Il progetto COLBAR-Europe: uno sguardo sulla contrattazione collettiva di 25 paesi dell’Unione Europea

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Bollettino ADAPT 1 marzo 2021, n. 8

 

Il 25 febbraio del 2021 si è tenuto un webinar di presentazione della ricerca portata avanti nel contesto del progetto COLBAR-Europe, il quale ha come obiettivo il miglioramento del generale livello di conoscenza del contenuto dei contratti collettivi europei. Durante l’incontro sono stati affrontati tre principali nuclei tematici.

 

In primo luogo, sono stati presentati i risultati della ricerca, attraverso la quale sono stati analizzati più di 600 contratti collettivi stipulati in diversi 25 paesi dell’Unione Europea, coprenti il settore manifatturiero, dell’edilizia, del commercio e del settore pubblico.

 

I ricercatori che hanno collaborato a tale ricerca si sono posti principalmente cinque quesiti:

  • Quali sono i principali argomenti trattati dalla contrattazione collettiva? È possibile identificare modelli ricorrenti nei diversi paesi?
  • I contratti collettivi contengono differenti livelli retributivi e clausole di indicizzazione dei salari? Se sì, quali sono i rapporti tra tali livelli tra i diversi paesi e nei diversi settori dell’economia?
  • Le parti sono disposte a rinunciare ad alcune clausole a favore di altre, al fine di perseguire la propria agenda di contrattazione?
  • I contratti conclusi da sedi nazionali di imprese multinazionali hanno contenuto simile? Si allineano ai contenuti dei contratti transnazionali?
  • È possibile creare una banca dati aggiornata di contrattazione collettiva a livello europeo?

Per quanto concerne la prima tematica di indagine, ossia i principali argomenti trattati dalla contrattazione collettiva a livello europeo, la ricerca ha rilevato come il tema disciplinato più di frequente sia quello dell’orario di lavoro e dei permessi, trattato dal 90% dei contratti collettivi analizzati. Altri temi frequentemente trattati sono quelli della salute e sicurezza e della conciliazione vita-lavoro, seguiti dalla formazione, dalle malattie professionali e disabilità, dalla sicurezza sociale e dalle pensioni. I temi della classificazione del personale e della parità di genere occupano peculiarmente l’ultimo posto in classifica, dato che essi sono trattati solo dal 50% dei contratti analizzati.

 

Il tema dei salari, anch’esso oggetto di studio nell’ambito della ricerca COLBAR, è stato poi oggetto di uno specifico intervento della dottoressa Janna Besamusca, ricercatrice all’Università di Amsterdam, che si è occupata di indagare come i salari contrattati collettivamente possano costituire uno strumento contro la povertà.

 

La dottoressa Besamusca si è in primo luogo chiesta quanti dei contratti collettivi dell’Unione disciplinino il tema dei salari, e secondariamente se essi definiscano unicamente minimi salariali o contengano anche differenti livelli retributivi. La ricerca COLBAR ha mostrato come il 97% dei contratti collettivi analizzati contenga clausole relative ai salari. Il 32% di tali contratti fissa autonomamente minimi salariali, mentre il 14% fa riferimento ai minimi salariali previsti dalla legislazione nazionale. Inoltre, il 65% dei contratti analizzati contiene differenti livelli retributivi, ma tale dato è particolarmente diversificato in base al paese preso in considerazione: se in Portogallo, Svizzera, Polonia, Italia, Spagna, Olanda e Austria più dell’80% dei contratti collettivi prevede differenti livelli retributivi, in Romania, Serbia, Danimarca e Regno Unito ciò è vero per meno del 20% dei contratti analizzati.

 

Per quanto riguarda le differenze tra i settori produttivi analizzati, i contratti che contengono più frequentemente differenti livelli retributivi sono quelli che regolano il settore della manifattura, seguiti dal settore edilizio, dal commercio e infine dal settore pubblico. Inoltre, la ricerca ha consentito di rilevare come i contratti firmati da una molteplicità di datori di lavoro contengano più spesso differenti livelli retributivi rispetto a quelli firmati da un singolo datore di lavoro. I livelli retributivi delineati dai contratti analizzati dai ricercatori COLBAR sono poi tendenzialmente differenziati in base alla qualifica o all’occupazione dei lavoratori: altri criteri comunemente utilizzati a tal fine sono l’età e il livello di competenze degli stessi.

 

Secondo la ricerca, 395 contratti su 602 contenevano aumenti salariali, calcolati in percentuale sulla precedente retribuzione (67% del campione), nella forma di una cifra fissa (12% del campione), o in entrambe le modalità (21% del campione): tra essi, il 13% dei conteneva aumenti salariali strutturali, mentre gli aumenti una tantum interessavano soltanto il 26% del campione.

 

In ultimo, la dottoressa Besamusca ha messo in evidenza come, in media, i livelli retributivi più bassi contenuti nei contratti collettivi analizzati consentissero comunque al singolo lavoratore di rimanere al di sopra della soglia di povertà, la quale, a livello europeo, è definita, per ogni paese, prendendo in considerazione il 60% della mediana dei salari nazionali. Tale dato, tuttavia, è del tutto inverso nella misura in cui si tiene in considerazione il reddito familiare, il quale, nelle sue manifestazioni collettive più basse, è al di sotto della soglia del decent wage.

 

In un secondo momento il webinar si è sviluppato in più breakout room, suddivise per area geografica, al fine di sviluppare tematiche specifiche per singolo paese.

