze regionali ed europee. Così facendo il progetto offre risposte senza dubbio pertinenti alle criticità emerse, ma forse poco coerenti con il contesto in cui queste risposte dovrebbero trasformarsi in azione.
 
Alla base dell’intervento di riforma l’inesistenza di un sistema regionale della formazione professionale e l’inefficacia del modello attuale legata:
– alla debolezza delle attività di programmazione e controllo, in particolare all’assenza di un collegamento sistematico tra programmazione della formazione e fabbisogni formativi e professionali dei territori;
– all’inefficienza amministrativa;
– al sovradimensionamento del settore ed agli sprechi di risorse dovuti ad una configurazione clientelare dei finanziamenti e del reclutamento di personale;
– alla mancanza di rapporti consolidati di cooperazione tra enti di formazione, altre istituzioni educative e imprese;
– all’assenza di un sistema di valutazione dei risultati.
 
Criticità evidentemente non facili da affrontare, neanche con le migliori intenzioni, poiché hanno una matrice culturale e presuppongono cambiamenti istituzionali per loro natura lenti e poco sensibili ai colpi di mano.
 
 
Il contesto: la rivoluzione (ancora) mancata, tra fuochi fatui e resistenze culturali
 
Ormai da anni il settore è al centro di un processo di trasformazione che per quanto lento, talvolta contraddittorio e non privo di battute di arresto, sembra procedere ormai verso una finalizzazione, almeno sulla carta.
 
La posizione dei sindacati e della società civile, dapprima caratterizzata da un’apertura sui temi della riqualificazione dell’offerta formativa e dell’eliminazione degli sprechi, si è fatta via via più critica, tra riduzione delle risorse, controlli sulle regolarità delle assunzioni ed accuse di invischiamento in circuiti clientelari, che hanno messo in crisi molti enti, fomentando l’esasperazione dei lavoratori del settore.
 
Negli ultimi anni, la frattura fra alcuni sindacati ed amministrazione regionale ha alimentato un vero e proprio fuoco incrociato di denunce che si sono avvicendate negli organi di stampa palesando un intreccio di interessi sempre meno latente: alcuni esponenti delle sigle sindacali, essi stessi accusati di portare avanti interessi particolaristici legati al loro coinvolgimento nel business della formazione, hanno denunciato la gestione clientelare del settore portata avanti in anni ed anni di cattiva amministrazione. Sembra, ad ogni modo, che si approssimi il collasso di un sistema di regolazione basato proprio sull’esistenza di rapporti privilegiati fra una parte del sistema formazione professionale, le istituzioni locali, la politica.
 
È interessante notare come proprio sul versante della regolazione del mercato del lavoro di riferimento i tentativi di riforma incontrino la più forte resistenza, come era lecito attendersi, poiché la fine dell’alleanza ha trascinato con sé la rottura dell’equilibrio su cui si basava la condizione “privilegiata” dei lavoratori di questo settore, venendo meno le condizioni di stabilità dell’impiego, tra scioglimento e ridimensionamento degli enti e ritardi accumulati nei pagamenti degli stipendi per via del blocco delle risorse regionali.
 
Da ciò la serrata resistenza opposta da un sistema di valori condiviso, che ha orientato le valutazioni dei protagonisti (primi fra tutti gli stessi lavoratori, ma anche l’amministrazione e i sindacati): come nel corso della sua istituzionalizzazione, anche in fase di (tentato) smantellamento del sistema la preoccupazione principale è stata il mantenimento del consenso attraverso prima la creazione, poi la salvaguardia dei posti di lavoro. Come dire che sono cambiate le condizioni, ma non i termini dello scambio. Anche di fronte alla nuova proposta, il sostegno offerto da una parte del sindacato (Cgil) e dal mondo imprenditoriale non è bastato a rendere più tollerabili le accuse reiterate di voler far pagare ai lavoratori il prezzo di una riforma traumatica.
 
Ciò che è certo è che questo sommovimento ha svelato la precarietà delle garanzie (di stabilità!) basate sullo scambio politico e non sull’esistenza di modelli di gestione efficienti, da un lato; dall’altro, la forza delle “convenzioni di settore”, che oppongono all’innovazione politica e legislativa una resistenza fortissima. Basandosi sulla condivisione generale di un principio (il lavoro, comunque), il sistema di interessi e di alleanze reiterato negli anni ha creato delle regole, e queste regole hanno disegnato posizioni ed aspettative difficili da modificare, su cui sicuramente non sarà facile passare un colpo di spugna, sognando di trasformare Palermo in Bolzano e la Sicilia in un Länder tedesco.
 
