Storie di azione e contrattazione collettiva – Il rinnovo del CCNL Legno e Arredo: un contratto per affrontare l’incertezza

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Bollettino ADAPT 2 novembre 2020, n. 40

 

Una trattativa in salita

 

Il 19 ottobre 2020 si è giunti al rinnovo dell’importante CCNL Legno e Arredo, il quale interessa ben 150.000 lavoratori (di cui 25.000 solo nelle Marche) e che insiste su un settore da sempre cruciale per il sistema produttivo italiano. Il contratto, scaduto il 31 marzo 2019, è stato oggetto di una trattativa di quasi 2 anni, interrotta più volte di cui l’ultima il 5 agosto scorso. In quella data, infatti, le organizzazioni sindacali di categoria (Fillea-Cgil, Fica-Cisl e Feneal-Uil) avevano proclamato, in segno di protesta e per fare pressione sulla parte datoriale rappresentata da Federlegno, lo stato di agitazione con il conseguente blocco della flessibilità e degli straordinari. Le parti, dopo un lungo periodo di trattative, apparivano molto distanti e le loro posizioni si stavano polarizzando sotto la spinta della pressione derivante dalla crisi generata dalla pandemia, poi, fortunatamente, la firma. È dunque utile inserire questo ulteriore tassello all’interno dell’enorme mosaico rappresentato dalla stagione di rinnovi che le relazioni industriali italiane stanno vivendo.

 

Le clausole di contingentamento

 

Dall’analisi delle posizioni delle due parti, è possibile notare come uno dei nodi più importanti della trattativa, il cui mancato scioglimento aveva favorito il blocco della trattativa del 5 agosto scorso, è stato rappresentato dalla definizione delle clausole di contingentamento dei contratti a termine. Tali tipologie contrattuali, infatti, sono state indicate dal lato datoriale come essenziali per far fronte all’esigenze del mercato sia in una fase precedente alla pandemia da COVID-19 e, a maggior ragione, necessarie per gestire gli effetti derivanti dalla attuale crisi. È necessario ricordare come il c.d. Decreto Dignità abbia di molto irrigidito questi limiti, permettendo, al contempo, alla contrattazione collettiva di arrivare a fissare una soglia massima di rapporti di lavoro a temine (lavoro stagionale, lavoro a tempo determinato e in somministrazione a tempo determinato e indeterminato) pari al 50% del numero di rapporti a tempo indeterminato. Su questa base si è mossa la negoziazione delle parti, le quali sono arrivate a determinare, all’art. 30, un limite percentuale complessivo pari al 45% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato entro il quale mantenere il numero complessivo di contratti a tempo determinato, stagionali e in somministrazione. Più nello specifico, è previsto che il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato o in somministrazione a tempo determinato non possa superare il 30% dei lavoratori assunti a tempo indeterminato. Inoltre, le parti, di fronte alla volontà del lato datoriale di accettare un limite inferiore rispetto a quello definito ex lege, hanno fissato una soglia pari al 35% alla somma del numero di lavoratori assunti con contratto a tempo determinato e di lavoratori assunti in somministrazione a tempo determinato.

 

Infine, sempre nell’ambito della flessibilità contrattuale, le parti hanno previsto una clausola di contingentamento, pari al 20%, relativa ai rapporti di somministrazione a tempo indeterminato e hanno inoltre previsto per la prima volta una disciplina relativa alle attività stagionali, esercitando il rinvio legislativo contenuto nell’art. 21 c.2 del D.lgs. n. 81/2015. Nello specifico le parti individuano 13 tipologie produttive che possono assumere lavoratori stagionali per un periodo massimo di 8 mesi nell’arco di 12 mesi all’anno e, inoltre, stabiliscono una chiara procedura che obbliga la parte datoriale ad informare (in caso di prima attivazione) la RSU rispetto alle tempistiche, ai reparti interessati, al numero e alla durata dei contratti attivati.

