Jobs Act e la riforma dei licenziamenti collettivi: prime osservazioni

Lo scorso 24 dicembre, il Consiglio dei Ministri ha presentato i due decreti attuativi del cosiddetto “Jobs Act”, di attuazione della legge delega[1] per la riforma del lavoro approvata dal Parlamento all’inizio del mese di dicembre 2014: uno riguarda il “contratto a tutele crescenti” e l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, l’altro gli “ammortizzatori sociali”.

Quanto al primo, sono state introdotte delle novità in merito al regime sanzionatorio applicato, per quel che qui interessa, ai licenziamenti collettivi, ferma restando la disciplina di cui alla Legge n. 223/1991.

 

In particolare, in caso di illegittimità, si prevedono le seguenti conseguenze:

la reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni che lo stesso avrebbe percepito dalla data della perdita del lavoro sino a quella dell’effettiva riammissione in servizio in caso di licenziamento intimato senza forma scritta;

il pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità in caso di violazione di una delle regole procedurali previste dalla Legge n. 223/1991, oppure dalla violazione dei criteri di scelta legali o contrattuali ex art 4 della medesima.

Resta inteso che, laddove fosse appurato che il carattere discriminatorio del licenziamento intimato, ancorché nell’ambito della procedura di cui alla L. 223/1991, il decreto attuativo approvato dispone che il Giudice ordini la reintegrazione del lavoratore quando ravvisi “la nullità del licenziamento perché discriminatorio ovvero riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge” indipendentemente dal motivo formalmente addotto.

 

L’art. 3 della legge 108/1990 definisce il licenziamento discriminatorio attraverso il rinvio ad altre due norme specifiche: la prima è l’art 4 della legge 604/1966 (licenziamento determinato da credo politico, religioso, dall’appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali); la seconda è l’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori così come integrato da disposizioni successive che ne hanno esteso la portata.

Alla luce delle considerazioni svolte, in sostanza, la novità principale introdotta dal decreto attuativo in esame nell’ambito dei licenziamenti collettivi consiste nell’aver circoscritto l’ipotesi della reintegrazione al solo caso del licenziamento intimato in forma orale ovvero discriminatorio.

 

E’, quindi, facile prevedere che – come già accaduto per i licenziamenti individuali dopo l’introduzione della Legge Fornero – le impugnazioni dei licenziamenti collettivi si “arricchiranno” quasi automaticamente di una domanda principale concernente la discriminatorietà del licenziamento e solo in via subordinata lamenteranno la violazione dei criteri di scelta.

 

A questo proposito, sarà quanto mai interessante verificare come la giurisprudenza e, in particolare, le varie Corti di merito sapranno tracciare la distinzione tra le due casistiche, che potrebbero presentare aree grigie di sovrapposizione; in altri termini, verificare quando un violazione dei criteri di scelta è anche discriminatoria e, quindi, capace di determinare il reintegro.

Ricordo, a questo proposito, che, secondo la Legge Fornero, un licenziamento è discriminatorio quando la discriminazione costituisce il “motivo unico e determinante” del licenziamento, concetto che i vari Tribunali stanno interpretando con diverse sfumature di rigore.

Nelle altre ipotesi, ivi compresa la violazione dei criteri di scelta, si prevede la sola corresponsione dell’indennità risarcitoria.

 

Come è noto, il tema è assai sentito e si presenta assai sovente – per non dire sempre –nell’affrontare un licenziamento collettivo, soprattutto con riferimento al criterio tecnico-organizzativo e a quello della possibilità di identificare “unità operative” autonome nell’ambito delle quali potere circoscrivere la selezione (tema, questo, assai delicato nelle imprese con tante uffici e sedi locali).

Ciò detto, si precisa che le suddette novità trovano applicazione solo nei confronti degli assunti successivamente all’entrata in vigore del suddetto decreto attuativo

 

Ne consegue che si viene a determinare una disparità tra i vari lavoratori licenziati in una procedura collettiva per violazione dei criteri di scelta ex art 4 Legge 223/1991 prima dell’attuale Riforma, che mantengono il diritto ad essere reintegrati in caso di licenziamento dichiarato dal Giudice illegittimo, e quelli assunti dopo l’entrata in vigore della Legge 183/2014(Jobs Act) ai quali invece verrebbe negato il rimedio della reintegrazione ma applicato solo l’indennizzo economico.

Quanto agli effetti della Legge n. 183/2014 non rimane che attendere le prime applicazioni.

 

[1] La legge n. 183/2014 in Gazzetta Ufficiale del 16 Dicembre 2014.

 

Scarica il pdf pdf_icon

 

 

Cristina Guelfi

@Cristin50039334

Jobs Act e la riforma dei licenziamenti collettivi: prime osservazioni
Tagged on: