Imprese e alternanza nella “Buona Scuola”. A tu per tu con Federico Visentin

La Buona Scuola, già dal documento di settembre 2014, ha dato ampio spazio all’alternanza scuola-lavoro e più in generale alla formazione on the job. Pensa che si tratti di una svolta per il nostro sistema educativo o non basterà? Stiamo andando verso un sistema duale all’italiana più sistematico e coerente con il nostro tessuto produttivo?
 
L’alternanza scuola-lavoro è l’elemento portante di interi sistemi educativi, è un nuovo modo di concepire la cultura e il ruolo formativo dell’impresa. Le ricerche internazionali evidenziano la crisi profonda della tradizionale istruzione secondaria e la crescente insofferenza dei giovani verso l’insegnamento ex cathedra, ponendo invece l’accento sul learning by doing. Nel nostro Paese abbiamo 700mila giovani disoccupati, oltre 2 milioni di NEET e una dispersione scolastica del 17,6% tra le più alte in Europa; a fronte di ciò abbiamo anche una carenza annua di tecnici intermedi pari a 46.000 unità che potrebbero essere occupati nelle imprese se avessero la professionalità adeguata. Il consistente disallineamento tra le competenze rese disponibili dal sistema scolastico e formativo e le opportunità generate dall’industria crea diseconomie. L’alternanza scuola-lavoro, che non si riduca a uno o più stage né al solo apprendistato, ma che si caratterizzi per essere una vera e propria combinazione di preparazione scolastica e di esperienze assistite sul posto di lavoro, coprogettata da imprese e scuola, costituisce un valido strumento per incrementare l’occupabilità dei giovani. In Europa i modelli di alternanza sono di due tipi, il notissimo modello duale alla tedesca e il modello integrato, che vede la centralità della scuola affiancata dalle imprese. Quest’ultimo è senz’altro quello che meglio si adatta al nostro sistema di istruzione. Il lavoro che il Governo sta facendo per dare attuazione ai principi espressi nel documento “La Buona Scuola” sul tema dell’alternanza è da noi assolutamente condiviso, speriamo non ci siano marce indietro nell’iter di approvazione parlamentare.
 
Riforma della scuola e riforma del lavoro, pur con frenate e deviazioni, stanno viaggiando in parallelo. In questo quadro anche l’apprendistato, che è il ponte tra formazione e lavoro, sta subendo delle modifiche. Che idea si è fatto sulle novità che riguardano l’apprendistato nel Jobs Act? E, sul fronte scuola, che fine farà la sperimentazione dell’apprendistato a scuola prevista dal decreto Carrozza?
 
L’apprendistato di primo e terzo livello, rappresenta l’altra gamba del sistema duale italiano. Chiaramente l’apprendistato è selettivo avendo una natura contrattuale, difficilmente, quindi, riguarderà un’ampia platea di studenti. Le modifiche apportate dal Jobs Act vanno nella giusta direzione in quanto semplificano in maniera importante l’istituto recependo anche sperimentazioni avviate da grandi imprese quali ENEL, oltre a prevedere un abbattimento dei costi sia dal punto di vista retributivo che contributivo.
 
Federmeccanica con il progetto pilota “Traineeship” ha in qualche modo anticipato i contenuti della riforma della scuola sull’alternanza. Ci può spiegare più in dettaglio in cosa consiste il progetto e quante scuole sono coinvolte? Come è diventato un modello e come può diffondersi nel Paese?
 
L’azione pilota Traineeship è stata condivisa con il MIUR, è infatti un allegato del Protocollo che abbiamo firmato con il Ministero lo scorso giugno. In essa sono stati anticipati tutti i principi sull’alternanza divenuti poi oggetto della riforma in atto. Traineeship intende fare del periodo di formazione in impresa un elemento irrinunciabile del percorso curricolare, riconoscendone la piena “equivalenza formativa” ai fini dei risultati di apprendimento; puntare al potenziamento dei soft skills, soprattutto in vista dello sviluppo della personalità degli studenti e promuovere la loro motivazione al/nel lavoro; realizzare un modello didattico di tipo universalistico e non selettivo, come nel caso dell’apprendistato, in cui le scuole e le imprese si impegnano a garantire a tutti gli studenti coinvolti un’esperienza lavorativa intesa come parte integrante del curricolo.
Per raggiungere tali obiettivi è stato necessario prevedere: la progettazione congiunta dei percorsi di alternanza, la previsione di un periodo di alternanza significativo, 600 ore, nell’ultimo triennio dell’istruzione tecnica e professionale, la partecipazione di tutta la classe all’esperienza in azienda. Il valore aggiunto di questa esperienza rispetto a tutte quelle finora realizzate è che si sviluppa su tutto il territorio nazionale, saranno coinvolte 50 scuole nell’anno scolastico 2015-2016 che diventeranno 100 l’anno successivo, e queste scuole sono dislocate in tutte le Regioni italiane. Puntiamo, così, a fare sistema, attuando una vera azione di contaminazione di questo modello.
 