 
Obiettivi della riforma Scilabra
 
La Riforma mira ad istituire un sistema dell’istruzione e formazione professionale (iniziale e continua) integrato, inclusivo ed efficiente, finalizzato ad un modello di sviluppo locale sostenibile, basato sul principio di centralità della persona e della sua libertà di scelta.
 
Coerentemente con le sfide sopra richiamate la riforma si concentra sui seguenti obiettivi specifici:
– riduzione delle spese;
– decentramento amministrativo (con il passaggio della gestione e dei controlli ai Liberi Consorzi e alle città metropolitane);
– programmazione delle attività basata sulla concertazione e sull’analisi dei fabbisogni territoriali;
– agevolazione di passaggi reciproci tra il sistema dell’istruzione ed il sistema dell’istruzione e della formazione professionale, attraverso percorsi formativi flessibili;
– sviluppo e rafforzamento delle partnership tra aziende e istituzioni scolastiche e formative;
– attivazione di tirocini formativi, di percorsi in alternanza scuola/lavoro, di attività di orientamento e di placement presso le istituzioni scolastiche e le Università, di percorsi di apprendistato;
– innovazione attraverso la concessione di borse di studio per la ricerca applicata, favorendo la stipula di convenzioni e collaborazioni tra le Università e gli organismi di ricerca nazionali ed internazionali, le camere di commercio, le imprese, singole o associate, riconoscendo specifici incentivi prioritariamente a favore di laureati e/o dottorandi e dottori di ricerca;
– istituzione di un sistema regionale di certificazione delle competenze, portando al contempo a regime l’utilizzo del Libretto formativo del cittadino come supporto per la registrazione delle competenze.
 
All’interno dei 32 articoli del progetto di legge si ritrovano, in definitiva, tutti gli elementi che connotano i più efficienti sistemi di formazione italiani ed europei, definiti come obiettivi che la Regione intende sostenere e promuovere con adeguati investimenti e in alcuni casi con l’emanazione di provvedimenti ulteriori volti a definire Linee Guida.
 
 
Governance
 
Per realizzare questi obiettivi la Regione intende decentrare ed allargare il modello della governance. La Regione manterrà funzioni di programmazione e coordinamento, mentre le funzioni relative alle attività amministrative, gestionali e di supporto concernenti la formazione professionale sono affidate ai liberi consorzi comunali e alle città metropolitane. In questa scelta è evidenziabile un elemento di criticità legato alla ancora incerta configurazione di queste entità ed al difficile passaggio di funzioni, sebbene la scelta sia coerente con l’obiettivo di avvicinare la gestione del sistema ai territori per rispettarne le vocazioni (ma occorrerà vigilare a che ciò non si traduca nell’ennesima moltiplicazione di ruoli, posizioni e funzioni).
 
La Regione dichiara poi di voler favorire il metodo della concertazione e individua la costituzione di reti tra università, istituzioni scolastiche e imprese quale prioritaria modalità organizzativa per l’erogazione dei servizi formativi sul territorio regionale.
 
Nonostante recenti spazi di apertura sugli obietti della riforma, sul fronte della concertazione gli spazi sembrano però incerti, stante la forte opposizione manifestata finora da una parte del mondo sindacale e di alcune associazioni di rappresentanza del settore (Anfop, Asef e Assofor), per via degli interessi legati alla sopravvivenza degli enti e del relativo bacino occupazionale. D’altra parte la riforma è stata accolta molto positivamente da Confindustria e da Cgil, sebbene quest’ultima con alcune riserve che si potranno forse sciogliere nel prosieguo dell’iter legislativo. La riforma prevede come sede permanente di confronto tra le parti interessate e di consiglio e indirizzo per la programmazione un Consiglio Coordinamento e Creazione Formazione ad alta innovazione, da cui al momento sembrerebbero esclusi i sindacati e le associazioni datoriali meno rappresentative (art. 32, comma 4: «del Consiglio fanno parte rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali più rappresentative a livello regionale, delle Università, delle Camere di commercio, delle articolazioni territoriali del MIUR, di Enti o fondazioni di ricerca»).
 
