Invecchiamento della forza lavoro: esistono alternative all’allungamento delle carriere lavorative?

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Bollettino ADAPT 22 febbraio 2021, n. 7

 

Il 27 gennaio 2021, la Commissione europea ha reso pubblico il documento denominato Green Paper on Ageing attraverso il quale intende dare continuità al dibattito politico sulle sfide poste dall’invecchiamento demografico, con specifico riferimento al mondo del lavoro.

Il “Libro Verde” sviluppa diversi temi: dalla promozione di stili di vita sani, al cosiddetto apprendimento permanente, al rafforzamento dei sistemi e assistenziali e sanitari al fine di rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più anziana.

Di particolare interesse quanto la Commissione europea dichiara in merito a quelle che vengono definite, e sviluppate all’interno del quarto paragrafo del documento, come le “new opportunities and challenges in retirement”.

 

Come più volte sostenuto anche dalla stessa istituzione europea in anni precedenti, nel Green Paper viene ribadito che “never before in European history have so many people enjoyed such long and healthy lives. More people than ever remain active for longer, extend their work careers and participate in social activities after retiring. Thanks to healthier lifestyles and medical progress (improved prevention, diagnosis and treatment of disease), most retirees are fit and can choose how to spend their time. These new realities change our perception of ageing”.

 

Il punto di partenenza è, dunque, l’invecchiamento demografico, fenomeno che contraddistingue la popolazione europea e soprattutto quella italiana. Questo elemento, inevitabilmente, influenza e determina l’invecchiamento della forza lavoro (anche se non è l’unico elemento da prendere in considerazione) e quindi, il fatto di vivere più a lungo, in una maniera più sana rispetto al passato, secondo la Commissione dovrebbe far “cambiare la nostra percezione sull’invecchiamento” propendendo “verso carriere lavorative più lunghe”.

 

Ma come è possibile realizzare questo obiettivo?

Una delle strade percorribili, che nel tempo l’Europa ha sempre indicato come auspicabile, è quella di riformare il sistema pensionistico. Sempre all’interno del Green Paper viene evidenziato che “longer working lives are a key answer to this. According to the most recent Eurostat population projection, the EU old age dependency ratio in 2040 would only remain at the same level as in 2020 if working life were extended to the age of 70. There are, however, significant variations between Member States, which show the different challenges across Europe. To keep the national old age dependency ratio constant in 2040 relative to 2020, projections suggest that Malta, Hungary and Sweden would have to extend working life only to 68, while Lithuania and Luxembourg would have to extend it to 72. Already in 2019, the old age dependency ratio varied substantially from 22 in Luxembourg to 39 in Italy and 38 in Finland”.

 

Riformare il sistema pensionistico, in un’ottica di allungamento della vita lavorativa, secondo la Commissione Europea potrebbe risponderebbe a diverse sfide. In primo luogo, risponderebbe a necessità di sostenibilità finanziaria ed economica dei sistemi previdenziali degli Stati membri. Secondariamente, permetterebbe ai cittadini di lavorare più a lungo, tenuto conto della necessità di tenere sotto controllo l’indice di dipendenza della vecchiaia, dato dal rapporto tra gli over 65 (popolazione inattiva) e chi ha un’età compresa tra i 20 e i 64 anni (popolazione attiva).

 

Seppur condivisibile quantomeno sotto un profilo della logicità, è necessario tuttavia chiedersi se è possibile utilizzare questo tipo di impostazione con riferimento alla situazione del mercato del lavoro italiano.

Rielaborando le informazioni presenti all’interno della banca dati ISTAT è possibile riscontrare che nel 2017 (ultimo anno disponibile) i lavoratori dipendenti totali italiani sono circa 12.2 milioni di cui circa 3.5 milioni con un’età superiore ai 50 anni. Procedendo con la scomposizione di questo dato, si può osservare che la categoria di prestatori di lavoro operaia conta, nel medesimo anno, 6.7 milioni di lavoratori di cui circa 2 milioni di over 50.

 

Nel 2012 (primo anno disponibile) i lavoratori totali italiani, invece, sono circa 12.7 milioni di cui circa 2.5 milioni con un’età superiore ai 50 anni. Procedendo, anche in questo caso, con la scomposizione del dato, si può osservare che la categoria di prestatori di lavoro operaia conta, nel medesimo anno, 6.3 milioni di lavoratori di cui circa 1.4 milioni di over 50.