Da imprenditore ci può dire quali sono le difficoltà pratiche che più di tutte bloccano il collegamento tra scuola e impresa? Troppa burocrazia? Costi troppo onerosi? Pochi incentivi? Quali sono invece i vantaggi per l’azienda, sia nel breve che nel lungo periodo?
 
Sicuramente di burocrazia nel nostro Paese ce n’è sempre troppa. Basti pensare a tutte le questioni, fondamentali intendiamoci, legate alla sicurezza e alle visite mediche obbligatorie per gli studenti per accedere ai percorsi di alternanza. Non è mai stato chiaro a carico di chi fossero e soprattutto rappresentavano e continuano a rappresentare un notevole costo per l’impresa. Il disegno di legge chiarisce che la formazione sulla sicurezza si svolge a scuola e viene anche certificata. Credo che una delle difficoltà sia anche l’assenza di partecipazione dell’azienda alla fase di progettazione dei percorsi: l’impresa, che viene coinvolta solo per firmare una convenzione alla quale si chiede di accogliere ragazzi per un numero spesso troppo esiguo di ore, ne vede solo l’onere e nessun vantaggio. Noi nel progetto Traineeship chiederemo alle aziende di mettere a disposizione durante tutto l’anno scolastico un numero di posti per l’alternanza occupati, a rotazione, da studenti. L’impegno non è di poco conto, per questo stiamo pensando insieme al MIUR, e il DDL scuola ci dà una mano, ad una forma di accreditamento delle aziende virtuose che contribuiscono con responsabilità a questa sfida.
Sul tema degli incentivi, vorrei rifarmi al modello tedesco che tanto invochiamo quando parliamo di alternanza. Ebbene, il Paese maestro del modello duale ha previsto sia la defiscalizzazione per le imprese che accolgono studenti, sia la contribuzione delle istituzioni a vari livelli (nazionale e di land) nell’aiutare le aziende ad attrezzarsi per l’accoglienza e la formazione. Ritengo fondamentale, se ci crediamo tutti, imprese e istituzioni, mettere a disposizione delle imprese incentivi per la fase di avvio e prevedere agevolazioni contributive o fiscali a regime. Le imprese, e la società tutta, avranno un vantaggio nella collaborazione perché significa maggiore e migliore occupabilità e maggiore coerenza tra la domanda di competenze delle imprese e l’offerta scolastica.
 
Come sta cambiando il lavoro in Italia e come sta cambiando nel settore meccanico? Quali sono le figure che le imprese meccaniche cercano di più e come il sistema scolastico può rispondere meglio ai vostri fabbisogni? Ci sono percorsi privilegiati per l’ingresso in azienda, ad esempio gli ITS?
 
Stiamo attraversando un periodo di grandi trasformazioni, talmente importanti che possiamo dirci all’inizio di una nuova era: il futuro non sarà solo macchine e tecnologie: l’interazione tra meccanica, robotica, elettronica e informatica, l’Internet delle Cose, la capacità di sfruttare i big data e l’intelligenza artificiale, tutto ciò è parte integrante di una nuova rivoluzione industriale e culturale nella quale la conoscenza è diventata ormai la principale leva. Più che di quali figure professionali, vorrei raccontare quali competenze cercano le imprese meccaniche.
Federmeccanica, nell’ambito del progetto IMO finanziato da Fondirigenti, ha realizzato un’indagine sulla domanda di competenze delle imprese rispetto ai diplomati tecnici. Hanno aderito 563 imprese, prevalentemente PMI, che hanno fornito riscontri su quasi 900 profili aziendali. I dati raccolti mostrano che le aziende considerano particolarmente rilevanti non soltanto le competenze necessarie per eseguire il lavoro assegnato (competenze tecniche), ma anche quelle che evidenziano potenzialità idonee ad affrontare i repentini cambiamenti che l’industria sta vivendo (competenze comuni). La flessibilità, quindi, intesa come la capacità di adattarsi e di raccogliere la ricchezza delle opportunità derivanti dalla discontinuità, il farsi carico delle responsabilità, la capacità di leadership, sono caratteristiche e competenze fondamentali richieste dalle imprese alle persone che con esse collaborano contribuendo al loro successo. Tutto ciò nei percorsi ITS è ben presente, basti pensare che l’80% in media, il 100% in molti territori, di studenti ITS in uscita, trovano lavoro nell’arco di tre mesi. Da questo punto di vista l’ITS rappresenta, senz’altro, un percorso privilegiato, e per questo vorremmo trasferire, con i dovuti distinguo organizzativi, il suo modello nell’alternanza scuola lavoro.
 
* Federivo Visentin, Vicepresidente di Federmeccancia con delega Education. Presidente e Amministratore delegato di MEVIS. Alla sua azienda è stato assegnato nel 2014 il BoQue “Bollino Qualità Educativa” dal MIUR come uno dei migliori modelli di impresa partner per l’alternanza scuola-lavoro in Italia.
 
Alfonso Balsamo
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@Alfonso_Balsamo
 
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