La disoccupazione giovanile e il business dei curricula degli studenti: tre domande al Ministro Poletti

Registriamo, da anni, l’attenzione e un formale impegno della politica verso le prospettive occupazionali dei nostri giovani. Negli anni della grande crisi non è passata riforma – dalla legge Fornero sulle pensioni al più recente Jobs Act – che non fosse adottata in nome dei giovani e del loro futuro. L’impressione, tuttavia, è che dietro alle tante parole e alle buone intenzioni vi sia ben poco di concreto.

 

Non ci interessa indagare la buona o cattiva fede dietro alle promesse elettorali e ai troppi annunci disattesi. Non è nostro compito farlo. Così come non è nostra intenzione evidenziare ulteriormente l’incapacità della politica italiana di attuare e tradurre in azione misure per l’occupazione giovanile anche quando sono generosamente finanziate dall’Europa come abbiamo già ampiamente documentato per il programma “Garanzia giovani” con analisi recentemente confortate dalla Corte dei Conti europea. La verità, purtroppo, è che i nostri decisori politici pare proprio non conoscano non solo le tante leggi vigenti e spesso disattese, ma neppure le dinamiche reali dell’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro soprattutto per quanto attiene a giovani alle prime esperienze nella complessa fase di transizione dalla scuola / università al mercato del lavoro.

 

Emblematico da questo punto di vista è il nodo, oramai storico nel nostro Paese, della libera e trasparente circolazione dei curricula degli studenti (universitari e non solo). Difficile infatti immaginare l’operatività di qualsivoglia misura economica o normativa di sostegno alla occupazione giovanile se poi i curricula degli studenti vengono sistematicamente occultati per alimentare, più o meno inconsapevolmente, rendite di posizioni lucrative sulla loro cessione alle imprese e ai potenziali datori di lavoro. Come può del resto un neo-laureato trovare un lavoro se è solo, senza conoscenza dei canali di ingresso al lavoro (tipologie di contratti, operatori autorizzati, ecc.) e senza alcun minimo orientamento nella circolazione del suo curriculum e nel contatto con le aziende? Nessuna sorpresa se l’Italia resta il regno della raccomandazione o, al più, di fortuite segnalazioni caso per caso, col vecchio metodo del passaparola, che non vogliamo certo stigmatizzare ma che, comunque, nella loro informalità si pongono fuori da ogni logica meritocratica e di sistema come ampiamente documentato dall’ISFOL. E che dire poi della capacità, quasi del tutto inesistente, dei nostri giovani di gestire la propria “reputazione digitale” o anche solo, più banalmente, di scrivere in modo decente un curriculum vitae come verifichiamo ogni anno – con un esercizio che non ha alcuna pretesa di scientificità, ma che comunque è indicativo – nelle nostre aule di Bergamo, Modena e Roma con studenti di diversa età, specializzazione ed esperienza?

 

Per far fronte a queste oggettive criticità, vere e proprie barriere all’accesso al lavoro per i giovani, la legislazione italiana da tempo prevede (art. 6, comma 1, decreto legislativo n. 276/2003), l’obbligo per le università (e anche per le scuole ma questo è un discorso più complicato che lasciamo ad altra occasione) che intendano occuparsi di placement, di fatto tutte, di pubblicare gratuitamente sul proprio sito istituzionale i curricula di studenti e neo-laureati.

 

L’obbligo, come abbiamo documentato in questi anni e come conferma una recente rilevazione empirica realizzata da Alessia Battaglia e Andrea Negri che copre tutte le università italiane, è tuttavia sistematicamente disatteso e, senza tema di smentita, lo rimarrà a lungo a seguito di una incomprensibile circolare ANPAL dello scorso 12 aprile 2017 che, riparandosi dietro alla foglia di fico della privacy dello studente, esclude in radice la possibilità per gli Atenei di adempiere all’obbligo di legge. La circolare, invero, solleva più di una perplessità (e anche fondati dubbi di legittimità) perché richiama, per il placement degli studenti universitari, una nota del Garante della privacy  (la numero 8515 del 6 marzo 2017che in realtà si riferisce esclusivamente agli studenti delle scuole secondarie superiori in attuazione dell’articolo 96 del decreto legislativo n. 196/2003, pure espressamente richiamato dalla circolare ANPAL, che appunto offre indicazioni in tema di trattamento dei dati dei soli studenti delle scuole secondarie superiori ai fini (anche) del loro inserimento nel mercato del lavoro.

