Il welfare fiscale. Alcuni limiti etici

Radicali ristrutturazioni nei confini fra responsabilità private e pubbliche non sembrano oggi all’ordine del giorno per i servizi sociali del nostro paese. Diversi sono, però, i segnali di potenziamento progressivo del welfare fiscale, intendendo per quest’ultimo l’uso della leva fiscale ai fini del sostegno del welfare.

Da un lato, vi sono precisi atti politici. La legge di stabilità per il 2016 ha esteso la detassazione di alcune spese di welfare effettuate dai datori di lavoro a favore dei dipendenti e, benché i decreti attuativi non siano ancora definiti, le agevolazioni hanno un peso importante nella legge delega di riforma del terzo settore approvata lo scorso 25 maggio dal Parlamento. Un rafforzamento dell’incentivazione al welfare aziendale è anche all’ordine del giorno della legge di stabilità per il 2017. Al contempo, nel 2016, il finanziamento pubblico per un servizio centrale quale è il Servizio Sanitario Nazionale è stato tagliato di 5 miliardi rispetto alla versione originaria del Patto per la salute 2014-2016, scendendo da 116 a 111 miliardi (cfr. G. Turati, Soldi alla sanità: una scelta tutta politica, in www.lavoce.info, 20 settembre 2016).

Da un altro lato, vi è un’opinione pubblica sempre più insoddisfatta della qualità dei servizi pubblici, non importa se a seguito anche del disinvestimento che tali servizi hanno subito. Vi sono, poi, i noti vincoli di bilancio, i quali non permetterebbero più di finanziare il welfare che abbiamo conosciuto e, tanto meno, i nuovi rischi sociali. In tale contesto, le agevolazioni fiscali sarebbero benvenute in quanto attiverebbero risorse private aggiuntive. Peraltro, punto non irrilevante, le agevolazioni fiscali sono tipicamente percepite (e contabilizzate) come riduzione della pressione fiscale anziché come spesa nonostante ne siano l’equivalente.

Il welfare fiscale può assumere una molteplicità di configurazioni. In questa sede mi concentro sulle agevolazioni a sostegno della domanda di beni e servizi di welfare. La tesi che intendo sostenere è che il welfare fiscale contempli iniquità distributive e rischi di basarsi su una visione fallace del rapporto fra libertà e uguaglianza.

Incominciamo dalle iniquità distributive. Se introdotte in ambito aziendale e occupazionale, le agevolazioni beneficiano unicamente un gruppo di lavoratori: chi ha la fortuna di essere occupato in imprese e/o in settori che offrono tutele addizionali. Gli altri restano scoperti. Incidentalmente, è curioso che i difensori delle agevolazioni tendano, invece, a diventare i più fieri oppositori della dualizzazione nel mercato del lavoro quando in gioco è la riduzione dei diritti dei lavoratori. In ogni caso, sia che riguardino il contesto aziendale/occupazionale sia che sostengano la domanda di singoli acquirenti, le agevolazioni sono una spesa che è finanziata da tutta la collettività, ma  di cui beneficia esclusivamente chi, fra i contribuenti, ha risorse sufficienti a acquistare tutele aggiuntive rispetto a quelle universalmente disponibili…

 

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