Il protocollo sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura

Il 27 maggio scorso i Ministeri del lavoro, dell’interno e delle politiche agricole hanno sottoscritto, d’intesa con cinque regioni, le parti sociali maggiormente rappresentative nel settore agricolo e le organizzazioni di volontariato e non governative, un protocollo sperimentale per contrastare il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori (in Bollettino ordinario del 30 maggio 2016, n. 19).

 

Il protocollo mira a contrastare il preoccupante fenomeno del caporalato, che, specialmente in agricoltura, testimonia le condizioni di lavoro di molti cittadini, spesso extracomunitari privi di permesso di soggiorno, in spregio alle minime regole dell’ordinamento, come una recente inchiesta parlamentare ha rivelato (cfr. l’intervista sul caporalato rilasciata da Bruno Giordano a Radio Radicale, in Bollettino ordinario del 6 giugno 2016, n. 20).

 

L’accordo in commento si fonda su tre pilastri fondamentali – cura, legalità ed uscita dal ghetto –, frutto di un approccio multidisciplinare ed integrato, volto a fornire una visione unitaria e, soprattutto, completa del fenomeno.

 

Infatti, solo declinando i beni costituzionali della salute e del diritto al lavoro in senso ampio, comprensivo così della sicurezza nei luoghi di lavoro come della regolare costituzione e svolgimento del rapporto di lavoro, nonché contrastando lisolamento culturale, economico, linguistico e sociale in cui di solito vivono gli extracomunitari, è possibile coniugare il rispetto di imprescindibili diritti umani e lavorativi con la salvaguardia dell’ordine e dell’igiene pubblici.

 

L’attivazione sul territorio di soggetti istituzionali, sociali e di volontariato, rappresenta lo strumento per promuovere controlli capillari e diffondere la cultura della legalità, anche favorendo accordi negoziali territoriali e/o bilaterali valorizzanti le imprese rispettose della normativa di settore.

 

Nel merito, l’intesa prevede una pianificazione dei controlli nelle province di Caserta, Foggia, Bari, Lecce, Potenza, Reggio Calabria e Ragusa, ove con più frequenza viene registrata l’illecita attività intermediaria tra domanda ed offerta di lavoro svolta dai caporali, che lucrano sulla differenza tra il prezzo pattuito con il beneficiario della prestazione ed il misero compenso giornaliero corrisposto al lavoratore.

 

A riguardo, degna di nota è la prevista stipulazione di convenzioni per la realizzazione del trasporto gratuito dei braccianti nel tragitto che dal luogo in cui vivono li conduce ai campi con il relativo rientro a fine giornata, posto che, spesso, il controllo esercitato sui lavoratori inizia proprio mediante tale collegamento.

 

E’ altresì prevista la costituzione di tavoli permanenti di coordinamento, composti da ispettori del lavoro, dell’Asl e dell’Inail e presieduti da ciascun prefetto delle predette province, volto al sostegno di alcune attività, di cui le più significative – oltre al menzionato trasporto gratuito – attengono all’istituzione di presidi medico-sanitari mobili per fornire immediata assistenza ai lavoratori, alla distribuzione gratuita di acqua e cibo, all’organizzazione di iniziative ludiche e/o di integrazione degli immigrati con la popolazione locale, al potenziamento di iniziative volte alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, alla sperimentazione di sportelli informativi sulla ricerca dell’alloggio dei lavoratori e più in generale sui loro diritti, nonché alla destinazione degli immobili confiscati alla criminalità organizzata in centri di servizio e/o assistenza per i prestatori di lavoro.

 

Infine, all’istituendo gruppo di coordinamento e controllo, composto da due membri per ciascun Ministero interessato ed uno per ciascuna Regione e/o organizzazione sottoscrittrice dell’accordo, è affidato il monitoraggio tecnicoamministrativo delle attività poste in essere dagli organismi interessati dall’intesa, con contestuale verifica dell’attuazione del protocollo di cui dar conto in una relazione annuale.