 

Da quel che è dato capire, almeno dai dati a nostra disposizione e dal riscontro avuto dall’Ufficio per le relazioni col pubblico del Garante della privacy che ci ha fornito tempestivamente la nota del 6 marzo 2017, n. 8514, si desume che l’ANPAL abbia interpretato in via analogica la previsione dell’art. 96 del decreto legislativo n. 196/2003 estendendola anche alle università pur senza un preciso fondamento normativo o, meglio, in palese contrasto con la previsione, peraltro successiva nel tempo, dell’articolo 6, comma 1, lett. b), del decreto legislativo n. 276/2003 come emendato, sul punto, dal collegato lavoro del 2010 (art. 48 legge 183/2010) e dall’art. 29 della legge n. 111/2011. Dalla interpretazione alla “manipolazione normativa”, insomma, il passo è breve. Col risultato di creare diritto in una direzione contraria non solo alla lettera e alla ratio della legge ma anche a quella di una Agenzia che pure dovrebbe avere come finalità quella di agevolare e non ostacolare, dietro un ottuso formalismo burocratico, la trasparenza del mercato del lavoro e, con essa, l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Il tutto peraltro senza dimenticare che, ai sensi del disposto normativo di cui all’art. 24 del decreto legislativo n. 196/2003, il consenso non è necessario, come appunto nel caso di specie, «quando il trattamento è necessario per adempiere ad un obbligo previsto dalla legge».

 

Era questa la posizione su cui era attestato da tempo il Ministro del Lavoro, di concerto con il Ministro della Istruzione, Università e Ricerca che, con nota circolare n. 29 del 4 agosto 2011 a firma di Maurizio Sacconi e di Maria Stella Gelmini, aveva chiarito la piena operatività del precetto di legge, affermando che le università sono tenute a garantire agli studenti soltanto una «adeguata informativa nelle forme previste dall’articolo 13 del Codice della privacy, non essendo necessario alcun consenso specifico, in quanto la raccolta e diffusione dei curricula è necessaria per l’esercizio delle attività di intermediazione, prevista da una disposizione di legge». Bene dunque ha fatto il Presidente della Commissione Lavoro del Senato a presentare tempestivamente una interrogazione parlamentare ai ministri competenti per conoscere, al di là delle dispute giuridiche e interpretative, «quali iniziative (…) intendano intraprendere, al fine di garantire adeguata e gratuita trasparenza alla pubblicazione dei curricula degli studenti universitari e dei neolaureati per facilitarne l’accesso a percorsi di integrazione tra apprendimento teorico ed esperienza pratica, nonché di primo impiego».

 

Resta invero da capire il senso e la tempistica dell’intervento dell’ANPAL visto che la nota del Garante della privacy non si riferisce (almeno per le carte in nostro possessoalle università e visto che non ci risultano schiere di studenti  insofferenti verso quelle università che, nel rendere pubblici e gratuiti i loro curricula, agevolano per quanto possibile il già complesso percorso ad ostacoli che devono affrontare nella ricerca di un lavoro ampliando le (poche) opportunità di contatto col mondo delle imprese. Difficile avanzare, su questo fronte, ragioni di privacy. E non ci pare accettabile il tentativo di banalizzare il problema, come qualche “esperto” di mercato del lavoro ha già ipotizzato, pensando che il tutto si risolva in pochi minuti con la richiesta del consenso individuale a un esercito di oltre un milione e mezzo di studenti universitari che neppure conoscono il placamento universitario e la possibilità di accedere al mercato del lavoro grazie ai servizi offerti dalle loro università ben oltre occasioni sporadiche e comunque insufficienti come sono, per esempio, gli annuali career days. Se di “privato” vogliamo parlare, il sospetto (difficile ovviamente da dimostrare) è semmai che, con questi interventi, si agevoli, quantomeno nei fatti, la costruzione di rendite parassitarie di tipo monopolistico basate su preziose banche dati private dove costringere le imprese (ma anche le agenzie del lavoro) ad attingere a caro prezzo per poter entrare in possesso dei curricula degli studenti o forse anche dei (soli) migliori studenti.

 

Sia chiaro, ben venga che le università chiedano congrui rimborsi spese alle aziende per strutturare e potenziare i loro gracili e sottodimensionati uffici placement il più delle volte in difficoltà anche solo a organizzare e gestire i tanti stage curriculari. Ma questo non dovrebbe avvenire in funzione del mero occultamento degli stessi curricula, oggi irreperibili sul mercato, ma per la realizzazione di veri e propri servizi di intermediazione quali filtri qualitativi nella loro lettura e analisi o anche forme di placement dinamico legate, per esempio, a percorsi formativi come gli apprendistati di alta formazione e di ricerca e anche a master di ben altra qualità rispetto ai tanti che, privi di reali contenuti formativi, non hanno altra pratica funzione se non quella di mettere in contatto una azienda con un giovane.