Sul fronte delle reti o accordi tra imprese, istituzioni educative e formative come modalità prevalente di erogazione dei servizi, parliamo di un’autentica rivoluzione culturale, che non si può sperare avvenga semplicemente perché decretato: i comportamenti formativi delle imprese siciliane sono tra i meno attivi in Italia e non esiste una cultura della cooperazione in tale ambito, stante anche la pesante tara del lavoro nero e la scasa propensione all’innovazione, che non si sono di certo attenuate in questi anni di crisi. Saranno dunque necessari importanti incentivi e investimenti anche sul piano culturale per porre solo le basi per tale rivoluzione, che non si verificherà mai compiutamente in assenza di un risanamento del tessuto produttivo.
 
I soggetti attuatori degli interventi di formazione rimangono comunque gli enti di formazione accreditati dalla Regione, sebbene il DDL sollevi qualche dubbio sui requisiti per l’accreditamento, affermando che l’organismo formativo deve avere la formazione professionale come attività prevalente o esclusiva, requisito assente nelle disposizioni per l’accreditamento emanate nel 2013.
 
 
Programmazione e controllo
 
Un Piano regionale integrato dell’istruzione e della formazione professionale (PRIF), di durata triennale, individuerà, nell’ambito delle risorse finanziarie regionali, nazionali e comunitarie disponibili, e in coerenza con gli atti della programmazione economica regionale le linee di indirizzo per la programmazione degli interventi formativi.
 
Il PRIF sarà accompagnato dal rapporto di esecuzione e di valutazione ex-post delle azioni programmate nella precedente annualità e dal rapporto di valutazione ex-ante dell’annualità di riferimento. Al fine di valutarne la qualità, l’efficacia e l’efficienza delle azioni il sistema regionale di istruzione e formazione professionale sarà, infatti, oggetto di monitoraggio da parte dell’Assessorato regionale dell’Istruzione e della formazione professionale, che potrà avvalersi della collaborazione dell’ISFOL, dell’INVALSI e dell’INDIRE.
 
Emerge qui il nodo cruciale della costruzione di un sistema di skills intelligence a livello locale: la rilevazione dei fabbisogni professionali, la loro definizione in termini di competenze e la loro traduzione in obiettivi formativi, non sono operazioni facili, soprattutto in una Regione del tutto priva di strutture preposte a tale scopo. Il cuore della Riforma rischia di restare lettera morta in assenza dell’individuazione di strutture, risorse e modalità di attuazione di tali funzioni. Il PRIF dovrà inoltre contenere per ogni attività formativa (definita in unità di competenze da sviluppare) i profili professionali di riferimento contenuti nel Repertorio regionale dei titoli e delle qualifiche. Quest’ultimo, recentemente istituito, richiede un’operazione di forte perfezionamento che dovrebbe coinvolgere attivamente le parti sociali, pena la creazione di un repertorio di titoli distante dalla realtà del mercato del lavoro locale che inficerebbe la stessa programmazione formativa, che ad esso farà riferimento.
 
 
Personale della formazione professionale
 
Sono istituite all’interno dell’Albo di cui all’articolo 14 della legge regionale n. 24/1976 (tra i pochi articoli sopravvissuti all’abrogazione della precedente legge quadro sulla formazione professionale) due sezioni autonome e separate ricomprendenti nella prima il personale utilizzato nell’ambito dei percorsi di formazione iniziale e nella seconda il personale utilizzato nell’ambito dei percorsi di formazione continua e permanente.
 
L’albo è aggiornato annualmente, sulla base di una procedura selettiva per titoli e tenuto conto dell’offerta formativa programmata nel Piano regionale integrato dell’istruzione e della formazione professionale, con un tasso di rimpiazzo del 20% rispetto alle uscite. Il personale attualmente in forze negli enti di formazione e iscritto all’Albo è inserito in un ruolo speciale ad esaurimento, da cui dovranno attingere prioritariamente le istituzioni formative accreditate per l’espletamento delle attività formative.
 
Il principale ostacolo all’attuazione del progetto riforma, come sopra richiamato, è proprio l’emergenza occupazionale che affligge i lavoratori del settore, con il governo regionale accusato di “macelleria sociale” non tanto per le scelte a lungo termine quanto per la gestione dell’emergenza tra blocchi, inefficienze amministrative e ritardi. Una delle soluzioni ipotizzate è quella del prepensionamento e dell’incentivo all’avvio di start-up nello stesso settore grazie ad una “liquidazione” di 20.000 euro per ogni lavoratore, ipotesi che oltre a riguardare potenzialmente solo una parte dei lavoratori interessati appare però di difficile attuazione.
 
