La Grande Trasformazione del Lavoro – In Italia come negli USA: la comunicazione dei freelance interroga il sindacato

L’affermarsi di una società postmoderna, liquida nel suo appellativo più fortunato, ha come conseguenza la frammentazione delle grandi comunità professionali tradizionali (cfr. Censis, Il vuoto della rappresentanza degli interessi). Parallelamente si assiste a processi sempre centralizzati di costruzione del consenso, in favore di una “distribuzione” del dibattito sociale.

Tutto ciò non è però sufficiente né per avallare l’ipotesi della fine dell’opinione pubblica (basti pensare al duraturo successo dello strumento del sondaggio), né di quella dei media classici. Si può invece più correttamente parlare di una complessificazione significativa dei processi “naturali” di costruzione del consenso (cfr. Freccero, Televisione, Bollati Boringhieri, Torino 2013: 153-154).In questo senso il fatto che i differenti domini della comunicazione online e offline continuino ad intrecciarsi è reso evidente anche da alcuni casi recenti di campagne politiche e pseudo-sindacali.
Il prefisso è d’obbligo con riferimento alle rivendicazioni messe in campo dalle associazioni dei freelance italiani (Acta, Confassociazioni, Cna…) rispetto ai contenuti dell’ultima riforma del lavoro e della Legge di Stabilità 2015. Partita dal terreno social e scandita da hashtag molteplici (#jobsacta, #dicano33, #siamorotti, #renzirewind, #malusrenzi, #annullaautogol, #refurtIVA) la mobilitazione promossa da queste associazioni è stata legittimata nel dibattito politico grazie all’appoggio della carta stampata. Nel corso delle ultime due settimane gli articoli sul tema si sono moltiplicati concorrendo a far parlare ripetutamente il Governo di “autogol” e “correzioni necessarie”.
Sono quindi state le associazioni di professionisti ad aver avanzato istanze direttamente connesse al lavoro del futuro, pur senza tematizzarlo direttamente e comunque all’interno di una strategia difensiva. Ciò non può che essere di stimolo ai sindacati storici. Quanto sta accadendo dimostra infatti che il sindacato inteso come collettivo organizzato non è altro che espressione di un connaturato bisogno di rappresentanza destinato a durare anche nell’ipotetica era degli indipendent worker (cfr. Censis, 48° Rapporto sulla situazione sociale del paese).
Emblematico il caso degli stati Uniti, dove è un’associazione a carattere sindacale ad aver affrontato in anticipo le sfide assistenziali e previdenziali che una freelance economy pone per i sistemi di welfare. Oggi la Freelancers Union è una delle organizzazioni che cresce più rapidamente in termini di iscritti, giunta a più di 200mila membri. Non si tratta di un sindacato che contratta con i datori di lavoro, bensì fornisce aifreelancers e a migliaia di altri lavoratori assicurazioni sanitarie economicamente sostenibili.
Negli Stati Uniti inoltre, sulla spinta dalle rilevazioni di Gallup e del Pew Research Center relative all’attivismo delle nuove generazioni, i sindacati hanno avviato recentemente una riflessione circa le loro capacità di mobilitazione e di rappresentanza. Alla base della conferenza dall’eloquente titolo The American Labor Movement at a Crossroads, si trova l’attitudine positiva dei cosiddetti millennials verso le attività collettive legate al lavoro. La sfida per il sindacato americano, affetto da un diffuso discredito nell’opinione pubblica, consisterebbe quindi nell’adattare le vecchie infrastrutture per incontrare i bisogni delle nuove generazioni, trasformando poi il favore accordato in nuove iscrizioni…

 
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Francesco Nespoli

ADAPT Research fellow

@franznespoli

 
 
 

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