La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui termini per l’impugnazione giudiziale del licenziamento in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione

Bollettino ADAPT 17 giugno 2019, n. 23

 

Con ordinanza n. 14057 pubblicata il 23 maggio 2019, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi con riguardo agli effetti dell’esperimento del tentativo di conciliazione sul regime di decadenze, previsto dall’art. 6 della Legge n. 604/1966, per l’impugnativa giudiziale del licenziamento, individuando, in particolare, a seconda dei diversi esiti negativi cui può pervenire il tentativo di conciliazione, quale sia il termine di decadenza applicabile per il deposito del ricorso innanzi al giudice.

 

L’ordinanza in commento si distingue per la conferma, da parte della Suprema Corte, dell’orientamento già emerso sul tema in altre decisioni di legittimità[1], ove è stato sancito il principio per cui, allorquando “la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento”, il ricorso giudiziale deve essere depositato entro lo speciale termine di decadenza di 60 giorni ex art. 6, comma 2, della Legge n. 604/1966, dovendosi escludere che, oltre al predetto termine, il lavoratore, per non incorrere nella decadenza dall’impugnazione, possa invocare l’applicazione dell’ulteriore termine sospensivo di 20 giorni di cui all’art. 410, comma 2, c.p.c., decorrente dalla conclusione del tentativo di conciliazione.

 

Il caso di specie trae origine dal ricorso presentato da un lavoratore per la riforma della decisione della Corte di Appello di Ancona, con cui la Corte territoriale confermava l’esisto del giudizio di primo grado, accertando l’intervenuta decadenza del ricorrente, ex art. 6, comma 2, della Legge. n. 604/1966, dai termini per l’impugnativa giudiziale del licenziamento, avendo il lavoratore depositato il ricorso oltre i 60 giorni dal termine ultimo entro cui la società datrice avrebbe potuto costituirsi innanzi alla Direzione Territoriale del Lavoro per il tentativo di conciliazione.

 

In proposito, prima di esporre le motivazioni alla base del rigetto del ricorso, è opportuno richiamare brevemente la disciplina sui termini di impugnazione del licenziamento.

 

Ebbene, a fronte di un licenziamento ritenuto illegittimo, il lavoratore, ai sensi dell’art. 6, primo comma, della Legge n. 604/1966 (come novellato dall’art. 32, comma 1, della Legge n. 183/2010 e dall’art. 1, commi 38 e 39, della Legge n. 92/2012) è tenuto a proporre, con atto stragiudiziale, l’impugnazione del recesso entro 60 giorni dalla comunicazione scritta del licenziamento.

 

Ai sensi del successivo comma 2 dell’art. 6 sopra citato, una volta manifestata la volontà di contestare il recesso, il lavoratore, a pena di inefficacia della prima impugnazione, può scegliere di sottoporre il licenziamento al sindacato del giudice depositando il ricorso entro 180 giorni dall’impugnazione stragiudiziale[2] oppure, entro il medesimo termine, può inoltrare la richiesta per l’esperimento del tentativo di conciliazione o arbitrato alla commissione istituita presso la Direzione Territoriale del Lavoro[3]. Tale richiesta, sottoscritta dal lavoratore, deve essere consegnata o spedita anche al datore di lavoro, con l’effetto che, da tale momento, ogni termine di decadenza è sospeso per l’intera durata del tentativo di conciliazione, nonché per i 20 giorni successivi alla relativa conclusione, in base a quanto previsto dal secondo comma dell’art. 410 c.p.c. A tal punto, possono verificarsi alternativamente due ipotesi.

 

Se il datore di lavoro intende aderire alla procedura di conciliazione, secondo l’art. 410, comma 7, c.p.c., lo stesso, entro 20 giorni dalla richiesta, deposita presso la commissione di conciliazione una memoria contenente le proprie difese in fatto e in diritto, oltre ad eventuali domande riconvenzionali. Entro 10 giorni dalla costituzione del datore, la commissione invita le parti per la conciliazione, da effettuarsi nei 30 giorni successivi.

 

Ove, invece, il datore non si costituisca nel procedimento innanzi alla commissione, per quanto previsto dall’art.410, comma 5, c.p.c., ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria.

 

Tanto premesso, si pone la questione se il mancato deposito, entro il termine di legge, della memoria di costituzione datoriale presso la commissione di conciliazione integri un’ipotesi di “rifiuto implicito”, del tentativo di conciliazione e se, conseguentemente, trovi applicazione il dettato dell’art. 6, comma 2, della Legge n. 604/1966, per il quale “qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo”.

