Il mio canto libero – Oltre l’autonomia e la subordinazione tutele adattate dalle parti

Bollettino ADAPT 11 febbraio 2019, n. 6

 

Nel Libro Bianco del 2001 Biagi ed io scrivemmo che si doveva ritenere, “a seguito dei profondi mutamenti intercorsi nell’organizzazione dei rapporti e dei mercati del lavoro, ……ormai superato il tradizionale approccio regolatorio, che contrappone il lavoro dipendente al lavoro autonomo…. È vero piuttosto che alcuni diritti fondamentali devono trovare applicazione, al di là della loro qualificazione giuridica, a tutte le forme di lavoro rese a favore di terzi: si pensi al diritto alla tutela delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, alla tutela della libertà e della dignità̀ del prestatore di lavoro, all’abolizione del lavoro minorile, all’eliminazione di ogni forma di discriminazione nell’accesso al lavoro, al diritto a un compenso equo, al diritto alla protezione dei dati sensibili, al diritto di libertà sindacale.” Contemporaneamente aggiungemmo che “non può̀ certo essere condiviso l’approccio….di estendere rigidamente l’area delle tutele senza prevedere alcuna forma di rimodulazione all’interno del lavoro dipendente…….Al di sopra di questo nucleo minimo di norme inderogabili, sembra opportuno lasciare ampio spazio all’autonomia collettiva e individuale, ipotizzando una gamma di diritti inderogabili relativi, disponibili a livello collettivo o anche individuale (a seconda del tipo di diritto in questione).”

 

In sostanza, già avvertivamo il superamento nella realtà fattuale della rigida distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo auspicando un continuum progressivo delle norme a tutela del prestatore, anche attraverso il duttile adattamento consentito dalla contrattazione. Lo stesso contratto a progetto, modalità più tutelata della semplice collaborazione, voleva rappresentare una dimensione intermedia che poi, per soddisfare pulsioni ideologiche, il governo Renzi ha voluto sopprimere.

 

La sentenza della Corte d’Appello di Torino sulle prestazioni dei rider di Foodora, di cui ora conosciamo le motivazioni, ha interpretato l’art.2 del dlgs 81/15 (job act) come obbligo di applicazione alle collaborazioni “etero-organizzate” di quasi tutte le tutele del lavoro subordinato. Si è avuta così soprattutto la conferma di una norma potenzialmente estensibile a tutte le prestazioni perché tutte, anche quelle più genuinamente autonome, si collocano nella organizzazione del committente. Nel caso di specie, la stessa possibilità di rifiutare la prestazione è stata ritenuta sufficiente a qualificarla come non subordinata ma insufficiente ad evitare obblighi come quelli dovuti dal datore di lavoro dipendente in materia di salute e sicurezza.  Se si consolidasse un simile orientamento ogni attività lavorativa a favore di terzi potrebbe essere attratta nell’ambito delle tutele tipiche della subordinazione compreso il pagamento su base oraria anziché in base al risultato. Ne deriverebbero assetti regolatori rigidi e perciò non idonei a tutte i lavori e nemmeno gradite a tutti i lavoratori. Ora questo non sembra il tempo idoneo per la costruzione paziente e largamente condivisa di un essenziale Statuto dei Lavori corrispondente alle indicazioni di Biagi. Si carica quindi ancor più sulle parti sociali la responsabilità di agire sussidiariamente attraverso accordi ad ogni livello.

 

Nello stesso art.2 del dlgs 81/15 si esplicita la possibilità di derogare alla norma generale di cui si è detto attraverso accordi collettivi nazionali sulla base “delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore” così come l’assenza del requisito della “etero-organizzazione” può essere dichiarata dalle parti e verificata di fronte ad una commissione di certificazione.

 

Solo gli interessi possono efficientemente autoregolarsi senza concessioni alla astratta simbologia o alle esigenze del consenso emozionale.

 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

 

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