Il voucher funziona? Ammazziamolo

Contrariamente a quanto deciso in una precedente riunione, il Consiglio dei ministri (in vista dei ballottaggi?) ha deciso di varare lo schema di decreto delegato correttivo della disciplina dei voucher. In pratica, il provvedimento si limita ad estendere al lavoro accessorio la comunicazione preventiva già esistente per il lavoro intermittente, con deroghe per quanto riguarda i settori dell’agricoltura e del lavoro domestico. L’iniziativa è stata colta con favore dai sindacati, anche se essi reclamano ulteriori giri di vite, consistenti in una rigida delimitazione dei settori in cui l’uso di tale strumento sia consentito (vanificando, così, la portata innovativa della legge n.92 del 2012 in materia).

 

L’aspetto più singolare della vicenda, però, lo si ritrova nel modo e negli argomenti con i quali è presentato il problema all’opinione pubblica. L’uso crescente dei voucher viene descritto alla stregua di un virus pernicioso che si diffonde incontrastato condannando quanti ne sono colpiti alla peggiore delle malattie: la precarietà. Pertanto, le correzioni non sono viste come aggiustamenti di una normativa utile, ma come il primo passo nella lotta di liberazione del c.d. precariato. E’ noto, infatti, che nel corso degli ultimi anni, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio è sensibilmente cresciuto, passando dai poco meno di 10 milioni di voucher venduti nel 2010 agli oltre 115 milioni del 2015. Il maggiore impulso alla diffusione del lavoro accessorio è venuto certamente da quanto previsto nella L. n.92/2012, tenuto conto del fatto che dal 2013 in poi il numero di buoni venduti cresce a ritmi superiori al 65 % annuo. (tab.1)

 

  1. Voucher venduti, anni 2008-2015
Anno Voucher venduti Variazioni su anno precedente
Assolute %
2008 535.985
2009 2.747.768 2.211.783 412,7
2010 9.699.503 6.951.735 253,0
2011 15.347.163 5.647.660 58,2
2012 23.813.978 8.466.815 55,2
2013 40.787.817 16.973.839 71,3
2014 69.181.075 28.393.258 69,6
2015 115.079.713 45.898.638 66,3
Fonte: INPS

 

Si dimentica, però, di aggiungere che, in sostanza, da quando le norme sono in vigore fino al primo trimestre dell’anno in corso, grazie ai 300 milioni di voucher venduti, sono stati erogati 3 miliardi di euro (di cui 750 milioni a copertura di oneri sociali e dei relativi costi). Alla fine del 2015 ben 2,38 miliardi erano stati incassati (1,7 miliardi al netto). Quante di queste risorse sono state sottratte al lavoro nero e quante corrispondono invece a rapporti truffaldini che nascondono (e violano) tipologie di assunzione più stabili e tutelate ? A queste domande è difficile fornire risposte univoche e compiute, ma ci si può avvicinare alla realtà dei fatti, riflettendo con onestà intellettuale sui dati, solitamente ignorati dai commentatori perché ‘’fa più notizia’’ colpire l’immaginario collettivo quando si parla di abusi e di illegalità diffusa.

 

Eppure le statistiche – che potrebbero tracciare un esile varco di luce nelle tenebre del ‘’luogocomunismo’’ – esistono ed hanno persino un carattere ufficiale. Basterebbe leggere la relazione tecnica che accompagna il testo dello schema di decreto legislativo, nella quale è richiamato l’ultimo rapporto sull’utilizzo dei voucher, elaborato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 22/03/2016. Il documento – oltre a confermare, come se l’attuale Governo volesse ‘’lavarsene le mani’’, che l’aumento del ricorso al lavoro accessorio è stato registrato in seguito all’eliminazione dei limiti soggettivi e oggettivi all’istituto ad opera della legge n. 92 del 2012, che ha prodotto i suoi effetti a partire dal mese di luglio 2012 – diffonde altri dati di monitoraggio molto interessanti e significativi.

 

L’importo lordo riscosso mediamente da ciascun lavoratore ha raggiunto il valore massimo nel 2011 (677,12 euro), mentre nel 2015 si è attestato sui 633 euro annui medi. Sotto questo profilo, il rapporto evidenzia che «non sembra avere avuto effetto significativo l’aumento a 7mila euro del compenso complessivo per singolo lavoratore introdotto a giugno del 2015 con il D.Lgs. 81. Il 64,8% dei prestatori ha riscosso nel 2015 meno di 500 euro di valore complessivo. Il 20% ha superato i mille euro». Il rapporto evidenzia, inoltre, che i settori in cui l’uso dei voucher risulta più significativo sono stati, nel 2015, il commercio, il turismo e i servizi, e che il settore agricolo si colloca all’ultimo posto. Per quanto concerne – la considerazione serve a fare chiarezza – l’effetto di sostituzione di precedenti rapporti di lavoro, il rapporto ministeriale mette in luce che, nel 2015, solo il 7,9% dei lavoratori retribuiti con voucher avevano avuto nei tre mesi precedenti un rapporto di lavoro (la percentuale sale al 10% se si prende a riferimento un periodo di sei mesi).

 

Dall’analisi compiute, il rapporto trae la conclusione che «i dati relativi al 2015 non mostrano, comunque, una crescita del dato successiva al riordino dei contratti operato a giugno col D.Lgs. 81/2015: le percentuali di sostituzione, anzi, da luglio decrescono.». È dunque difficile ipotizzare – sottolinea il Ministero – che il lavoro accessorio abbia rappresentato un’alternativa rispetto ad altre forme di rapporto di lavoro, se non eventualmente per il settore turistico con l’avvertenza che le prestazioni lavorative compensate con i voucher potrebbero essere state precedentemente rese nell’ambito di un contratto di lavoro intermittente o addirittura in modo irregolare.

 

A conferma della difficoltà di instaurare una relazione certa tra l’utilizzo dei voucher e il ricorso ad altre forme di lavoro più stabili, si evidenzia che i percettori di voucher non sono in genere lavoratori esclusivi. Un’analisi effettuata dall’INPS riferita al 2014, incrociando i dati provenienti da archivi diversi, ha evidenziato come su circa un milione di percettori, 400mila erano privi di altra posizione (categoria che include gli studenti impiegati nell’agricoltura), 281mila erano attivi anche come lavoratori dipendenti, 168mila erano nello stesso anno percettori di indennità di disoccupazione o mobilità e 97mila risultavano percettori di una pensione.

 

Al solo scopo di ricapitolare la situazione: 1) i voucher vengono impiegati come forma di pagamento nei settori in cui il loro utilizzo risponde ad evidenti ragioni organizzative e di mercato; 2) l’importo dei voucher sta in larga prevalenza all’interno dei limiti di legge; 3) è molto limitato l’effetto di sostituzione di precedenti rapporti di lavoro; 4) i soggetti interessati sono in maggioranza studenti, pensionati e lavoratori in regime di ammortizzatori sociali. In sostanza, il monitoraggio conferma – che al di là dei sempre opportuni adeguamenti della materia ai fini di una maggiore trasparenza e correttezza – la ‘’liberalizzazione’’ dei voucher, di cui alla legge n.92/2012, ha funzionato; ha prodotto reddito e contribuzione; ha contrastato il lavoro nero. Che cosa andiamo cercando allora: farfalle sotto l’Arco di Tito? Ogni riferimento al presidente Boeri è puramente casuale.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Docente di Diritto del lavoro UniECampus

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