 
Formazione professionale iniziale
 
Tra gli obiettivi di maggiore rilievo nell’ambito della formazione professionale iniziale quello di aumentare il grado di reciproca permeabilità delle diverse filiere e aumentare la flessibilità dei percorsi, anche attraverso percorsi “destrutturati” progettati su misura per i giovani drop-out; si incoraggia in quest’ambito la creazione di reti tra istituzioni formative e imprese, saranno istituiti Poli formativi tecnico professionali di filiera e programmati percorsi di IFTS, sarà incoraggiato l’avvio di esperienze di formazione in azienda (alternanza, tirocini, apprendistato). I percorsi realizzati in quest’ambito dovranno garantire un approccio personalizzato ed individualizzato, con una metodologia che valorizza l’apprendimento informale e non formale. Un progetto ambizioso per le stesse ragioni sopra richiamate e che richiederà anche importanti investimenti sul piano della ingénierie pédagogique, un autentico rinnovamento delle pratiche di progettazione della formazione di tutti gli attori coinvolti.
 
 
Alta formazione e Formazione continua e permanente
 
Particolare attenzione viene assegnata allo sviluppo dell’alta formazione e all’occupabilità di laureati e dottori di ricerca, più in generale al rapporto tra qualificazione dell’offerta di alta formazione e ricerca e produttività. Occorre ricordare a tale proposito che questi erano precisamente gli obiettivi delle numerose misure (borse di ricerca applicata, rientro dei ricercatori, incentivi per l’assunzione di dottori di ricerca, borse di studio per alta formazione) del programma Sovvenzione Globale Sicilia Futuro, strumento finanziario di attuazione del Programma Operativo del Fondo Sociale Europeo della Regione Siciliana 2007-2013, ad oggi inattuate.
 
Sul fronte della formazione permanente e continua, le maggiori novità riguardano: la logica della programmazione degli interventi (che dovrà ora basarsi sull’analisi dei fabbisogni territoriali); le modalità di finanziamento (il meccanismo dei voucher su domanda individuale); i soggetti coinvolti (i percorsi formativi si articoleranno in periodi di formazione in aula e in periodi di apprendimento in situazione lavorativa, progettati e attuati dalle istituzioni formative accreditate sulla base di specifici accordi con una istituzione scolastica o universitaria e almeno due imprese).
Il meccanismo di finanziamento mediante voucher prevede che qualora entro 120 giorni dalla conclusione delle attività corsuali l’utente non venga collocato al lavoro con contratto a tempo indeterminato o con contratto a tempo determinato o di somministrazione superiore a sei mesi l’ammontare del voucher sia riconoscibile fino alla misura del 70 % del costo unitario di ore di formazione.
 
Gli ostacoli che si ravvisano riguardano la capacità degli enti di formazione di sintonizzarsi con i bisogni aziendali, dunque stipulare con essi accordi e raggiungere i risultati previsti in termini occupazionali, ma anche la scarsa propensione delle imprese siciliane alla formazione dei dipendenti, collegata alle difficoltà economiche e strutturali, oltre che alla percezione di inutilità e di spreco degli investimenti in formazione.
 
 
Orientamento e Certificazione delle competenze
 
Al fine di garantire il riconoscimento del patrimonio culturale e professionale acquisito dalla persona nella sua storia di vita, di studio e di lavoro, assicurare la trasparenza delle competenze acquisite e agevolarne la spendibilità in situazioni di lavoro, di studio o nello sviluppo professionale e personale, istituisce il sistema regionale di validazione e certificazione delle competenze, conforme alle linee guida definite a livello nazionale con il Decreto n. 13 del 16 gennaio 2013.
La Regione istituisce, poi, il libretto formativo del cittadino nel quale vengono registrate le competenze acquisite dalla persona durante l’arco della vita nei percorsi formativi del sistema regionale di istruzione e formazione professionale nonché le competenze acquisite in contesti informali e non formali purché riconosciute e certificate.
 