 

Parte economica e previdenza complementare

 

È ovviamente imprescindibile affrontare il tema degli aumenti retributivi.  Con l’accordo di rinnovo, firmato lo scorso 19 ottobre, viene riconosciuto un aumento dei minimi tabellari così strutturati. Verranno erogati 25 euro – partendo dal livello di inquadramento più basso (AE1) riparametrati sulle varie categorie – con la retribuzione di settembre 2020, quale recupero degli andamenti inflattivi non riconosciuti né erogati a gennaio 2020. Inoltre, saranno erogati altri 25 euro – sempre riparametrati su tutte le altre categorie – con la retribuzione di gennaio 2021, a fronte degli incrementi di produttività e di flessibilità derivanti dalle innovazioni introdotte dal contratto stesso. Infine, le parti prevedono di incontrarsi entro il mese di gennaio 2021 e di gennaio 2022 per definire gli incrementi dei minimi contrattuali sulla base del dato IPCA (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato) dell’anno precedente come pubblicato dall’ISTAT. Si può quindi affermare che la proposta dei sindacati – aumento di 60 euro oltre al welfare – sia stata modificata rispetto all’effettivo aumento di 50 euro (25+25) che, con l’addensamento medio dei livelli potrebbe arrivare ad un complessivo aumento retributivo di 60 euro.

 

Connesso al capitolo “costi”, è da citare anche l’incremento della contribuzione a carico delle imprese al fondo di previdenza complementare ARCO. Nello specifico, l’art. 57 prevede un incremento totale per il 2021 del 2,2% e per il 2022 del 2,3%. È quindi da riconoscere comunque uno sforzo nei confronti di una forma di welfare che non mostra un reale incremento degli iscritti negli ultimi anni. Inoltre, è utile segnalare il riconoscimento del versamento di 100 euro una tantum all’interno del fondo Arco in favore di ciascun lavoratore in forza. Tale misura ha lo scopo di incentivare l’adesione dei lavoratori al fondo. Per quanto riguarda invece l’assistenza sanitaria integrativa, rappresentata nel settore dal Fondo Altea gestito interamente dai sindacati, la richiesta di quest’ultimi di prevedere un’iscrizione obbligatoria al fondo di tutti i lavoratori è stata tradotta in un impego della parte datoriale ad organizzare campagne di sensibilizzazione riguardo a questa forma di welfare, oltre che a fornire alle organizzazioni sindacali la possibilità di arrivare ai lavoratori attraverso mezzi informatici di comunicazione.

 

Lavoro agile e telelavoro

 

Continuando l’analisi è possibile incontrare delle tematiche che all’interno della negoziazione hanno visto entrambe le parti incontrarsi per poter far fronte alle problematiche comuni che la pandemia ha introdotto nelle relazioni industriali. Una di queste è sicuramente quella del lavoro da remoto (definizione che ricomprende sia il lavoro agile sia il telelavoro). Le parti con questo rinnovo vanno a disciplinare l’istituto del telelavoro, definendolo come una modalità di svolgimento della prestazione attraverso la quale il lavoratore presta stabilmente la propria opera presso un luogo che non coincide con i locali aziendali (es. altra sede aziendale, la residenza privata oppure un altro luogo stabilito dalle parti), servendosi ovviamente di strumenti tecnologici. Sempre rispetto al telelavoro vengono indicati i diritti e i doveri del telelavoratore e le norme di salute e sicurezza da applicare in questo caso. Ben più connessa al dibattito attuale sul c.d. smart working appare la disciplina concordata rispetto a questa modalità di svolgimento della prestazione. Il lavoro agile, introdotto con la finalità di coniugare l’aumento della produttività con una maggiore conciliazione vita-lavoro e un minore impatto ambientale, è definito come una particolare modalità di esecuzione della prestazione, stabilita grazie ad un accordo concluso direttamente tra impresa e lavoratore, e svolta anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di luogo o di orario (nei limiti stabiliti dall’art. 18 l. 81/2017). La disciplina che segue questa definizione risulta molto dettagliata, toccando tutti gli elementi essenziali dell’istituto: le materie definite nell’accordo individuale (tra le quali appare anche le modalità di esercizio del diritto alla disconnessione), il trattamento economico, le tutele sindacali, il diritto alla privacy, le modalità di accesso e recesso, le disposizioni in materia di salute e sicurezza, l’utilizzo dell’attrezzatura di lavoro e, infine, le definizione di percorsi formativi ad hoc per gli smartworkers.

 

Questa disciplina risulta di grande interesse per due motivi. Innanzitutto, è importante notare come le parti vogliano differenziare il telelavoro dal lavoro agile, utilizzando due differenti fonti (per il telelavoro l’Accordo Interconfederale del 6 giugno 2004, per il lavoro agile la legge del 22 maggio del 2017 n. 81) e individuando, come tratto distintivo tra le due forme di lavoro, la flessibilità (spaziale e temporale) del lavoro agile rispetto al telelavoro. Quest’ultimo, infatti, è appunto indicato come una modalità attraverso la quale “il prestatore d’opera svolge la propria attività, in un luogo che non coincide con i locali dell’impresa, utilizzando infrastrutture telematiche, che gli permettono di riprodurre l’ambiente lavorativo”, basandosi sul rispetto di un regime orario ordinario e non sul raggiungimento di obiettivi. Sarà interessante notare come si svilupperà l’interazione tra queste due fattispecie. In secondo luogo, è da segnalare all’interno della disciplina del lavoro agile un’integrazione rispetto al dettato normativo, in particolare per quanto riguarda le relazioni sindacali. Infatti, la disciplina prevede che la parte aziendale fornisca una informativa annuale alle RSA e alle OO.SS. territoriali rispetto agli ambiti organizzativi, alle qualifiche professionali e al numero di dipendenti interessati dall’istituto, oltre che delle eventuali disfunzioni che questa modalità potrà creare. Inoltre, vengono riconosciuti agli smart workers le medesime agibilità sindacali rispetto ai propri colleghi che svolgono la prestazione in modalità standard.

 

Relazioni Sindacali

 

Come anticipato, anche sulle relazioni sindacali le parti mostrano un certo impegno, andando ad agire sull’organismo bilaterale di settore: l’OBL (Osservatorio Bilaterale Legno). Tale organismo, da tempo indicato da entrambe parti come incapace di sviluppare al pieno le sue funzioni, viene posto al centro di un piano di rilancio che si svilupperà attraverso un’azione del CdA dello stesso per individuare gli aspetti organizzativi che ne inficiano la funzionalità. Inoltre, all’OBL sarà affidata la promozione delle buone pratiche relative alla formazione professionale e al welfare. Rispetto alla prima l’OBL assume un ruolo attivo nell’instaurazione di buoni rapporti con Fondimpresa e nell’informazione dei rappresentanti riguardo le opportunità di finanziamento provenienti dalla normativa nazionale e comunitaria. Inoltre, è utile chiarire che nella negoziazione del tema della formazione professionale si è notata una maggiore difficoltà a raggiungere una sintesi tra le posizioni delle parti, le quali sono riuscite ad accordarsi solamente sulla valorizzazione del ruolo di Fondimpresa ma non, ad esempio, sulla definizione di un diritto soggettivo alla formazione. Per quanto riguarda la seconda materia, si prevede che l’OBL promuova le buone pratiche di welfare aziendale ma soprattutto di “welfare di prossimità” in un’ottica di una vera responsabilità sociale d’impresa che porti il settore ad operare secondo canoni di sostenibilità sociale ed ambientale per i territori in cui opera.

 

Sostegno alla genitorialità e il contrasto alle violenze di genere

 

Infine, è necessario trattare alcune disposizioni che rappresentano un importante sostegno alla genitorialità. Innanzitutto, all’art. 33 è incrementato da 1 a 7 il numero giorni di congedo concessi al lavoratore-padre ed è inoltre specificato all’art. 29 la possibilità di concedere il part-time reversibile (cioè la possibilità di passare con facilità dal regime full time a quello part time) ad entrambi i genitori fino ad un periodo massimo di 3 anni per ogni figlio.

Infine, è necessario segnalare un’importante attenzione delle parti al sostegno delle donne vittime di violenza. All’art. 33, infatti, è riconosciuto, in ottemperanza alla normativa nazionale, un congedo retribuito frazionabile di 3 mesi da utilizzare in un arco temporale di 3 anni.

 

Il CCNL Legno e Arredo è stato rinnovato con non poche difficoltà di partenza in un contesto altamente sfidante per l’economia e l’intera società italiana. Proprio per questo motivo, questo rinnovo rappresenta un esempio virtuoso di come le relazioni industriali possano agire in maniera proficua, passando da delle fisiologiche e sane contrapposizioni delle parti sociali.

 

Giacomo Pigni

Scuola di Dottorato di ricerca in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@PigniGiacomo

 

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