La nuova (e confusa) disciplina lavoristica dei cambi di appalto

L’art. 30 della legge europea per il 2015-2016 (legge n. 122 del 2016, entrata in vigore il 23 luglio scorso) ha modificato il comma 3 dell’art. 29 del d. lgs. n. 276/2003. Quest’ultima disposizione contiene la disciplina lavoristica del subentro di un nuovo appaltatore nella gestione di un appalto di opere e servizi precedentemente gestito da altro soggetto giuridico (cd. “cambio di appalto”). Con la nuova previsione si dispone testualmente che: “L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.

 

Si è arrivati a questa modifica con l’intento di recepire la segnalazione della Commissione Europea – relativa alla procedura precontenziosa EU-Pilot 7622/15/EMPL – di non ritenere sufficiente, ai fini della valutazione della compatibilità della norma con la disciplina dell’Unione europea, l’interpretazione giurisprudenziale che esclude la configurazione del subentro nell’appalto come trasferimento d’azienda o di parte d’azienda in tutti i casi in cui il medesimo subentro non sia accompagnato (oltre che dal passaggio del personale) da un trasferimento di beni di “non trascurabile entità”.

 

Secondo i servizi della Commissione, infatti, la precedente formulazione dell’art. 29 comma 3, nonostante le pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul punto, violerebbe la Direttiva 2001/23/CE del Consiglio “concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti”. In virtù del suo articolo 1, comma 1, la direttiva in questione si applica ai “trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione” (lett. a), ove per “trasferimento” si intende, in senso più ampio, quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria (lett. b). La ratio della direttiva è proprio quella di sollecitare gli Stati membri all’adozione di “disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori in caso di cambiamento di imprenditore, in particolare per assicurare il mantenimento dei loro diritti” (v. terzo considerando). D’altronde, i giudici comunitari hanno più volte considerato la successione di imprese in appalti di servizi come una possibile ipotesi cui applicare la direttiva sulla protezione dei lavoratori nei casi di trasferimento di imprese (v., tra tutte, le sentenze Hidalgo del 10 dicembre 1998, cause riunite C-173/96 e C-247/96, e Abler del 20 novembre 2003, cause riunite C-232/04 e C-233/04).

 

In realtà, l’art. 2112 c.c. prevede già, nel nostro ordinamento, una disciplina conforme al dettato europeo, in quanto in tale disposizione si stabilisce che nei casi di trasferimenti di azienda o di ramo d’azienda, i preesistenti diritti dei lavoratori debbano essere mantenuti anche dopo l’atto traslativo, ove per trasferimento d’azienda si intende “qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato”.

 

Nello specifico, l’art. 2112 c.c. stabilisce un regime di maggiore tutela in favore dei lavoratori oggetto di cessione, disponendo principalmente che in caso di trasferimento d’azienda il rapporto di lavoro continua (senza soluzione di continuità) con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano (anzianità di servizio, inquadramento contrattuale, ferie, ecc.). Per di più, secondo il dettato legislativo di cui sopra, il cedente ed il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Il 3° comma dell’art. 29, invece, è stato introdotto dal Legislatore del 2003 proprio con l’intento di sottrarre i cambi di appalto all’ambito di applicazione del 2112 c.c., assai più oneroso per le aziende, in quanto trattasi di operazioni di natura sostanzialmente diversa (difatti, in quest’ultimo caso si ha a che fare con un mero avvicendamento di soggetti nel compimento di un’opera o di un servizio in favore del medesimo committente, senza che, almeno di norma, venga trasferita alcuna attività economica organizzata).

 

Peraltro, la Corte di Cassazione ha notevolmente limitato l’ambito di applicazione del comma 3 dell’art. 29 D.lgs. 276/2003, al fine di evitare che la disciplina del subentro nell’appalto (certamente meno favorevole ai lavoratori) venga utilizzata impropriamente per mascherare fattispecie alle quali, invece, avrebbe dovuto applicarsi l’art. 2112 c.c.. La Suprema Corte ha infatti escluso che possa configurarsi come trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda un subentro nell’appalto che non coinvolga, oltre agli stessi lavoratori, anche un trasferimento di beni di non trascurabile entità (Cassazione civile sez. lav. 16 maggio 2013 n. 11918; Cass. 13 aprile 2011 n. 8460; Cass. 15 ottobre 2010 n. 21278; Cass. 10 marzo 2009 n. 5708; Cass. 8 ottobre 2007 n. 21023; Cass. 13 gennaio 2005 n. 493; Cass. 27 aprile 2004 n. 8054; Cass. 29 settembre 2003 n. 13949). Inoltre, recentemente (con sentenza Cass. n. 7121/2016) il Giudice di legittimità ha statuito che “è configurabile il trasferimento di un ramo di azienda pure nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti dotati di particolari competenze che siano stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, così da rendere le loro attività interagenti ed idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili”.

 

Tornando alla novella legislativa in esame, risulta evidente che il Legislatore abbia voluto con essa limitare la portata del 3° comma dell’art. 29, subordinando, in caso di cambio di appalto con passaggio di personale, l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’art. 2112 del Codice Civile al ricorrere di due requisiti: 1) che il nuovo appaltatore sia dotato di una propria struttura organizzativa ed operativa; 2) che sussistano elementi di discontinuità che determinino una specifica identità dell’impresa subentrante.

 

Se il primo requisito non sembra di difficile interpretazione (infatti, qui la norma sembrerebbe richiamare semplicemente la necessità che il soggetto subentrante sia dotato di una propria ed autonoma organizzazione imprenditoriale e produttiva, ai sensi dell’art. 1655 c.c.), il secondo requisito sta generando non pochi problemi interpretativi in capo agli operatori che quotidianamente si muovono in un settore, quello degli appalti, caratterizzato da una vera e propria “giungla” normativa, ove concorrono non solo norme legislative statali e regionali di portata generale, ma altresì eventuali discipline legislative di settore e norme di contratto collettivo e di diritto amministrativo. Nello specifico, risulta problematica l’individuazione in concreto di una “discontinuità d’impresa”, considerata la forte eterogeneità dei settori interessati da tali operazioni (si passa dal settore dell’edilizia a quello dei servizi, come i call center). Per di più, bisogna considerare che l’acquisizione del personale, oggetto della disposizione di legge in esame, può avvenire “in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto”. E sono molte le norme di legge, di contratto collettivo o le clausole di contratti di appalto che impongono all’impresa subentrante il rispetto delle c.d. “clausole sociali”, ossia di clausole che, in genere, obbligano chi subentra a riassumere la totalità, o gran parte, del personale precedentemente impiegato nel medesimo appalto.

 

Particolari problemi sorgono, poi, per gli appalti nei settori di attività cd. labour intensive, ossia caratterizzate da un utilizzo prevalente (o totale) di manodopera con apporto pressoché nullo di mezzi propri da parte delle aziende, come succede spesso negli appalti di servizi. Difatti, se un elemento di discontinuità può essere facilmente individuato nell’utilizzo di mezzi propri da parte dell’impresa subentrante – in conformità alle statuizioni della giurisprudenza nazionale e comunitaria -, tale caratteristica non si riscontrerebbe invece nei predetti appalti labour intensive. In questi casi, probabilmente l’impresa subentrante, al fine di evitare l’applicazione dell’art 2112 c.c., dovrà necessariamente organizzare autonomamente la prestazione del gruppo di lavoratori oggetto dell’acquisizione.

 

Sul punto, può essere d’aiuto la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, la quale si è espressa precisando che, al fine di stabilire se una siffatta entità conservi la propria identità, è necessario valutare il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione di successione contrattuale, quali, ad esempio, il tipo di impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione (ad es. il know how), il trasferimento o meno della clientela, ecc. (v., da ultimo, sentenza 20 gennaio 2011, causa C-463-09).

 

Ad ogni modo, la nostra contrattazione collettiva nazionale, che spesso in passato è stata chiamata a disciplinare le procedure da osservare nei casi di cambio di appalto, potrebbe essere lo strumento adeguato per risolvere, o quantomeno semplificare, la difficile operazione ermeneutica resa necessaria dalla nuova formulazione dell’art. 29, comma 3, D.lgs. 276/2003. Non è un caso che qualche rinnovo contrattuale (v. CCNL Aziende cartarie e cartotecniche 30 novembre 2016) sia già intervenuto sulla questione, avendo premura di precisare (in quel caso) gli elementi caratterizzanti il contratto di appalto. Il tema, peraltro, è al centro di diversi tavoli negoziali in corso di svolgimento, con l’obiettivo di giocare d’anticipo rispetto ad eventuali interpretazioni “demolitrici” ad opera della giurisprudenza e nel timore che l’applicazione delle clausole sociali esistenti obblighi le imprese subentranti a “subire” la disciplina del trasferimento d’azienda.

 

Matteo Di Gregorio

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@matteo_gregorio

 

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