Il ritorno del sindacato

Il sindacato è dunque tornato in partita. Dopo la prima chiamata del governo che ha prodotto un intenso dialogo e poi addirittura un provvedimento sulle pensioni, ora è il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia ad affermare la necessità di «un nuovo patto tra gli attori della fabbrica». A prima vista il ripescaggio non pare possa essere ascritto a meriti soggettivi — ovvero alla capacità di Cgil-Cisl-Uil di aggiornare analisi e proposte — quanto invece al riconoscimento di un ruolo oggettivo.

Matteo Renzi ha capito che la tambureggiante e lunga campagna sulla disintermediazione alla fine ha favorito solo il Movimento 5 Stelle e infatti ha incaricato il suo sottosegretario Tommaso Nannicini di riavvicinare governo e sindacato per chiudere gli spazi alla concorrenza e togliere nel contempo qualche argomento all’opposizione interna al Pd. Boccia, dal canto suo, in previsione di un 2017 che si presenta con il biglietto da visita — secondo il Centro Studi Confindustria — di un misero +0,5% di Pil sembra aver scelto la strada di una condivisione del rischio e non è un caso che abbia citato tra gli obiettivi del patto la lotta «alle disuguaglianze». È chiaro che in una fase così delicata con i rischi di instabilità politica e di un ciclo economico ancora debole nessuno dei tre soggetti — governo, confederazioni e Confindustria — si sente assolutamente forte ed è quindi più propenso di ieri a dialogare, a cercare una sponda di sistema.

Non c’è niente di sbagliato in questa ricerca — anzi —, a patto però che i soggetti contraenti ricordino i veri motivi del tramonto della concertazione e che possono essere sintetizzati nella formula «il Paese reale è molto più largo della Sala Verde» (quella deputata ai grandi incontri a tre di palazzo Chigi). Parlo in primis dei giovani rimasti sempre fuori dalla porta e diventati non a caso terreno privilegiato delle campagne di Beppe Grillo…

 

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