La check list dell’Ispettorato del Lavoro dei trattamenti economici e normativi minimi per il diritto ai benefici normativi e contributivi (e non solo)

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Bollettino ADAPT 7 settembre 2020, n. 32

 

In una fase in cui le organizzazioni sindacali sono alle prese con l’occupazione e la ripresa del lavoro post emergenza sanitaria, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro in data 28 luglio 2020 pubblica una circolare in cui riprende il tema dell’applicazione del contratto collettivo e del rispetto dei trattamenti economici e normativi in relazione ai rinvii che la legge depone in favore dei contratti collettivi c.d. “leader”, cioè stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. L’atto sembrerebbe avere lo scopo di chiarire le posizioni dell’Ente riguardo alla materia, dopo un susseguirsi di interpretazioni che hanno ingenerato non poche confusioni.

 

Tema principale della circolare è quello riferito ai benefici normativi e contributivi che, secondo l’art. 1, comma 1175 della legge n. 296/2006, sono accessibili alle sole imprese che rispettino i contratti collettivi leader. Il termine “rispetto” previsto dalla norma ha generato dubbi e prese di posizione dei sindacati, da quelli storici a quelli minori, circa l’obbligatorietà dell’applicazione del CCNL, affiorando anche opzioni interpretative che riconoscono la possibilità di applicare contratti diversi purché nel rispetto dei trattamenti economici e normativi di quelli leader (in dottrina, al contrario, è stato evidenziato che il mancato riferimento, accanto al termine “rispetto”, al trattamento economico e normativo nell’art. 1, comma 1175 non è casuale in quanto il legislatore pone il datore di lavoro davanti ad una scelta: poter scegliere liberamente il contratto collettivo da applicare ai rapporti di lavoro nell’impresa oppure, in caso di accesso agli incentivi per l’occupazione attraverso la de-contribuzione, applicare integralmente determinati contratti collettivi; così A. Bellavista, La legge Finanziaria per il 2007 e l’emersione del lavoro nero, Working Paper C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” – IT, 2007, n. 55, spec. p. 24).

 

Lo storico orientamento dell’Ente, condiviso dagli altri istituti (cfr., in particolare, circolare INPS n. 51/2008, punto 4) che riteneva obbligatoria l’applicazione della parte economica e normativa del CCNL – escludendo, invece, la parte obbligatoria (ad esempio, la contribuzione dovuta agli enti bilaterali) al fine di non contrastare la libertà sindacale sancita dall’art. 39 Cost. – è stato messo in discussione già lo scorso anno, con la circolare n. 7/2019, in cui l’INL affermava che “al fine di verificare se il datore di lavoro possa o meno fruire dei benefici, [l’ispettore] dovrà svolgere un accertamento sul merito del trattamento economico/normativo effettivamente garantito ai lavoratori e non solo un accertamento legato ad una formale applicazione del contratto sottoscritto dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Dopo qualche mese, con la circolare n. 9/2019, l’INL ha ulteriormente chiarito che, sebbene non sia obbligatoria l’applicazione del CCNL leader, le imprese per usufruire dei benefici sono tenute a riconoscere ai propri lavoratori un “trattamento normativo e retributivo identico, se non migliore, rispetto a quello previsto dal contratto stipulato dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative”. Ciò ha fatto presumere che, concessa la libertà di applicazione di CCNL diversi, il disconoscimento dei benefici avviene anche qualora l’impresa deroghi in peius un solo istituto normativo, anche a fronte del rispetto dell’intero universo di istituti economici e normativi che disciplina il CCNL leader.

 

Con la nuova circolare n. 2/2020, seppur nel rispetto della libertà di scelta di diversi CCNL ai fini del riconoscimento dei benefici normativi e contributivi, l’INL pare non abbracciare più un’ottica universale di inderogabilità dei trattamenti economici e normativi del CCNL; piuttosto, ritiene utile adottare un’ottica comparativa tra diversi contratti, fornendo una prima sintetica tabella – suscettibile di integrazioni – di istituti retributivi e un elenco riportante nove trattamenti normativi inderogabili in senso peggiorativo, sui quali gli ispettori dovranno effettuare una verifica di equivalenza rispetto al CCNL leader. In particolare, la circolare fa riferimento:

 

a) alla disciplina concernente il lavoro supplementare e le clausole elastiche nel part-time;

b) alla disciplina del lavoro straordinario;

c) alla disciplina compensativa delle ex festività soppresse;

d) alla durata del periodo di prova;

e) alla durata del periodo di preavviso;

f) alla durata del periodo di comporto in caso di malattia e infortunio;

g) alla malattia e infortunio;

h) alla maternità ed eventuale riconoscimento di un’integrazione della relativa indennità per astensione obbligatoria e facoltativa;

i) al monte ore di permessi retribuiti.

 

Inoltre, il disconoscimento di eventuali benefici economici e normativi avviene solo qualora si evidenzi uno scostamento da parte di almeno due istituti normativi o, diversamente, nel caso in cui si riscontri l’erogazione di retribuzioni non uguali a quelle previste dai CCNL leader. È solo in questa prospettiva, secondo l’INL, che possono essere riconosciuti i benefici ai datori di lavoro che applicano contratti diversi, oppure che non applicano nessun contratto collettivo, purché rispettino almeno sette dei nove punti sopraelencati.

 

Comprendendo l’intento di “elaborare un primo prospetto, ad uso del personale ispettivo, esemplificativo delle clausole normative presenti nei CCNL sulle quali orientare la comparazione”, è doveroso evidenziare i limiti di un’operazione interpretativa tesa a riassumere in nove istituti normativi un esteso universo di istituti normativi che un contratto collettivo prevede. Questa opzione interpretativa, infatti, non è tesa a considerare il complesso sistema di regole su cui si basa una trattativa contrattuale, togliendo valore a quel sistema di relazioni industriali che regola un settore produttivo (non va infatti dimenticato che la trattativa per la stipulazione di un contratto collettivo ha una sua globalità, costruita attraverso reciproche concessioni per giungere poi ad un punto di incontro; sarebbe del tutto irrazionale, come osservato dalla Corte Costituzionale, “isolare una singola clausola e valutarla indipendentemente da un contesto della trattativa assai più ampio”, così Cort. Cost. 9 marzo 1989, n. 103). Il problema vero è semmai riuscire ad accertare se le tante associazioni sindacali c.d. minori, che siglano un cospicuo numero di contratti collettivi, esprimono nei propri statuti e nell’azione/organizzazione interessi che possono essere ricondotti all’art. 39 Cost. (G. Piglialarmi, La funzione del consulente del lavoro, Adapt University Press, 2020, p. 170 e ss.). Ma su questo fronte, non si registrano passi da parte della prassi amministrativa, né tantomeno da parte della giurisprudenza. Non va infatti dimenticato che molte delle organizzazioni “alternative” a quelle più rappresentative intravedono nella stipula dei contratti collettivi concorrenti con i CCNL leader solo un obiettivo intermedio, essendo interessati in realtà a tutta una serie di servizi che ruotano attorno ad un sistema associativo e che possono essere fonte di profitto (certificazione, formazione, costituzione di patronati etc.; sul punto v. G. Centamore, Contrattazione collettiva e pluralità di categorie, ed. Bonomia University Press, 2020, p. 69).

 

La circolare, inoltre, pone l’attenzione anche sul confronto della retribuzione globale nei CCNL che, secondo l’Ispettorato, è composta da “particolari elementi fissi della retribuzione e da quelli variabili quando questi “siano considerati come parte del trattamento economico complessivo definito dal contratto collettivo nazionale di categoria”.  È solo in questa ipotesi che la retribuzione variabile rientra nel TEC. Peraltro, nel confronto della retribuzione globale di un qualsiasi contratto collettivo con quella del CCNL leader, gli ispettori dovranno fare attenzione non solo ai minimi tabellari ma, a titolo esemplificativo, anche alle mansioni che potrebbero essere distribuite in maniera diversa (ad esempio raggruppando mansioni corrispondenti a più livelli retributivi, in un unico livello inferiore), al numero di mensilità, agli scatti di anzianità.

 

Davanti a questo scenario, si complica notevolmente la gestione del personale, in particolare per i consulenti del lavoro, che nel rispetto delle scelte datoriali, da un lato, e col dovere di non ledere i diritti dei lavoratori costituzionalmente tutelati, dall’altro, dovranno operare un continuo raffronto con il CCNL leader qualora l’impresa scelga di applicare un contratto collettivo siglato da sindacati minori o di non applicarne nessuno (in questo senso, si veda G. Piglialarmi, op. cit., pp. 153-154).

 

La circolare, infine, elenca una serie di materie che, a differenza di quelle precedentemente indicate, ritiene siano esclusivamente riservate ai CCNL leader e pertanto non possono essere oggetto di regolazione da parte di quei contratti collettivi sottoscritti da sindacati minori. Secondo l’INL le c.d. materie riservate sono rappresentate dalla disciplina dell’orario di lavoro prevista dal d.lgs. 66/2003, dalla disciplina delle principali tipologie contrattuali, dalla deroga ad alcune previsioni legali rimesse ai contratti di cui all’art. 51 del d.lgs. 81/2015 (in particolare, le collaborazioni coordinate e continuative (art. 2, comma 2 lett. a), le “ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore” (art. 3), le ipotesi di ricorso al lavoro intermittente (art. 13), i limiti di durata e i limiti quantitativi del contratto a tempo determinato (artt. 19 e 23), l’individuazione delle attività stagionali (art. 21), la disciplina del contratto di apprendistato (art. 42 e ss.) etc.). Anche questo passaggio lascia spazio a qualche critica.

 

Anzitutto, da questa esemplificazione restano esclusi gli accordi di prossimità ex art. 8 del decreto-legge n. 138/2011 e il contratto di riferimento nelle gare di appalto pubblico ex art. 30, comma 4 del d.lgs. 50/2016, istituti questi che pacificamente sono sempre stati ritenuti “accessibili” alle sole organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (e alle loro articolazioni locali) e ciò per le evidenti implicazioni (socialmente pericolose) che un’interpretazione estensiva potrebbe comportare (in un caso, la stipula di accordi in deroga alla legge da parte di sindacati poco affidabili; nell’altro, un’evidente alterazione del principio di leale concorrenza nell’aggiudicazione degli appalti). Inoltre, non si comprendere perché l’Ispettorato da un lato ritiene che la disciplina dell’orario di lavoro ex d.lgs. n. 66/2003 sia una materia riservata a determinati sistemi contrattuali; dall’altro, invece, include nelle materie non riservate – e quindi disponibili per i sindacati c.d. minori – la disciplina dello straordinario (che è uno dei tanti aspetti dell’orario di lavoro), con il solo limite di rispettare i parametri previsti dal CCNL leader.

 

In sintesi, dunque, sembra l’INL voglia salvaguardare il pluralismo sindacale, dando peso nel riconoscimento dei benefici normativi e contributivi anche a quegli accordi che, seppur stipulati da soggetti totalmente privi di una rappresentatività sindacale o datoriale, mantengano delle tutele retributive e normative minime pari o superiori a quelle previste dai CCNL leader.

 

Nonostante le criticità evidenziate, i chiarimenti forniti possono avere due effetti positivi: a) da un parte, viene fornita un’opzione interpretativa tesa a rendere più chiaro il quadro degli istituti normativi che il datore di lavoro deve riconoscere ai propri lavoratori sulla base del CCNL leader; b) dall’altra,  la circolare potrebbe avere ripercussioni importanti sul sistema di relazioni industriali governato dai sindacati minori che nell’ambito delle prossime trattative dei rinnovi contrattuali potrebbero (in realtà, dovrebbero) allineare gli accordi sui punti indicati dall’Ispettorato. Il tutto al netto della giurisprudenza (di merito), che potrà confermare la legittimità di questa interpretazione, nonostante sia in costante balia tra interpretazioni consolidate e soggettivismi giudiziari.

 

Giovanni Piglialarmi

Assegnista di ricerca presso il centro studi DEAL (Diritto Economia Ambiente Lavoro)
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Gio_Piglialarmi

 

Ruben Schiavo

Dottorato di ricerca in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

Università degli Studi di Siena

@ruben_schiavo

 

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