 

Da parte nostra, in attesa di una spiegazione ufficiale sulla piena compatibilità della circolare ANPAL con il quadro legale oggi vigente, ci limitiamo ad avanzare al Ministro Giuliano Poletti, per i profili che attengono più propriamente alle azioni di contrasto alla disoccupazione e inattività giovanile di sua competenza, tre semplici domande e precisamente:

 

  • come è possibile che le università italiane abilitate ope legis ai servizi per l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro a condizione di rendere pubblici e gratuiti i curricula di studenti e neo-laureati non adempiano a un precetto di legge di portata inequivocabile e poi offrano (direttamente o per il tramite dei consorzi a cui aderiscono) interi pacchetti di questi stessi curricula a pagamento alle imprese che ne facciano richiesta? Senza dimenticare la prassi, presente in molte università italiane, per cui gli studenti non possono materialmente presentare la domanda di laurea senza aver prima obbligatoriamente compilato un questionario on-line che porta, automaticamente, alla redazione di un curriculum vitae con relativa cessione di dati e facoltà di utilizzo anche a fini commerciali. 
  • se il Ministero del lavoro, come da previsione legislativa (art. 3, comma 2, lett. a, decreto legislativo n. 150/2015), abbia espresso parere preventivo sulla circolare ANPAL del 12 aprile 2017 assumendosi così la piena responsabilità politica e di indirizzo di un atto creativo di diritto che non può rimanere senza “padrini” per essere asetticamente ascritto al mero adempimento burocratico andando anzi in direzione contraria alla lettera e alla ratio della legge (art. 6, comma 1, lett. b, decreto legislativo n. 276/2003), perché se così non fosse tante e gravi sarebbero le ombre su una agenzia come l’ANPAL in termini di accountability e cioè di responsabilità della sua azione rispetto a un segmento così importante del mercato del lavoro;
  • se comunque, continuando gli atenei e i loro consorzi, anche dopo la circolare ANPAL dello scorso 12 aprile 2017, a vendere alle imprese pacchetti di curricula di studenti e neo-laureati, il Ministero del lavoro intenda verificare la pubblicazione sui loro siti istituzionali quantomeno dei curricula di coloro che (si presume) abbiano rilasciato il consenso salvo non ritenere che le stesse università vendano pacchetti di curricula senza che l’interessato ne sia a conoscenza o abbia rilasciato espresso consenso.

 

Rispetto agli interrogativi che solleviamo non ci facciamo grandi illusioni. Ma siamo al tempo stesso certi che un eventuale e probabile silenzio del Ministro Poletti non sia una mancata risposta a noi quanto ai giovani e ai loro sforzi per trovare un lavoro che non è solo una auspicabile fonte di reddito e autonomia ma anche un imprescindibile terreno per coltivare un talento e misurarsi con la realtà dopo un lungo e spesso ovattato percorso formativo. Una precisa scelta di campo, insomma, rispetto ai tanti interessi coinvolti: quelli degli studenti e quelli di quanti hanno invece interesse ad alimentare, sulle spalle dei ragazzi, un inconfessabile business, quello della vendita dei loro curricula.

 

Ed in effetti, rispetto a questi interrogativi, più che la sorprendente velocità dell’ANPAL nell’adempiere in meno di un mese a una presunta direttiva del Garante della privacy, colpisce, per chi non ha smesso di credere nella possibilità di fare qualcosa di concreto per l’occupazione giovanile, la persistente inerzia degli organi ispettivi e di vigilanza del Ministero del lavoro che, da oltre sei anni, sono a conoscenza della sistematica violazione di un obbligo di legge che peraltro è presidiato da significative sanzioni tra cui la cancellazione, per le università inadempienti, dall’albo dei soggetti autorizzati ai servizi di incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro a cui si aggiunge «una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2000 a euro 12.000» (così l’art. 5 del decreto ministeriale del 20 settembre 2011 recante Modalità di interconnessione a ClicLavoro di università e altri soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività di intermediazione). Ma siamo in Italia, lo sappiamo, il Paese della politica fatta (solo) di annunci, di tante (troppe) promesse disattese e soprattutto di speranze tradite, quelle dei nostri giovani su tutte.

 

Michele Tiraboschi

Coordinatore scientifico ADAPT

@Michele_ADAPT

 

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