 

Al termine del periodo di sperimentazione fissato al 31 dicembre 2017, sulla base dei risultati raggiunti può essere proposta la prosecuzione del protocollo, ovvero una sua modifica in ragione di misure ritenute più efficaci per gli obiettivi da perseguire.

 

In termini positivi, occorre registrare la consapevolezza a livello governativo del problema e la conseguente attivazione di misure di contrasto al medesimo in prossimità della stagione estiva, da sempre latrice di notizie sulle condizioni di degrado e sfruttamento, quando non addirittura decessi, dei prestatori d’opera nei campi agricoli, nell’ottica quantomeno di arginare l’entità di una situazione inaccettabile.

 

In attesa dell’attuazione pratica dell’accordo e confidando che quest’anno il caporalato e lo sfruttamento risultino effettivamente contenuti, occorre tuttavia segnalare una scarsa visione d’insieme del piano d’azione predisposto dal Governo.

 

Infatti, le iniziative contenute nel protocollo sperimentale rischiano di non andare oltre la mera, per quanto doverosa, gestione dell’emergenza, fornendo assistenza a volte persino vitale ai lavoratori, senza tuttavia provare ad affrontare le molteplici cause alla base del caporalato ed, in generale, del lavoro irregolare in agricoltura.

 

Tralasciando le manifestazioni parossistiche del fenomeno, per le quali evidentemente la risposta penale può tuttora risultare efficace – pur nella difficoltà di dimostrare la condizione di sfruttamento dei lavoratori –, un ripensamento della disciplina e degli oneri datoriali nel settore agricolo, anche mediante una gestione più razionale e completa dei voucher– la cui scarsa possibilità di utilizzo in agricoltura confligge con la liberalizzazione operata in altri settori produttivi –,potrebbe costituire il contesto in cui indurre a rapporti di lavoro regolari.

 

Allo stesso modo, andrebbe chiarita la declinazione pratica, in agricoltura, del mantenimento in servizio del lavoratore “in nero” nel caso di sua regolarizzazione, ai fini dell’accesso alla nuova procedura premiale della diffida.

 

Infatti, in ragione della stagionalità e brevità di molte prestazioni lavorative, il Ministero del lavoro con l’inedita nota prot. n. 20549/2015 ha annunciato chiarimenti operativi nel settore agricolo, che tuttavia non sono stati ancora emanati, non eliminando incertezza ed una certa rigidità poco funzionali anche alla soluzione delle criticità che il medesimo protocollo intende risolvere.

 

Peraltro, ai fini del contrasto del caporalato,un rimedio civilistico dissuasivo è rintracciabile nella responsabilità solidale nel caso di occupazione irregolare di clandestini prevista dalla direttiva 2009/52/CE, parzialmente attuata dal decreto legislativo 16 luglio 2012, n. 109, e nei fatti mai attivata nell’ordinamento (cfr. G. Carosielli, La solidarietà retributiva nei subappalti introdotta dalla direttiva 2009/52/CE: un’altra ipotesi di responsabilità?, in Diritto Relazioni Industriali, 2015, 4, 1197 ss.), benché il coinvolgimento del committente beneficiario della prestazione per quanto attiene alle retribuzioni arretrate, ai costi per il rimpatrio dei lavoratori ed alle sanzioni finanziarie ed amministrative, potrebbe contrastare, o anche solo limitare, il ricorso al merchandage du travail, palesando l’antieconomicità di tale scelta, senza dover attendere gli esiti del processo penale.

 

Occorre quindi sperare che la menzione nella premessa del protocollo vuoi dell’atto normativo comunitario vuoi del provvedimento nazionale di sua trasposizione, sia sintomatica di un auspicabile cambio di passo, a livello governativo, verso l’impiego di tutti gli strumenti, anche esistenti, per liberare il mercato del lavoro nazionale da tale fenomeno, affiancando a rimedi contingenti approcci più strutturali, in grado di affrontare il problema nella sua radicata complessità.

 

Giovanna Carosielli

 

Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo

 

@GiovCarosielli

 

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