Il progetto “Flexy” della Fater: un caso studio sul binomio relazioni industriali e competitività

Quella delle relazioni industriali come leva di competitività è una tesi difficile da sostenere. Lo è per chi fa ricerca in un contesto accademico ancora troppo ideologizzato. Lo è perché oggi il sindacato è considerato dalla classe politica e dall’opinione pubblica un ostacolo alla crescita. Ma soprattutto è una tesi difficile da spiegare nelle aule universitarie perché la casistica per esemplificarla ai ragazzi è merce assai rara. Sono rari cioè gli esempi di contrattazione dove le esigenze di flessibilità, efficienza e produttività espresse dalle aziende, incrociano l’istanza sociale prim’ancora che sindacale di miglioramento delle condizioni di lavoro e delle opportunità occupazionali.

 

Il progetto “Flexy” della Fater S.p.A., azienda nata dalla joint venture paritetica tra il Gruppo Angelini e Procter & Gamble, e nota per i prodotti dei brand Pampers, Lines, Tampax e Ace, è uno di questi esempi raccolti dal gruppo di lavoro “Fare Contrattazione” e che per questo riteniamo importante condividere con i lettori del Bollettino ADAPT.

 

Per rispondere all’estrema variabilità e oscillazione dei mercati, e aumentare così la competitività del sito di Pescara, il progetto prevede una struttura organizzativa del lavoro estremamente flessibile. L’organizzazione “Flexy” fornisce settimanalmente, per ogni singola linea di produzione, una struttura oraria dei turni di lavoro sincronizzata all’andamento della domanda sul mercato, attraverso una gestione digitalizzata quotidiana dell’organizzazione di lavoro, che consente di pianificare gli organici di linea in tempo reale e gestire una flessibilità a 360 gradi organizzata su tre livelli complessivi.

 

Il primo livello riguarda la scelta della base oraria. Si passa da una base unica e statica di orario 6 giorni su 7 pluriperiodale, ad una triplice base oraria: il 5 giorni su 7, il 6 giorni su 7 e il 7 giorni su 7 (ciclo continuo). Ciascuna base oraria è comunicata al lavoratore coinvolto nella linea con un preavviso di 30 giorni e deve rimanere in essere per almeno 4 settimane, ad eccezione del ciclo continuo che, una volta innestato, ha una permanenza minima di 6 settimane.

 

Il secondo livello di flessibilità garantisce la possibilità, nell’ambito della base oraria mensile innestata, di poter chiamare, con un preavviso di una settimana, da uno a tre turni lavorativi in più o in meno rispetto alla base oraria mensile (cc.dd. settimane di lavoro corte o lunghe).

 

Il terzo livello di flessibilità permette di poter chiamare le settimane corte o lunghe non solo per singola linea ma per singolo lavoratore. In questo modo “Flexy” consente di passare, per ogni singola linea produttiva, da una settimana a 12 turni a una settimana a 21 turni. Senza intaccare le ferie dei lavoratori né abusare di lavoro in straordinario.

 

In aggiunta a una serie di maggiorazioni sulla retribuzione proporzionate al grado di utilizzo dei diversi regimi di flessibilità, l’accordo sindacale sul modello organizzativo “Flexy” prevede in favore dei lavoratori coinvolti nelle turnazioni di lavoro flessibili riduzioni orarie da spendere sotto forma di permessi annui retribuiti o da accantonare nel conto individuale della banca delle ore.

 

Inoltre, al fine di rendere operativa la nuova organizzazione oraria, azienda e sindacati territoriali hanno sottoscritto un accordo di prossimità ex art. 8 decreto legge 138/2011, convertito con modifiche in legge 148/2011. L’intesa prevede infatti una deroga alla disciplina legale del contratto di lavoro intermittente in ordine ai limiti di età (lavoratori di età superiore a 55 anni o inferiore a 24) e temporali (400 giornate effettive di lavoro nell’arco di tre anni solari), introdotti rispettivamente dalla legge 92/2012 e dal decreto legge 76/2013, e ora confluiti nel decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Jobs Act). In questo modo “Flexy” consente di utilizzare i lavoratori intermittenti per adeguare l’organico di linea alle esigenze produttive settimanali, permettendo una continuità produttiva e garantendo adeguati riposi settimanali a tutti gli operatori coinvolti.

 

A poco più di un anno dalla start up del progetto, il modello “Flexy” ha permesso di ridurre l’inventario Fater S.p.A., determinando importanti risparmi nel costo del lavoro, nonostante un incremento salariale per i 530 turnisti coinvolti di 140 euro lordi a mese. Ciò è stato possibile attraverso la drastica riduzione di lavoratori somministrati e l’investimento del risparmio del costo di agenzia nel salario dei lavoratori Fater S.p.A. e nell’assunzione di oltre 150 lavoratori intermittenti in sostituzione dei lavoratori in somministrazione.

 

Il dato di fatto più interessante del caso studio “Flexy” è che si tratta di un modello esportabile in qualsiasi realtà produttiva organizzata con orario a turni, con necessità di flessibilità, anche settimanale. Il che vale molto per sostenere gli sforzi di chi da anni si ostina nelle aule, nei convegni e negli articoli scientifici a sostenere con convinzione una filosofia delle relazioni industriali – da cui peraltro nasce, per intuizione del professore Marco Biagi, la stessa esperienza di Adapt – volta a coniugare l’aspetto distributivo delle tecniche del diritto del lavoro con quello delle dinamiche della produzione e della crescita.

 

 Michele Tiraboschi

Coordinatore scientifico ADAPT

@Michele_ADAPT

 

Scarica il PDF pdf_icon

 

Il progetto “Flexy” della Fater: un caso studio sul binomio relazioni industriali e competitività
Tagged on: