La legge è approvata: in Spagna i rider sono lavoratori dipendenti

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Bollettino ADAPT 17 maggio 2021, n. 19

 

Con la pubblicazione in data 12 maggio 2021 nel Boletín Oficial del Estado del Real Decreto-ley 9/2021, de 11 de mayo, por el que se modifica el texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores, aprobado por el Real Decreto Legislativo 2/2015, de 23 de octubre, para garantizar los derechos laborales de las personas dedicadas al reparto en el ámbito de plataformas digitalesè ormai ufficiale: in Spagna i rider sono lavoratori dipendenti.

 

Tale Real Decreto-ley 9/2021 entrerà in vigore il 12 agosto 2021, e dunque i gestori delle piattaforme digitali dedicate alla consegna o distribuzione di qualsiasi prodotto o merce di consumo avranno a disposizione tre mesi per regolarizzare i loro circa 15.000 lavoratori.

 

La Spagna è dunque la prima in Europa ad essere riuscita portare a termine quel processo di riconoscimento dei diritti del lavoro dei cosiddetti rider, avvenuto, di fatto, per effetto della trasposizione in legge degli orientamenti e dei dettami giurisprudenziali, culminati nella sentenza della Corte Suprema spagnola del 25 settembre 2020, in cui si indicava la necessità di adattare i requisiti di dipendenza e subordinazione alla realtà sociale attuale.

 

Di conseguenza, è ormai legge la presunzione di sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente, con tutto quanto ne deriva in termini di condizioni di lavoro, diritti previdenziali e assicurativi, ogni qualvolta ricorrano i tre seguenti requisiti: deve trattarsi di un’attività di consegna o distribuzione di qualunque merce o prodotto di consumo; la società datrice di lavoro deve esercitare le proprie facoltà imprenditoriali di organizzazione, direzione e controllo in maniera diretta, indiretta o implicita mediante una piattaforma digitale; deve utilizzarsi un algoritmo per la gestione del servizio o per determinare le condizioni di lavoro con riferimento a quella società o quel servizio.

 

Trattandosi di una presunzione, spetterà dunque al datore di lavoro dimostrare l’autonomia della prestazione, mettendo in discussione la sussistenza di uno o più dei requisiti descritti dalla legge. Occorrerà dimostrare la non coincidenza del caso concreto con l’ambito di riferimento della norma, il che potrebbe avvenire, ad esempio, facendo leva sul labile confine che separa il settore della consegna delle merci da quello del trasporto.

 

Accanto a tale presunzione, l’altra importante novità che la normativa introduce è il diritto in capo ai rappresentanti dei lavoratori ad essere informati circa i parametri, le regole e le istruzioni su cui si basano gli algoritmi o i sistemi di intelligenza artificiale, compresi i profili che incidono su quelle decisioni che afferiscono l’organizzazione del lavoro, le condizioni di lavoro e il mantenimento dell’occupazione.

 

Come segnala un autorevole osservatore come Antonio Baylos in un commento a caldo nel suo blog, questa disposizione comporterà la necessità di costituire un soggetto collettivo che possa e sappia gestire questo tipo di informazioni, per poter procedere alla negoziazione delle relative condizioni: la peculiare struttura organizzativa di questo settore, tuttavia, in cui un luogo di lavoro di fatto non esiste, «impone la necessità di un adattamento della normativa del Titolo II dello Statuto dei lavoratori. Inoltre, la struttura associativa e il tessuto sindacale tra i riders si differenziano oggi in maniera significativa da quelli che sono caratteristici di altri settori in cui la presenza sindacale confederale è assicurata».

 

«Un contratto collettivo di settore», prosegue Baylos, «potrebbe rappresentare un’iniziativa molto interessante nella misura in cui consentirebbe di rendere omogenei i trattamenti retributivi e le condizioni di lavoro nel settore, aiutando inoltre a favorire esperienze di rappresentanza all’interno dell’impresa». Il rischio, tuttavia, è che le grandi imprese di delivery, prima fra tutte Glovo, che ha reso pubblica la propria volontà, a partire da giugno, di uscire dalla CEOE accusandola di aver sostenuto una legge che ostacola lo sviluppo dell’economia digitale – il che un po’ ricorda, osserva Baylos, la vicenda dell’uscita della FIAT da Confidustria nel 2012 – possano iniziare a firmare accordi collettivi extrastatutari che le “blindino” rispetto ai contenuti in materia di lavoro che la legge impone in mancanza di diverso accordo. «Il ricorso alla contrattazione collettiva con questa finalità può rappresentare, dunque, la controffensiva delle multinazionali che operano nel settore del food delivery, nella loro lunga lotta contro il riconoscimento dei diritti dei lavoratori che sono al loro sevizio. Occorrerà dunque stare attenti a questa possibile nuova fase del conflitto».

 

Lavinia Serrani

Ricercatrice ADAPT

Responsabile Area Ispanofona

@LaviniaSerrani

 

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