La reale finalità del tirocinio 

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Bollettino ADAPT 26 ottobre 2020, n. 39

 

Per esaminare e circoscrivere pienamente il tirocinio è necessario percorrere un tragitto che si soffermi su più tappe.

La prima tappa deve essere l’obbligatoria analisi della normativa di riferimento.

La seconda tappa passa per la definizione del rapporto e per l’identificazione della sua identità, che avviene anche tramite lo studio delle sue più profonde caratteristiche.

L’ultima tappa, la meta, è la conseguenza delle prime due, ed è la comprensione della reale finalità dello strumento.

 

La normativa

 

Il tirocinio è un rapporto formativo-lavorativo senza contratto disciplinato dall’art 34 L. 92/2012 sulla base della raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 10 marzo 2014.

La legge ha demandato alle regioni e provincie autonome, il compito di definire delle linee guida applicabili ai tirocini sul territorio italiano, ed in particolar modo di stabilire degli standard minimi inderogabili.

 

Quanto sopra è stato attuato dagli enti coinvolti dapprima tramite le “linee guida in materia di tirocini” del 2013, successivamente con le “linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento” del 2017 che hanno sostituito le precedenti.

Le singole disposizioni regionali attuative delle linee guida costituiscono la disciplina settoriale in materia, ai sensi della legge 92/2012.

 

Vi è da dire che il tirocinio può essere curricolare o extra-curricolare:

a) Nel tirocinio curricolare il fine ultimo è quello di portare a termine il ciclo formativo all’interno di un processo di apprendimento formale o scolastico. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ne individua 3 caratteristiche sostanziali:

    • Il tirocinio deve essere promosso da Università o Istituti di Istruzione universitaria abilitati al rilascio di titoli accademici, da istituzioni scolastiche che rilascino titoli di studio aventi valore legale, da centri di formazione professionale operanti in regime di convenzione con la Regione o la Provincia o accreditati;
    • Destinatari del tirocinio devono essere studenti universitari (compresi gli iscritti ai master universitari e ai corsi di dottorato), studenti di scuola secondaria superiore, allievi di istituti professionali e di corsi di formazione iscritti al corso di studio e di formazione nel cui ambito il tirocinio è promosso;
    • Il tirocinio deve essere svolto all’interno del periodo di frequenza del corso di studi o del corso di formazione.

b) Nel tirocinio extracurricolare, indipendentemente dalla presenza di un eventuale percorso scolastico, vi è la possibilità per soggetti:

      • occupati, inoccupati, disoccupati;
      • beneficiari di prestazioni a sostegno del reddito;
      • disabili, svantaggiati o richiedente asilo;

di effettuare un’esperienza formativo-lavorativa.

 

Le linee guida sopra menzionate riguardano, per espressa previsione, unicamente i tirocini extra-curricolari. I tirocini curricolari ad oggi risentono di un vuoto normativo, sopperito dagli eventuali regolamenti scolastici. Data la stretta somiglianza che lega i due tipi di tirocinio si ritiene però che, per molti aspetti, si possa procedere per analogia.

 

L’identità

 

Esistono molteplici definizioni di tirocinio:

      • “un periodo di orientamento al lavoro e di formazione” (cliclavoro);
      • “Una transizione graduale dall’istruzione all’occupazione” (Concilio dell’Unione Europea);
      • “l’addestramento pratico in una professione o in un mestiere” (dizionario Garzanti);
      • “uno dei principali canali di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro” (M. Tiraboschi).

 

Alcune di queste definizioni sono riconducibili alla normativa (e dottrina) prettamente lavoristica, altre all’ambito più semplicemente lessicale.

Il filo conduttore, però, pare sempre il medesimo: la formazione, anche in un’ottica di semplice orientamento.

A ben vedere, per definire lo strumento, sembra ancor più utile seguire un percorso a ritroso.

Chiarire quindi cosa il tirocinio non sia, è, e forse per sempre sarà, la definizione più immediata possibile.

 

Un tirocinio non è un rapporto di lavoro subordinato.

Questo comporta, per prima cosa, l’assenza in capo al tirocinante di gran parte delle tutele previste per i lavoratori dipendenti (non tutte, si pensi all’ambito della salute e sicurezza sul lavoro).