 

Ebbene, proprio la violazione e la falsa applicazione di quest’ultima disposizione e dell’art. 410 c.p.c. costituisce, nel caso de quo, unico motivo di ricorso avverso la sentenza di appello, in quanto, secondo la tesi del ricorrente, il mancato deposito della memoria difensiva del datore entro il termine di giorni 20 non integrerebbe un rifiuto in senso proprio del datore, e come tale, non sarebbe idoneo a far decorrere il termine di decadenza di 60 giorni ex art. 6, comma 2, della Legge n. 604/1966. Peraltro, sempre secondo le argomentazioni del ricorrente, la mancanza di un obbligo di comunicazione al lavoratore della conclusione del procedimento conciliativo determinerebbe per il lavoratore stesso una situazione di incertezza, tanto più in presenza di un termine di decadenza ridotto, pari a 60 giorni, rispetto a quello generale di 180 giorni, per la proposizione dell’impugnativa in sede giudiziale.

 

Nel motivare il rigetto del ricorso, gli Ermellini fanno richiamo a quanto già osservato in altre recenti pronunce di legittimità, stabilendo che, allorquando “la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento [trova applicazione], dal rifiuto o dal mancato accordo, il termine di decadenza fissato in 60 giorni, senza che possa invocarsi l’ulteriore termine sospensivo di 20 giorni previsto dall’art. 410, secondo comma, c.p.c. e senza che il rifiuto di aderire alla conciliazione debba essere comunicato alla Direzione Territoriale dal Lavoro […] ovvero alla controparte (id est: al lavoratore)”. In proposito, con riferimento alle modalità di comunicazione del rifiuto, i giudici di legittimità, nell’ordinanza in esame, hanno inoltre escluso che, in base alla disciplina sopra richiamata, il lavoratore possa incorrere in incertezza nell’individuazione del dies a quo per la proposizione dell’impugnazione giudiziale, coincidendo quest’ultimo con la manifestazione del rifiuto implicito del datore di aderire al tentativo di conciliazione, ovvero con lo spirare del termine di 20 giorni, ex art. 410, comma 7, c.p.c., entro cui il datore può costituirsi innanzi alla commissione di conciliazione.

 

In conclusione, alla luce dell’orientamento di legittimità sopra richiamato, stante la carente sistematicità della disciplina in oggetto, appare opportuno riepilogare, per ciascuna delle tre differenti ipotesi in cui il tentativo di conciliazione pervenga ad un esito negativo, quale sia il termine per l’impugnativa giudiziale del licenziamento da parte del lavoratore.

 

Pertanto, in un primo caso, se il tentativo di conciliazione viene accettato dal datore, ma si conclude con un esito negativo, il deposito del ricorso in Tribunale dovrà avvenire entro il termine di decadenza di 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, tenendo presente, tuttavia, che il predetto termine è sospeso per la durata del tentativo di conciliazione e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione, come prevede l’art. 410, comma 2, c.p.c.

 

In una seconda ipotesi, come quella verificatasi nel caso in commento, qualora il datore non si costituisca innanzi alla commissione nei 20 giorni successivi al ricevimento della richiesta del tentativo di conciliazione, il ricorso giudiziale dovrà essere depositato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dal termine del predetto periodo di 20 giorni di cui all’art. 410, comma 7, c.p.c, al cui spirare la richiesta di conciliazione inoltrata al datore dovrà intendersi rifiutata.

In ultimo luogo, allorquando il datore di lavoro rifiuti espressamente la richiesta di conciliazione, il deposito del ricorso giudiziale dovrà avvenire entro 60 giorni dal diniego espressamente manifestato dal datore di lavoro, senza che trovi applicazione alcun ulteriore termine sospensivo o decadenziale.

 

Carmine Russo

Adapt Junior Fellow

 

[1] Cfr. Cass. n. 27948 del 31 ottobre 2018 e Cass. n. 14108 del 1 giugno 2018;

[2] Il termine di 180 giorni successivi all’impugnazione del licenziamento, previsto a pena di decadenza per il deposito del ricorso giudiziale, inizia a decorrere dalla data di spedizione della comunicazione contenente l’impugnazione stragiudiziale e non da quella del suo ricevimento da parte del datore di lavoro (Cfr. Cass. n. 20068 del 7.10.2015 e Cass. n. 5717 del 20.3.2015);

[3] Ai sensi del D. Lgs. n. 149/2015, art. 3, e del DPCM 23.01.2016, in vigore dal 1 gennaio 2017, le funzioni delle Direzioni Territoriali del Lavoro sono state attribuite agli Ispettorati Territoriali del Lavoro.

 

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui termini per l’impugnazione giudiziale del licenziamento in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione