La qualificazione delle imprese nel settore agromeccanico: profili di legittimità costituzionale della Legge Regione Veneto, 7 febbraio 2014, n. 6

La Regione Veneto è recentemente intervenuta in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro attraverso l’emanazione della legge regionale 7 febbraio 2014, n. 6 recante Disposizioni per la qualificazione delle imprese che svolgono attività agromeccanica.
 
L’approvazione del provvedimento, oltre a ricordare ancora una volta il forte ritardo dell’ordinamento statale rispetto alla attuazione della disciplina in materia di qualificazione delle imprese, di cui agli artt. 6 e 27 del d.lgs. n. 81/2008 – pur sollecitata dal “decreto del fare” lo scorso agosto – pare sollevare alcuni possibili rilievi di legittimità costituzionale, alla luce dei canoni di cui all’art. 127 della Cost.
 
Il provvedimento, infatti, è intervenuto a disciplinare una materia, quella della qualificazione delle imprese affidata a legge dello Stato (nella specie un DPR da adottarsi previo parere della Conferenza per i rapporti permanenti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano) dall’ art. 6, co. 8, lett. g) del d.lgs. n. 81/2008. Si osserva d’altro canto che la riserva di legge appena citata va bilanciata col principio di cedevolezza pur contemplato dall’art. 1, comma 2 del d.lgs. n. 81/2008, il cui margine di intervento è circoscritto alle materie di competenza delle regioni.
 
Nella disciplina contenuta nel d.lgs. n. 81/2008 sono rinvenibili infatti i principi generali del sistema di tutela della salute e sicurezza sia per quanto concerne l’assetto istituzionale sia per quanto attiene alla gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro.
 
In ordine all’assetto istituzionale i due soggetti coinvolti, Stato e Regioni, hanno operato in un quadro di competenze legislative alquanto articolato. Infatti, dopo la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, sulla disciplina della salute e della sicurezza dei lavoratori si intrecciano competenze legislative esclusive dello Stato (art. 117, comma 2, Cost.) e competenze concorrenti delle Regioni (art. 117, comma 3, Cost.), con una decisa prevalenza delle prime. In tale contesto, occorre interrogarsi su quale sia lo spazio in cui la potestà legislativa regionale può muoversi dettando regole ulteriori o diverse da quelle previste dal legislatore statale.
 
È all’art. 1 secondo comma (cd. “norma cedevole”), che il d.lgs. n. 81 del 2008 si confronta con la questione della competenza delle regioni, attraverso la previsione per la quale, nelle materie riservate al legislatore regionale, le disposizioni di cui al TU in materia di salute e sicurezza restano applicabili in mancanza di una disciplina dettata dalla regione e perdono efficacia nel momento in cui viene adottata la legge regionale. In tale caso gli atti normativi statali adottati si applicano nelle regioni e province autonome nelle quali non sia ancora in vigore una specifica normativa di attuazione e perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore delle norme adottate da ciascuna regione e provincia autonoma. Al fine di ricostruire il quadro normativo di riferimento, quindi, occorre procedere all’individuazione di quali disposizioni statali siano effettivamente cedevoli e, dunque interrogarsi su quali di esse intervengano a disciplinare aspetti rimessi alla competenza delle regioni.
 
Come è noto, il legislatore regionale ha competenza esclusiva nelle materie non espressamente riservate al legislatore statale dal secondo comma dell’art. 117, e competenza concorrente, ovvero limitata dal rispetto dei principi fondamentali riservati alla legge dello Stato, nelle materie elencate dal terzo comma del medesimo articolo, tra cui rientra quella della “tutela e sicurezza del lavoro”. E’ necessario quindi individuare nell’ampio corpus del d.lgs. 81/2008 quali disposizioni siano ascrivibili alla competenza statale esclusiva e possano per questo resistere ad un eventuale intervento (illegittimo) della legge regionale; quali di esse siano riconducibili a materie di competenza concorrente e prevalgano sulla legislazione regionale limitatamente ai principi fondamentali che contengono; quali, infine, riguardino materie di competenza esclusiva della regione e risultino di conseguenza integralmente cedevoli di fronte ad un intervento regionale.
 
Sembra ormai acquisita, in dottrina e nella giurisprudenza costituzionale, la necessità di procedere in ogni caso ad una ricognizione dell’incidenza che, sul concreto riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, hanno le clausole generali e le specifiche riserve di competenza legislativa esclusiva al legislatore statale contenute nel secondo comma dell’articolo 117, come viene sottolineato dalla sentenza n. 282/2002 della Corte costituzionale.
 
