La conciliazione vita-lavoro nel cd Jobs Act: alcuni spunti di riflessione

La conciliazione dei tempi della vita lavorativa con quella professionale – subordinata, autonoma o parasubordinata che sia – è il risultato, tutt’altro che semplice e scontato, di una combinazione tra istanze tra loro parallele, quando non addirittura divergenti: le esigenze e/o gli impegni personali del prestatore di lavoro; l’organizzazione dell’attività produttiva, che può essere operata da un soggetto terzo (il datore di lavoro) o gestista autonomamente; i servizi di natura sociale offerti dallo Stato.

 

Il d.lgs. n. 80/2015, nel dare attuazione all’art. 1, comma 8, l. n. 183/2014, è intervenuto proprio sulla materia, introducendo misure di natura sperimentale – relative, tra le altre, all’indennità di maternità riconosciuta alle lavoratrici autonome/imprenditrici ed alle madri adottive/affidatarie, al prolungamento del congedo parentale – ed altre a regime. In relazione alle prime va ricordato che, a mente dell’art. 26, c. 4, del citato decreto, queste potrebbero valere solo per il 2015 ove non venisse raggiunta la relativa copertura finanziaria, rischiando di avere ricadute negative sulla vita familiare e personale dei lavoratori (cfr. P. Rausei, Nuove tutele per i genitori lavoratori, in Dir. & Prat. Lav. 2015, 28, 1737 ss.). Le misure introdotte in via definitiva riguardano l’estensione del congedo parentale anche in favore di genitori adottivi e/o affidatari, equiparati ai genitori naturali, all’agevolazione del telelavoro, ove ciò contribuisca a facilitare la combinazione del lavoro con gli impegni personali, l’estensione dei congedi di paternità anche ai lavoratori autonomi e parasubordinati, laddove prima ne beneficiavano soltanto i dipendenti. Altresì, il decreto attuativo del cd. Jobs Act prevede che per il triennio 2016-2018 venga stanziato il 10% del Fondo per finanziare sgravi contributivi alla contrattazione di secondo livello che promuova la conciliazione tra vita e lavoro, affidando il monitoraggio degli interventi ad un gruppo di lavoro formato da membri incaricati dalla Presidenza del Consiglio – o da un Dipartimento con delega specifica – dal Ministero dell’economia e dal Ministero del lavoro, che lo presiederà.

 

Le scarse risorse pubbliche destinate hanno già fatto dubitare alcuni commentatori dell’efficacia delle norme promozionali adottate, sulla base della quasi inesistente compensazione, anche in termini economici, tra disposizioni che stabiliscono flessibilità oraria e/o nella gestione dell’organizzazione imprenditoriale e le loro ricadute sul datore di lavoro, fermo restando che la politica del diritto alternativa alla norma incentivo, consistente nell’attribuzione di diritti potestativi ai lavoratori, sembra non esser stata contemplata dalla legge delega (in questo senso, R. Voza, Le misure di conciliazione vita-lavoro nel Jobs Act, in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2015, 1, 13 ss.).

 

Andando oltre le singole disposizioni contenute nel d. lgs. n. 80/2015, può valere la pena provare a leggere in controluce il predetto testo normativo, cogliendovi, accanto alle luci ed alle ombre che – inevitabilmente, verrebbe da dire – ogni testo di legge reca in sé, l’eventuale lettura del cambiamento in atto nel mondo del lavoro. In estrema sintesi, se l’universalizzazione di alcune misure in favore di tutti i genitori e di tutti i lavoratori, prescindendo dalla tipologia di contratto stipulato e/o di legame con il figlio, l’automaticità delle prestazioni di maternità pur a fronte di mancato versamento dei contributi e la promozione del telelavoro, vanno letti senz’altro nell’ottica di una facilitazione di detta combinazione, d’altro canto la scelta della fonte normativa primaria quale luogo privilegiato di previsione e disciplina dettagliata della materia, con scarso spazio alla contrattazione collettiva, sembra testimoniare un’impostazione centralizzatrice poco incline ai necessari adattamenti che esigenze di questo tipo richiedono, con limitazione di spazi di autonomia negoziale. Questi ultimi, infatti, potrebbero risultare maggiormente efficaci nel necessario bilanciamento tra le esigenze organizzative e produttive latamente intese e quelle familiari e personali, che difficilmente può esser cristallizzato una volta per tutte e per tutti dal dato positivo.

 

Peraltro, se l’impostazione di fondo del d. lgs. n. 80/2015 mira all’agevolazione del lavoro tanto “qui od altrove”, quanto “ora o dopo”, poco senso sembra conservare quella visione “subordinocentrica” fatta propria dal d. lgs. n. 81/2015, sul riordino delle tipologie contrattuali, che ha elevato il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a canone di riferimento della disciplina della prestazione lavorativa, ove venga considerato che se il lavoratore può decidere quando e dove lavorare occorrerà anche ripensare ai requisiti dell’etero-direzione e dell’etero-organizzazione quali consolidati elementi costitutivi del concetto di subordinazione.

 

Infatti, proprio perché parlare della conciliazione vita-lavoro vuol dire affrontare la duplice questione della sostenibilità del lavoro ad opera di prestatori di lavoro che siano anche genitori, con la necessaria alternanza di impegni professionali con altrettanti personali, e dell’esattezza della prestazione lavorativa posta in essere, quantomeno in relazione al luogo ed al tempo dell’esecuzione, viene da chiedersi se il d. lgs. n. 80/2015 sia andato oltre la mera riscrittura delle norme, per tentare di interpretare il cambiamento in atto nel lavoro ed offrire chiavi di lettura che superino la mera disciplina di dettaglio indicando una direzione da seguire.

 

In fondo, la prima vera conciliazione che il diritto positivo deve sforzarsi di compiere è quella con la realtà che ambisce a regolare.

 

 

Giovanna Carosielli

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Bergamo

@GiovCarosielli

 

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