La conciliazione vita-lavoro è un diritto soggettivo, la spinta propulsiva a livello nazionale arriva dal Tribunale di Firenze

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Bollettino ADAPT 9 dicembre 2019, n. 44

 

In data 22 ottobre 2019 la Sezione Lavoro del Tribunale di Firenze si è pronunciata con una sentenza di particolare rilevanza, sia in punto di interpretazione che in termini di implementazione della recente normativa europea in materia di equilibrio tra attività professionale e vita familiare (dettata dalla direttiva 2019/1158 UE).

A promuovere il ricorso d’urgenza ex art. 37 co. 4 d. lgs. n. 198/2006 è stata la Consigliera di Parità della Regione Toscana, organo preposto alla promozione e al controllo dell’effettiva operatività dei principi di uguaglianza di genere e non discriminazione sui luoghi di lavoro ai sensi del Capo IV del decreto summenzionato (meglio conosciuto come Codice delle pari opportunità tra uomo e donna).

 

Obiettivo della domanda giudiziale è risultato essere l’accertamento di una discriminazione indiretta collettiva ai danni di ottantatré dipendenti dell’ITL di Firenze, nei confronti dei quali erano stati emanati dallo stesso Ispettorato due Ordini di Servizio1 intervenuti sulla disciplina dell’orario di lavoro in violazione della normativa in tema di pari opportunità. In particolare, questi ultimi contemplavano: l’obbligo di giustificazione scritta del ritardo compreso nella fascia oraria dalle 9,16 alle 9,30 entro le 24,00 ore a pena di contestazione disciplinare, la qualificazione come permessi brevi non retribuiti delle entrate successive alle ore 9,30 e la fruizione dei riposi compensativi in Banca ore subordinata alle esigenze di spesa delle somme accreditate per il lavoro straordinario. Questo laddove il CCNL di riferimento prevede rispettivamente, a titolo di miglior favore: un obbligo di recupero entro il mese successivo, la possibilità di effettuare richiesta in tempo utile entro un’ora dall’inizio della giornata lavorativa (salvo casi di particolare urgenza o necessità, valutati dal responsabile) e la fissazione di un tetto individuale annuo del monte ore da far confluire nella Banca con relativa fruizione compatibile con le esigenze di servizio.

 

Ciò che è stato sottolineato con forza dall’Autorità giudicante è l’aperto contrasto degli ODS con le esigenze di conciliazione dei dipendenti gravati da carichi familiari, che si sarebbe posto all’origine di una discriminazione indiretta a danno dei dipendenti con figli e quindi, in larga misura, delle lavoratrici madri. Infatti gli Ordini andavano ad impattare sensibilmente sul regime di flessibilità oraria regolato dalla contrattazione collettiva di riferimento, senza peraltro che la loro applicazione fosse sostenuta dai requisiti di appropriatezza e necessità richiesti dalla normativa nazionale ai fini dell’ammissione della giustificazione per la discriminazione indiretta. Giova qui ricordare che si parla di discriminazione indiretta laddove vengano posti in essere una disposizione, un criterio o una prassi, in apparenza neutri, che collochino/rischino di collocare in una situazione di particolare svantaggio gli appartenenti ad un determinato gruppo rispetto alla generalità.

Ai fatti di causa è dunque conseguita la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, contestualmente all’ordine di disapplicare il contenuto delle disposizioni discriminatorie e di attuare il relativo piano di rimozione.

 

L’Ordine di Servizio, sebbene abbia valore legale, rappresenta una disposizione di carattere urgente e/o eccezionale, perciò soggetta ad obbligo di motivazione da parte del datore di lavoro. Pur rientrando nelle modalità di esercizio del potere direttivo, infatti, esso non costituisce uno strumento di programmazione dell’orario e, anche laddove contravvenga temporaneamente a quanto pattuito dall’autonomia contrattuale delle parti, non può derogare al contenuto stabilito dalla legge e in sede di contrattazione collettiva. Ciò appare tanto più evidente laddove si abbia a che fare con aspetti organizzativi del lavoro, sottoposti ex lege agli obblighi di informativa e consultazione sindacale.