 

Per quanto riguarda l’Italia, si è affrontato il discusso tema dell’impatto della pandemia sulla diffusione dello smart working, oltre che i rischi potenziali di questa modalità di svolgimento della prestazione.

 

Nello specifico, si è partiti dal notare come la contrattazione a livello nazionale non abbia di fatto recepito le innovazioni legislative connesse al lavoro agile: Armanda Cetrulo, dottoranda alla scuola Sant’Anna di Pisa, ha infatti sottolineato come solo il 32% dei CCNL contenuti nel database del CNEL regolamentino, seppur con un importante grado di dettaglio, il lavoro da remoto. Da notare però come generalmente la disciplina analizzata faccia riferimento al telelavoro e solo recentemente al lavoro agile.

 

Manola Cavallini, funzionaria CGIL e consigliera al CNEL, ha portato a conoscenza della platea alcuni recenti casi di recepimento dell’istituto a livello nazionale (es. rinnovo del CCNL Telecomunicazioni e Linee guida per il Lavoro Agile nel settore assicurativo e di assicurazione/assistenza) nonché intese, stipulate a livello aziendale, secondo lei in grado di normare gli aspetti più critici di questa modalità di svolgimento della prestazione: orario di lavoro flessibile ma con degli strumenti chiari di disconnessione, timbrature virtuali, ergonomia della postazione ecc. I casi aziendali citati fanno riferimento a grandi realtà, quali Wind, Ducati, Lamborghini.

 

In chiusura, la discussione si è concentrata sull’analisi di quelli che sono i molteplici rischi connessi allo smart working.

In particolare, è risultato molto interessante lo spunto lanciato dalla dottoressa Eloisa Betti dell’Università di Bologna, la quale ha comparato il lavoro da remoto con il fenomeno, un tempo molto comune, del lavoro domestico. Queste due forme di lavoro mostrano, ad oggi, molte connessioni, tra le quali la compresenza spazio-temporale di altri componenti della famiglia del lavoratore durante lo svolgimento della prestazione lavorativa. La sovrapposizione di tempi e spazi familiari con tempi e spazi di lavoro genera, secondo la dottoressa, enormi rischi rispetto alla ripartizione del carico di lavoro familiare e alla salubrità dello stesso ambiente di lavoro. Inoltre, questa lettura del lavoro da remoto, fortemente connessa alla dimensione domestica, rende inevitabile il domandarsi quali logiche territoriali possano essere sviluppate al fine di facilitare la diffusione di un modello di smart working positivo sia per il lavoratore che per l’intero territorio.

 

Il terzo e ultimo nucleo tematico affrontato dal webinar è stato dedicato a rispondere ad una delle domande sviluppate all’interno del progetto COLBAR-Europe: è possibile creare una banca dati aggiornata di contrattazione collettiva a livello europeo?

 

Come sottolineato da vari rappresentanti delle parti sociali a livello europeo, si mostra sempre più pressante l’esigenza di realizzare strumenti di catalogazione e lettura della contrattazione collettiva. Il contesto europeo, infatti, pur essendo spazialmente ridotto, presenta un alto grado di diversità tra i sistemi contrattuali e proprio da questa eterogeneità deriva l’esigenza di analizzare e confrontare ciò che la contrattazione collettiva genera.

 

Se è chiaro il bisogno, tuttavia non lo è la soluzione. Lo scopo di questa parte del webinar è stato, appunto, quello di indagare la possibilità di applicare all’analisi del contenuto dei contratti collettivi la tecnologia del “machine learning” basata su algoritmi che permettono il miglioramento continuo dell’analisi automatica. La materia è sicuramente molto tecnica ma al contempo affascinante, viste le sue potenzialità.

 

Ad oggi l’analisi della contrattazione collettiva è svolta attraverso annotazioni che permettono di suddividere uno specifico accordo in paragrafi, abbinando questi ultimi a determinati istituti: l’obiettivo dell’applicazione dei modelli di machine learning è proprio quello di rendere automatico questo processo di annotazione.

 

Tra i modelli esposti, i relatori hanno voluto concentrarsi principalmente sul “relative frequency model”, il quale si basa sull’identificazione degli istituti all’interno di un testo contrattuale sulla base delle parole più frequenti connesse a quell’istituto. Nello specifico, il modello prevede in primo luogo l’identificazione, attraverso specifici software di lettura, delle parole più frequenti connesse ad un determinato istituto (es. congedo di maternità). Da questo gruppo di parole vengono successivamente eliminate quelle che fanno riferimento a più “binds” cioè codici che identificano i vari istituti. In questo modo avviene un perfezionamento della ricerca e una identificazione automatica dei concetti all’interno di un testo.

 

L’efficace catalogazione dei contratti collettivi di tutta Europa è senza dubbio un passaggio fondamentale per permettere la conoscibilità delle differenti modalità con cui le parti sociali dei diversi Stati membri scelgono di disciplinare istituti fondamentali per la moderna organizzazione del lavoro: tale operazione, qualora portata avanti con continuità, potrà permettere alle stesse parti sociali di identificare best practices, e potenzialmente portare a un generale miglioramento della contrattazione nell’Unione.

 

Diletta Porcheddu

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@DPorcheddu

 

Giacomo Pigni

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@PigniGiacomo

 

Il progetto COLBAR-Europe: uno sguardo sulla contrattazione collettiva di 25 paesi dell’Unione Europea