Nel concreto il tirocinante non ha diritto, a titolo esemplificativo, a ferie, permessi, mensilità aggiuntive, indennità economiche per malattia e contributi previdenziali. Il tirocinio inoltre non soggiace alle rigide regole in materia di licenziamento e dimissioni, tra cui:

      • Il preavviso, ex 2118 C.c., per la chiusura del rapporto formativo;
      • L’autenticazione telematica per la chiusura del rapporto per volontà del tirocinante (Art. 26, D. Lgs 151/2015);
      • Il pagamento del ticket di licenziamento da parte del datore di lavoro ex 2, L. n. 92/2012 (a cui si lega la conseguente assenza di Naspi per il tirocinante che cessa involontariamente il rapporto formativo);

 

Risulta inoltre inapplicabile quanto previsto in tema di tutele crescenti ai sensi del d.lgs. n. 23/2015 e s.m.i..

Quanto sopra erroneamente induce a pensare che per l’organizzazione aziendale un rapporto di tirocinio sia più conveniente e flessibile rispetto ad un rapporto di lavoro.

Questa falsa percezione può essere avvallata da parte della giurisprudenza e da alcuni interventi dall’ambigua finalità.

 

Pensiamo a quanto affermato dalla sentenza n. 190/2017 del Tribunale di Napoli che conferma, e anzi esige, come la prestazione lavorativa del tirocinante debba essere resa a tutti gli effetti al pari di un lavoratore subordinato:

“il fatto che il ricorrente abbia svolto attività in tutto analoghe a quella prestata dai dipendenti della società ospitante è un dato non solo irrilevante ai fini della decisione invocata, ma anzi del tutto coerente con le finalità e l’attuazione del progetto, che è volto proprio a realizzare un contatto diretto del tirocinante con il soggetto ospitante per l’acquisizione sul campo di competenze e l’arricchimento del bagaglio di conoscenze professionali attraverso la pratica diretta sul luogo di lavoro […] il tirocinio, per sua natura, è volto proprio all’acquisizione di competenze professionali attraverso l’esercizio concreto della mansione precisi indici sintomatici della subordinazione”.

 

Si pensi, ancora, a quanto chiarito dall’Agenzia dell’entrate con Risposta n. 10 del 25 gennaio 2019 in cui si afferma che anche lo stagista può godere di welfare aziendale in quanto titolare di un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera c), del TUIR.

Il confronto, nonostante tutto, appare totalmente inadatto.

 

Innanzitutto, “i tirocinanti non possono ricoprire ruoli o posizioni proprie dell’organizzazione del soggetto ospitante” (Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento del 2017), e questo porta facilmente a desumere come debba esistere uno scheletro organizzativo aziendale completo, che consenta al tirocinante, semplice appendice aziendale, di effettuare pienamente, correttamente, coerentemente la sua attività esperienziale.

 

La giurisprudenza inoltre ha stabilito come l’apparente rispetto delle linee guida, e della normativa regionale, non sia sufficiente per certificare la genuinità di un tirocinio: La Corte di Cassazione con sentenza n. 18192/2016 ha deciso che quando il rapporto di tirocinio si svolge, de facto, con chiari e “precisi indici sintomatici della subordinazione” e con “pregressa professionalità emergente dagli specifici compiti svolti e dal ruolo assunto nell’azienda”, lo stesso non possa essere ritenuto genuino. Ribadendo fondamentalmente la differenza sostanziale tra tirocinio e rapporto di lavoro dipendente: la subordinazione tout court.

In buona sostanza, la non ascrivibilità del tirocinio all’alveo dei rapporti di lavoro subordinato, implica il consequenziale non assoggettamento dello stesso a tutte le responsabilità previste per il lavoro dipendente.

 

La perdita di gran parte delle tutele tipiche dei rapporti di lavoro dipendenti si può dire sia (e debba essere) risarcita dalla nascita di un diritto per certi versi implicito, ma cardinale, ovvero il diritto di non essere soggetto a gran parte dei doveri tipici della subordinazione: si pensi all’inapplicabilità di quanto stabilito dall’art. 2104 c.c. (Diligenza del prestatore di lavoro), o dalla libertà del tirocinante in termini di garanzia di risultato della sua prestazione formativo-lavorativa.

 

In breve, è necessario si focalizzi l’attenzione sugli auspicabili, o per meglio dire irrinunciabili, benefici per il tirocinante (la formazione e l’orientamento) e non su quelli aziendali, che possono essere scarsi o, più semplicemente, assenti.

Il tirocinio, in fin dei conti, non deve essere una scelta di convenienza per l’impresa, ma una scelta di disponibilità.

Cambiare oggi, culturalmente, il punto di vista appare fondamentale.

 

Marco Tuscano

Consulente del lavoro

@MarcoTuscano

 

La reale finalità del tirocinio 
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