Anche su questo fronte sembra di ritrovare dichiarazioni di principio reiterate ormai da decenni ai vari livelli istituzionali ma che non hanno mai trovato una traduzione operativa. Il sistema della certificazione delle competenze, agganciandosi al modello nazionale rischia di riprodurne le criticità (a partire dalle modalità di definizione dei repertori delle qualifiche – vedi sopra – fino ai rischi di scarsa operatività legati alle complesse e costose procedure, che non a caso sono al momento state attuate solo in poche Regioni virtuose, ma con risultati da verificare).
 
Il tema dell’orientamento è più volte ripreso nel testo del disegno di legge ma non sono chiare le modalità di implementazione di tali servizi, che chiamano in causa le istituzioni formative ed educative.
 
 
Apprendistato
 
Importante il tentativo di definire un quadro organico per l’apprendistato in tutte le sue tipologie, con l’assunzione dell’impegno, da parte della Regione a: definire l’offerta formativa pubblica per tutte le tipologie di apprendistato; definire, con il concorso delle associazioni di categoria dei datori di lavoro, anche nell’ambito della bilateralità, le modalità per il riconoscimento della qualifica di maestro artigiano o di mestiere; favorire il concorso delle parti sociali nella fase di analisi dei fabbisogni formativi e di costruzione del Piano Annuale sull’Apprendistato; incoraggiare l’assunzione e/o il mantenimento in forza dell’apprendista presso l’impresa al termine del periodo formativo anche attraverso specifici incentivi. Ciò dovrà tradursi in impegni concreti (anche delle parti sociali) e restano ancora da chiarire le modalità attraverso cui gli enti accreditati concorreranno alla offerta della formazione pubblica in apprendistato, se la platea sarà ampliata a diversi soggetti in grado di apportare competenze specifiche in materia di formazione degli apprendisti, il livello di partecipazione delle imprese.
 
Il grosso nodo da sciogliere è infine quello delle risorse (finanziarie e umane): occorrerà cioè capire come il progetto di riforma si possa conciliare con i tagli alla spesa annunciati dalla Regione e con la nuova modalità di finanziamento, che comporterà probabilmente difficoltà di programmazione per gli enti, con l’entrata a regime del sistema dei voucher individuali. Questo potrebbe determinare un aggravarsi delle condizioni di instabilità nel settore, almeno per i primi tempi, che potrebbe avere ripercussioni negative sulla qualità dei servizi e sulla professionalizzazione degli operatori. Ciò si aggiunge alla carenza di competenze specifiche negli addetti ai servizi per la formazione e il lavoro (che getta anche un’ombra sulle possibilità di riconversione del personale in esubero): la riforma prevede all’art. 31 la possibilità di azioni specifiche di formazione nei confronti dei dipendenti della pubblica amministrazione preposti a tali funzioni.
 
La riforma va interpretata anche alla luce di ulteriori interventi che la Regione sta attuando in parallelo, con particolare riferimento al Piano Giovani ed alla Garanzia Giovani (vedi l’intervista di Giulia Rosolen ad A. Vitale in Bollettino ADAPT, n. 19/2014), che riguardano in particolare i giovani disoccupati e collocano risorse sul fronte delle politiche attive per il reinserimento lavorativo (prevalentemente formazione specialistica, tirocini, apprendistato, incentivi all’imprenditorialità). La riforma invero intercetta molti elementi già inseriti in queste misure. Anche in questo caso, la principale debolezza di questi interventi sta nell’assenza di prerequisiti strutturali fondamentali per la loro attuazione (efficienti servizi per l’impiego pubblici e privati, anche per via dell’assenza di un sistema regionale per l’accreditamento dei privati ai servizi per il lavoro, e competenze idonee nel personale delle strutture preposte), oltre che nei ritardi e nelle difficoltà sul piano operativo che stanno emergendo in questi giorni.
 
La riqualificazione degli operatori è un intervento reclamato a gran voce dalla Cgil che si mette in gioco in prima persona per ovviare alle manifeste debolezze della rete dei servizi: è di ieri la notizia che le strutture del sindacato dislocate in Regione offriranno gratuitamente ai giovani informazioni e orientamento sul programma Garanzia Giovani e sul Piano Giovani, in veste suppletiva dell’azione degli operatori dei servizi che si sarebbe già dimostrata deficitaria.
 
Lilli Casano
ADAPT Research Fellow
@lillicasano
 
Scarica il pdf pdf_icon

La riforma della formazione professionale in Sicilia: tutto cambia per restare uguale?
Tagged on: