Jobs Act: il primo merito è il cambio di metodo

È difficile non riconoscere alla bozza di Jobs Act di Matteo Renzi il merito di aver smosso le acque di un dibattito sulle necessarie riforme del lavoro ancora troppo rivolto al passato, polarizzato nel confronto tra chi abolirebbe qualsiasi intervento dalla Legge Fornero in poi e chi ha sposato in pieno la logica del cacciavite del premier Letta, predicando prudenza e piccoli passi.
 
La proposta Renzi non si posiziona in nessuno di questi due estremi. Certamente non ha intenti conservatori rispetto all’impianto riformatore del 2003-2012. D’altra parte il segretario del PD ha capito che l’intervento a margine porta tante complicazioni e pochi vantaggi. Per questo preferisce uno shock nelle regole del lavoro che possa incoraggiare la propensione ad assumere delle imprese (correttamente ammettendo, tra l’altro, che non è la legge a creare posti di lavoro).
 
La novità del Jobs Act non è quindi da ricercarsi nelle misure individuate, invero tutte già presenti nel dibattito politico e dottrinale, ma nella volontà di superare le barriere ideologiche e nella disponibilità a raccogliere il consenso di chiunque per chiudere in tempi brevi un articolato normativo che può avere tanti difetti, ma non certo quello di essere timido e senza pretese.
 
Questo primissimo Bollettino evidenzia una vivacità impressionante di interventi e proposte scaturite dalla presentazione del piano sul lavoro renziano che non si registrava dai tempi del Libro Bianco di Marco Biagi. L’attivazione di un confronto di così vasta scala è certamente un merito da ascrivere all’iniziativa del segretario PD.
 
Riconosciuta la concretezza del metodo e dell’intenzione, si possono commentare le singole proposte, senza dimenticare che si tratta ancora di poco più di titoli generali da riempire di contenuti tecnici.
 
A una prima lettura appaiono positivi gli intendimenti in materia di semplificazione, agenzia federale del lavoro, valutazione della formazione e partecipazione. Qualche perplessità destano invece le proposte in materia di contratto di inserimento (non definito “unico”!), legge sul sindacato e assegno universale.
 
Renzi si dimostra figlio della sua epoca in materia di semplificazione: non riesce a non associare a un’idea condivisa da tutti (la riduzione del numero delle norme) un desiderio di drastica riduzione delle tipologie contrattuali che porti a un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti, parente dell’araba fenice del diritto del lavoro, ovvero quel “contratto unico” sostenuto in forme diverse da tanti politici e professori, ma incapace di abbandonare le aule di università per entrare nelle imprese.
 
Figlia della semplificazione, se correttamente composta e responsabilizzata, sarebbe anche l’Agenzia Unica Federale per coordinare i centri per l’impiego, l’erogazione degli ammortizzatori sociali e la formazione. Quest’ultima, quando sussidiata dal pubblico, dovrebbe essere, nei piani del sindaco di Firenze, rendicontata in trasparenza e costruita sulle esigenze dell’impresa.
 
Il messaggio sulla partecipazione, per quanto stranamente declinata solo nell’ottica, la più delicata, della partecipazione dei lavoratori ai Consigli di Amministrazione, denota una visione delle relazioni di lavoro tutto sommato cooperativa e non distruttiva. Anche per questo stupisce la pressione sul Parlamento per l’approvazione di una legge sindacale, contradditorio messaggio di sfiducia verso la capacità autoregolatoria e l’indipendenza delle associazioni datoriali e sindacali.
 
Molto “sindacale”, invece, il passaggio dedicato all’assegno universale per disoccupati, che è materia talmente incidente sul disastrato bilancio pubblico che merita di essere trattata con precisione solo quando sarà dettagliata in un testo di legge vero e proprio.
 
Luci e ombre assolutamente da non demonizzare, ma con le quali confrontarsi per valutarne gli effetti e – perché no? E’ stato lo stesso Renzi a chiederlo – provare ad intervenire correggendo le storture più pericolose.
 
Questo Bollettino speciale intende fare proprio questo: fornire un contributo alla ricostruzione di un dibattito molto variopinto, da arricchire con il punto di vista dei nostri ricercatori e, ci auguriamo, dei nostri lettori.
 
Emmanuele Massagli
@EMassagli
 
Flavia Pasquini
@PasquiniFlavia
 
Silvia Spattini
@SilviaSpattini
 
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