Il mio canto libero – Lavorare meno, lavorare tutti? Meglio sostituire l’orario con i risultati

Bollettino ADAPT 11 maggio 2020, n. 19

 

Lavorare meno, lavorare tutti! Così il titolo del quotidiano Lotta Continua in un giorno del 1977. L’utopia aveva allora almeno la giustificazione di una organizzazione fordista della produzione e il precedente della storica battaglia per la conquista (internazionale) di un orario massimo di lavoro. Ma ora, la ipotesi di una norma rivolta ad incentivare la riduzione di orario a parità di salario conferma solo l’attitudine a cercare negli strumenti del ‘900 le chiavi per rispondere a bisogni straordinariamente nuovi.

 

Siamo consapevoli di dover affrontare l’impatto sul mercato del lavoro della combinazione tra nuove tecnologie e faticosa ripresa delle attività dopo il periodo della forzata chiusura di molte imprese, della tutela passiva di molti lavoratori, del diffuso ricorso alle prestazioni da remoto. Soprattutto le piccole e piccolissime imprese non possono tollerare in questa fase aumenti contrattuali centralizzati e perciò applicabili indistintamente a tutte. Non a caso, perfino l’accordo di breve periodo degli alimentaristi non è stato sottoscritto da tutte le federazioni imprenditoriali del settore. Possono invece rivelarsi utili gli accordi territoriali per definire aumenti retributivi in piccoli cluster omogenei, scambiandoli con flessibilità organizzative. O, meglio ancora, soccorrono i contratti aziendali nelle imprese strutturate e sindacalizzate per affrontare insieme, caso per caso, i complessi percorsi della ripresa. Gli strumenti normativi non mancano perché nella dimensione aziendale o territoriale sono possibili accordi in deroga alle leggi e ai contratti nazionali in materia di orario, di adattamento delle tipologie contrattuali, di modalità della prestazione, di inquadramenti e declaratorie professionali, di impiego delle tecnologie di controllo ed altro ancora. Purtroppo, per lunghi anni, Confindustria ha assistito passivamente al ridimensionamento della detassazione del salario di produttività avviata nel 2008. Ora sarebbe bene ripristinare quella normativa semplice e allargarne la platea dei beneficiari.

 

La formazione è il più naturale contenuto dei contratti di prossimità e, costituendo un diritto-dovere per il lavoratore, non può che collocarsi nel tempo di lavoro e non al di fuori di esso. Più in generale, dopo la disordinata esperienza del lavoro da casa, proprio le intese individuali e aziendali possono progressivamente relativizzare l’orario di lavoro man mano che si definiscono modalità efficienti di assegnazione al collaboratore di obiettivi e di controllo del loro conseguimento. L’agilità è implicita nel lavoro moderno nel senso che il vincolo spazio-temporale viene sostituito da quello del risultato, qualunque sia la tipologia contrattuale. Lo stesso salario cambierà struttura al punto da perdere la componente dello straordinario sostituendola con un più marcato collegamento con indicatori di risultato, di produttività, di professionalità.

 

Il Presidente designato non ha però chiarito se accetterà una legge che disciplini il salario minimo e la rappresentatività dei corpi sociali. Questa sarebbe in aperta contraddizione con lo spostamento della contrattazione nelle aziende e nei territori perché rafforzerebbe solo la dimensione centralizzata degli accordi. Insomma, questo è il bivio. O la riproposizione dei contratti nazionali rigidi e omologanti il lavoro o lo sviluppo delle intese su misura.

 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

 

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