Se infatti l’art. 117, comma 3, Cost. riconduce alla competenza legislativa concorrente delle Regioni la “tutela e sicurezza del lavoro” (competenza che, in quanto tale, deve svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali riservati ex art. 117, comma 3, ultimo periodo, Cost.), vari aspetti della materia sono ascrivibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Ciò vale per: i riflessi della disciplina prevenzionistica sul rapporto individuale di lavoro (la cui disciplina rientra nell’ordinamento civile ex art. 117, comma 2, lett. l, Cost.); per gli aspetti della rappresentanza e della tutela collettiva della sicurezza dei lavoratori (rispetto ai quali l’indubbia competenza dell’autonomia collettiva, tutelata dall’art. 39 Cost., non esclude una regolamentazione eteronoma di fonte esclusivamente statale); per la disciplina dell’apparato sanzionatorio penale ed amministrativo e dei connessi profili processuali (art. 117, comma 2, lett. l, Cost.); per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale (art. 117, comma 2, lett. m, Cost.); per i riflessi che la disciplina della materia in esame può produrre sulla concorrenza fra imprese (art. 117, comma 2, lett. e, Cost.). Tema quest’ultimo particolarmente rilevante ai fini delle valutazioni sulla competenza a legiferare in materia di qualificazione delle imprese, i cui riflessi sul mercato e sulla concorrenza possono essere ad ogni modo potenzialmente significativi.
 
In un simile scenario, il perimetro della competenza legislativa delle Regioni appare alquanto circoscritto. Non c’è aspetto riconducibile alla “sicurezza del lavoro” che non sia anche attinente all’ordinamento civile, alla disciplina penale, ai livelli essenziali delle prestazioni, alla tutela della concorrenza. Il riferirsi alla materia “sicurezza sul lavoro” per cercare margini di competenza delle regioni risulta utile al più per riconoscere la potestà regionale nel predisporre attività di incentivazione e sostegno delle azioni rivolte ad aumentare la sicurezza sul lavoro alla luce della normativa statale. Ma come si vede bene si tratta più di una competenza “quasi amministrativa” di attuazione che di una vera e propria potestà di normazione.
 
In definitiva, lo spazio che resta alla legislazione regionale è quello presidiato dalla clausola di cedevolezza, oltre naturalmente agli interventi di carattere organizzativo, al sostegno del sistema prevenzionistico e alle azioni promozionali di livelli più elevati di tutela.
 
Con particolare riguardo alla qualificazione delle imprese, oggetto dell’intervento normativo regionale in esame, come anticipato si tratta di materia disciplinata dal TU Sicurezza agli artt. 27 (come modificato dalla l. n. 98/2013, c.d. Decreto del fare) e 6, comma 8, lett. g, che rimette alla adozione di un DPR la regolamentazione della materia nel dettaglio operativo. Nello specifico è stabilito che con decreto del Presidente della Repubblica saranno individuati i settori e i criteri per la definizione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi di cui al comma 1 dell’articolo 27 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (ruolo in precedenza affidato alla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e poi sottratto, dal decreto del fare al fine di ridurre i tempi di adozione del DPR).
 
Dalla formulazione della disposizione, l’iter di approvazione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, quindi, è disciplinato da un decreto del Presidente della Repubblica a seguito della conclusione dei lavori della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, previa acquisizione del parere favorevole da parte della Conferenza permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Treno e Bolzano. Ad oggi il DPR non è stato ancora adottato (si rammenta che l’unico provvedimento adottato in materia è il DPR n. 177/2011 recante il Regolamento per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati).
 
Ma vi è di più, in quanto anche a voler riconoscere una eventuale compresenza regionale sul tema della qualificazione delle imprese, tenuto conto della prevalenza della competenza statale esclusiva nella fissazione dei “principi fondamentali” della disciplina al fine di garantire un’uniformità della tutela sul territorio nazionale, l’intervento della legge regionale risulterebbe non solo antecedente all’adozione di un DPR volto a disciplinare la materia nel suo complesso, ma è anche relativa ad un settore produttivo, quale quello agromeccanico, non contemplato dall’art. 27 del d.lgs. n. 81/2008 tra quelli in cui ope legis opera la qualificazione.
 
D’altra parte vi è da osservare che la regolamentazione della materia della qualificazione delle imprese è al tempo stesso rimessa addirittura alla autonomia collettiva, per espressa previsione dell’art. 27, comma 2, che pare però limitarsi al solo meccanismo della cosiddetta patente a punti, di cui al precedente comma 1-bis, non già al sistema di qualificazione delle imprese generalmente inteso, di cui al comma 1. È evidente poi che dove è previsto il potere regolatorio della autonomia collettiva, potrebbe essere a maggior ragione giustificato il potere normativo della pubblica autorità, quale appunto la Regione. Senonché il potere dell’autonomia collettiva, come congegnato nel predetto comma 2, fa evidentemente riferimento ad una disciplina pattizia che si inscriverebbe in un processo di regolamentazione normativa già avvenuto a livello statale e che si limiterebbe alla estensione successiva, ad ulteriori settori produttivi, del sistema di qualificazione delle imprese già regolato “in via sperimentale” nei suoi aspetti generali dai provvedimenti normativi a tal fine preposti.
 
Non v’è dubbio che, attesa la delicatezza della materia, la questione è aperta; non è da escludersi pertanto un intervento chiarificatore preliminare da parte delle competenti sedi amministrative sulla opportunità di dirimere il possibile conflitto Stato-Regione.
 
Maria Carmela Amorigi
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@MariaCarmelaAmo
 
Maria Giovannone
Senior Research Fellow di ADAPT
@MariaGiovannone
 
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La qualificazione delle imprese nel settore agromeccanico: profili di legittimità costituzionale della Legge Regione Veneto, 7 febbraio 2014, n. 6