 

In termini percentuali si può affermare che nel 2017:

– il 29% circa dei lavoratori totali ha un’età superiore ai 50 anni. Nel 2012 il dato si attestava al 20% circa.

– la categoria operaia, rispetto al totale dei lavoratori, risulta essere il 55% circa. Nel 2012 il dato si attestava a circa il 50%.

– di questo 55% di lavoratori, circa il 30% risulta essere over 50. Nel 2012 il dato si attestava al 22% circa.

– in generale, all’interno del più gruppo di osservazione “lavoratori over 50”, la categoria operaia risulta essere circa il 57%. Nel 2012 il dato si attestava al 56% circa.

 

Come possono essere interpretati questi dati?

Sicuramente, in prima battuta, anche queste semplici informazioni confermano un andamento crescente del fenomeno invecchiamento della popolazione lavorativa italiana. Basti solo pensare al delta pari a circa il 9% calcolato come differenza tra la percentuale di lavoratori over 50 sui lavoratori totali del 2017 (29%) e quelli del 2012 (20%).

Successivamente, si segnala che si è ritenuto opportuno una menzione particolare alla categoria operaia all’interno del dibattito sull’adeguatezza dell’allungamento delle carriere lavorative in quanto questa categoria, rispetto agli impiegati, quadri e dirigenti svolge tendenzialmente mansioni più faticose e logoranti e, rispetto al gruppo di osservazione “lavoratori over 50”, risultano essere la categoria di prestatori di lavoro prevalente, pari al 57% nel 2017.

 

A ben vedere, le domande che si aprono non sono poche.

Anche in un contesto connotato da importanti trasformazioni tecnologiche, che hanno operato verso una riduzione della fatica dei lavoratori, rimane comunque giusto, anche da un punto di vista sociale, richiedere oggi ad un operario di svolgere i propri compiti e le proprie mansioni per ancora più tempo? (orientativamente fino ai 70 anni).

 

L’organizzazione aziendale delle imprese italiane ha oggi già gli strumenti per poter creare quelle condizioni che permetterebbero un allungamento delle carriere per questi lavoratori? Nell’ipotesi positiva, quali sarebbero? Nell’ipotesi negativa, quali potrebbero essere e, visto anche l’interesse pubblico della questione (sostenibilità dei sistemi previdenziali) lo Stato è tenuto ad intervenire nella costruzione di tali strumenti?

Fatto salvo l’interesse pubblico (sostenibilità dei sistemi previdenziali), è veramente nell’interesse delle parti – imprese e lavoratori – allungare le carriere lavorative? È nell’ipotesi positiva, esistono sistemi di relazioni industriali capaci di affrontare questo tema?

 

Sul piano legislativo, quando vengono prese in considerazione, come soluzione all’invecchiamento l’allungamento delle carriere dei lavoratori, le riforme del sistema pensionistico, effettivamente si pone l’attenzione sulla forza lavoro che invecchia o sul lavoratore anziano? Non è un tema di “utilizzo corretto della nomenclatura” in quanto, se ci si ponesse un problema di forza lavoro che invecchia, in particolar modo in Italia, al fine di abbassare l’età media della forza lavoro, l’attenzione potrebbe essere spostata non tanto sull’allungamento delle carriere lavorative quanto, invece, al contrasto della disoccupazione giovanile che, secondo i dati ISTAT, si attesa, a dicembre 2020, per la classe 15-24 anni al 29,7% e per la classe 25-34 anni al 13,9%. Il risultato sarebbe quello di un abbassamento dell’età media e quindi di invertire il trend crescente dell’invecchiamento della forza lavoro.

 

In conclusione, in un’ottica di diminuzione del fenomeno dell’invecchiamento della forza lavoro, possono essere contemplate misure alternative all’allungamento della carriera lavorativa, soprattutto per gli operai che non solo risultano essere la categoria prevalente (nel 2017 più di un lavoratore su due in Italia è un operaio) ma che è anche contraddistinta dal fatto di svolgere mansioni in qualche modo più gravose rispetto ad altre categorie?

 

Stefano Rizzotti

Scuola di Dottorato di ricerca in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@ste_rizzotti

 

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