La centralità della tutela obbligatoria e la necessità delle politiche attive

Breve resoconto del seminario I licenziamenti dopo le recenti riforme: il dibattito teorico e nella giurisprudenza, Università Bicocca, Milano, 26 settembre 2016

 

Al seminario in materia di licenziamenti disciplinari tenutosi il 26 settembre 2016 presso l’Università Bicocca di Milano si è dibattuto sui radicali cambiamenti che hanno investito la disciplina delle tutele previste a seguito di un licenziamento ingiustificato. Il vigente D.Lgs 23/2015, in attuazione della Legge delega, c.d. Jobs Act, conferma l’abbandono del sistema di “tutele forti” (ossia che prevedono la reintegrazione) consolidatosi nel passato e, sulla scia della c.d. riforma Fornero, lo sostituisce con uno schema in cui la centralità, è conferita alla tutela obbligatoria.

 

Il lavoratore licenziato ingiustamente, nella quasi totalità dei casi, sarà soddisfatto con un’indennità monetaria, senza la possibilità di essere reintegrato nel posto di lavoro. Una scelta, quella effettuata prima dalla legge 92/2012 e poi confermata dal governo Renzi, che ha spiazzato parte della dottrina e la giurisprudenza, abituata a risolvere le cause d’impugnazione del licenziamento sulla base dell’art. 18 della L.300/1970 (c.d. Statuto dei lavoratori), ragionando dunque in maniera inversa, laddove la tutela reintegratoria costituiva la regola, in luogo di un’eccezionale tutela indennitaria.

 

Le posizioni emerse nel dibattito sono state quelle del prof. Armando Tursi e del prof. Arturo Maresca, i quali hanno concordemente affermato l’esistenza di una connessione tra la legge Fornero e il Jobs Act. Secondo il prof. Tursi, è necessario rileggere la legge Fornero alla luce del Jobs Act e viceversa, in modo da non giungere a conclusioni divaricate. In particolare, la specificazione contenuta nel d. lgs. n. 23/2015 che per “fatto” si deve intendere il fatto materiale non fa altro che ribadire ciò che già voleva dire la legge 92/2012, vanificata nella sua applicazione dai contrasti interpretativi e giurisprudenziali intervenuti per la qualificazione del “fatto” come materiale o giuridico: quando si parla di insussistenza del fatto, per “fatto materiale” o semplicemente “fatto” (come richiamato nella disciplina del 2012) bisogna intendere non il verificarsi dell’evento in sé e per sé, a prescindere da qualsiasi elemento soggettivo (dolo o colpa), ma un fatto che abbia rilevanza sul piano disciplinare. Nel momento in cui il fatto è privo di ogni connotazione disciplinare, questo non sussiste ed è quindi ammessa la reintegrazione.

 

Il prof. Maresca ha compiuto un ulteriore passo avanti, mostrando ancora un collegamento tra le due Riforme, effettuando un ragionamento che ha più a che fare con valutazioni di equilibrio del sistema.

Il professore ha richiamato l’attenzione sulla circostanza per cui il lavoratore non ha interesse a tornare da chi l’ha licenziato, poiché dovrebbe aver già trovato un nuovo lavoro, grazie all’apparato di politiche attive parallelamente creato e definito dal Jobs Act. Piuttosto, il lavoratore ha interesse al risarcimento del danno, soprattutto se si considera che nella maggior parte dei casi la reintegrazione si presentava come un mero ripristino del contratto di lavoro.

 

La tutela indennitaria, allora, non è l’unico strumento a fronte del licenziamento illegittimo. Essa fa parte di un quadro più complesso – venuto a compimento con il Jobs Act – che prevede il passaggio da una tecnica di ripristino del contratto ad una tecnica di ricollocazione del lavoratore, attraverso l’attuazione di politiche attive volte al reinserimento nel mondo del lavoro. In tal modo, non solo si assecondano inclinazioni personali e competenze acquisite, ma si dà vita anche ad un sistema più coerente con l’art. 4 della Costituzione.

 

D’altronde le iniziative di promozione dell’occupazione, di inserimento e reinserimento professionale, sono elementi su cui fanno leva i  modelli di flexicurity adottati da tempo dai vari ordinamenti europei e a cui quello italiano si ispira. Per il raggiungimento dell’obiettivo, determinante è la capacità delle istituzioni di prevedere un livello sufficiente di protezione sociale mediante una rete di servizi per il ricollocamento e per la formazione di chi ha perso il posto di lavoro. Affinché ciò possa realizzarsi, altrettanto necessaria è la predisposizione di risorse economiche in grado di mettere in moto tale rete (M. Tiraboschi, Jobs Act e ricollocazione dei lavoratori).

 

Ci si chiede dunque, se il nostro Paese sia oggi sul punto di concretizzare il sistema di servizi per il lavoro e di politiche attive promesse dal D.Lgs 150/2015, ma le cui misure sul tema del ricollocamento, finora, hanno stentato ad affermarsi (F. Seghezzi, M. Tiraboschi, Politiche attive: ultima chiamata).

 

Recentemente è circolata la notizia per cui sarebbe imminente l’avvio dell’assegno individuale di collocamento, previsto dall’art. 23 del D.lgs 150/2015. L’istituto si presenta come un voucher, ossia una dote individuale, assegnata su richiesta dell’interessato, a coloro che detengano i requisiti necessari e spendibile presso i centri per l’impego o i soggetti accreditati, al fine di ricevere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro. L’iniziativa è stata accolta fin dal principio da un’aurea di perplessità e diverse critiche sono state sollevate in particolare in merito alla scarsità delle risorse stanziate, per lo più da ricercare presso le regioni e al fatto che agli assegni si potrà accedere nei limiti della disponibilità di queste. Ci si chiede, inoltre, se i centri per l’impiego saranno in grado di prendersi carico dell’impegno e, prospettando un riscontro alle questioni dibattute, si attende l’effettiva attuazione della misura.

 

Manuela Bocciolone

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@Manu_Bocciolone

 

Alessia Battaglia

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@_alebattaglia

 

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