 

Nella fattispecie in questione, la deroga in pejus apportata dagli Ordini emanati dall’Ispettorato del lavoro assume connotati illegittimi e paradossali. Illegittimi, in quanto da un lato si ha il sovvertimento della gerarchia delle fonti derivante dalla contravvenzione degli ODS alle agevolazioni disposte dal CCNL del comparto Funzioni Centrali in relazione al regime di flessibilità in ottica conciliativa; dall’altro, poiché si produce una violazione della normativa antidiscriminatoria di cui si è accennato sopra. Paradossali, perché la legislazione europea, come sottolineato in apertura, ha voluto valorizzare la conciliazione vita-lavoro incoraggiando gli Stati membri all’adeguamento normativo nazionale (cfr. considerando n. 43 – 51 e art. 20 in tema di recepimento della direttiva sopracitata). Tuttavia le vicende intercorse presso l’ITL fiorentino hanno portato, in buona sostanza, ad una retrocessione in punto di tutela, precisamente ad opera di un organo che trova la propria ragion d’essere nella salvaguardia dei diritti dei lavoratori.

 

La recente direttiva UE 2019/1158, in particolare, incentiva l’adozione di modalità di lavoro flessibili formalizzando la necessità, per il datore di lavoro, di motivare l’eventuale rifiuto alla concessione (pur valorizzando le esigenze di bilanciamento dei contrapposti interessi). Sempre in ottica di favore, viene prevista anche una disposizione ad hoc per quanto concerne l’assenza dal lavoro “per cause di forza maggiore derivanti da ragioni familiari ingenti in caso di malattie o infortuni (…)” (art. 7; cfr. inoltre sul punto considerando n. 28 e 34). I contenuti degli ODS appaiono quindi del tutto disallineati a queste previsioni e nello specifico, in relazione alla Banca ore, risultano infondate le ragioni addotte da parte resistente laddove subordina la fruizione dell’istituto, in termini di riposi compensativi, al bilanciamento con interessi economici datoriali. Appare infatti evidente che un bilanciamento di interessi così concepito non contempla l’adozione di un parametro comune, di carattere organizzativo, come previsto dalla contrattazione collettiva nazionale.

 

Data la valenza prescrittiva della direttiva citata e delle disposizioni contrattuali analizzate, i relativi esiti applicativi restano indiscutibili anche in virtù dell’effetto diretto prodotto dalla normativa antidiscriminatoria UE (recepita anche a livello nazionale). Il principio di non – discriminazione è stato infatti codificato nei Trattati e nella Carta dei diritti fondamentali, nonché ribadito, in via indiretta, dalle Convenzioni ONU (si veda in tal senso la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989, peculiare espressione in alcune sue parti delle esigenze conciliative famiglia – lavoro).

 

In conclusione, la pronuncia di merito in esame costituisce un’apripista a livello nazionale per l’implementazione di quei princìpi che, oltre ad avere valenza di diritti fondamentali, sanciscono l’ampliamento della sfera dei diritti soggettivi della lavoratrice e del lavoratore in ottica di adeguamento alla crescente evoluzione personocentrica del mondo del lavoro. Ciò tanto più con riguardo all’inarrestabile transizione, a livello macro – produttivo, dalla logica di orario a quella temporale, in cui la fluidità e la porosità impongono una rivisitazione dei vincoli sulla prestazione e la valorizzazione delle misure conciliative. Tale esigenza appare ancora più impellente laddove vengono messe a rischio la parità di trattamento e opportunità sul luogo di lavoro che ancora oggi rappresentano, nel nostro Paese come nel resto del mondo, un problema duro a morire ma su cui si gioca la partita di civiltà e crescita produttiva a livello globale. L’auspicio è che la sensibilità istituzionale su questi temi possa maturare e che il caso toscano non costituisca un unicum per i giorni a venire nel panorama giurisprudenziale italiano.

 

Federica De Luca

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@0FedericaDeLuca

 

1Ordine di Servizio n. 3 del 17 luglio 2018 e n. 2 del 1° aprile 2019

 

La conciliazione vita-lavoro è un diritto soggettivo, la spinta propulsiva a livello nazionale arriva dal Tribunale di Firenze